Austria, l’all in del giovane Kurz

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8 Ottobre 2017

“Vogliamo far capire che anche il nero è fico!”. È con questa dichiarazione d’archivio che il settimanale tedesco Spiegel ha deciso di aprire il video sul reportage dedicato al trentunenne che tra una settimana potrebbe essere il nuovo Cancelliere della Repubblica austriaca: Sebastian Kurz. Una frase forse astrusa per un pubblico internazionale, ma che in Austria decretò l’improvvisa e inaspettata popolarità di un giovane esponente viennese del partito cristiano-democratico, la ÖVP. Kurz, all’epoca appena ventenne, decise di sfidare l’apatia dei suoi compagni di partito (l’ÖVP è fortissima nelle aree rurali del Paese, ma è da sempre all’opposizione nella Capitale) salendo su un macchinone nero (il tradizionale colore di partito) e circondandosi di belle ragazze che provocavano i curiosi affermando: “il nero è fico!”. Una scelta, quella dello Spiegel, sicuramente dissacrante, ma che evidenzia una delle particolarità più stridenti del personaggio Kurz: il passaggio fulmineo (vista l’età) dal gusto giovanile per la provocazione al carisma, dalla ruspante politica locale ai vertici del Governo nazionale e della diplomazia. Il Kurz che si sporgeva sornione dal finestrino di un Hammer nero è oggi il Ministro degli Esteri del governo uscente e il candidato alla Cancelleria del suo partito. Quella stessa ÖVP che, dismessi i simboli di un passato glorioso ma lontano, si presenta ora come “Lista Sebastian Kurz – La nuova ÖVP”.

Impossibile capire fino in fondo la portata dirompente della candidatura di Kurz senza ripercorrerne l’inarrestabile (e non scontata) carriera. Nato a Meidling, sobborgo di Vienna, Kurz imparò fin dai primi passi nel mondo politico che il suo entusiasmo non avrebbe sempre trovato una sponda nei compagni di strada. Narra la leggenda che fu infatti il responsabile di sezione della ÖVP viennese a cui dichiarò la sua intenzione di prendere la tessera ad avvisarlo che difficilmente ci sarebbero state battaglie vere per cui impegnarsi. Troppo ostile il contesto della Capitale (“Vienna la rossa”) per un partito che rappresenta dal secondo dopoguerra l’Austria dei contadini, dei piccoli imprenditori e delle cattolicissime aree di provincia. La faccia tosta di Kurz fa invece la differenza: “rotto il ghiaccio” grazie alla campagna in fuoristrada, il giovane studente di Giurisprudenza (facoltà che abbandonerà in seguito) continua a distinguersi per lo stile sopra le righe e per la disinvoltura con cui affronta temi che piacciono ad un elettorato difficilmente portato a votare i cristiano-democratici. Si intesta, tra le altre, la lotta per introdurre le corse notturne della metropolitana e scatena un putiferio per via di manifesti in cui lascia intendere che questo gioverebbe alle possibilità di incontro dei giovani teenager viennesi. Sopracciglia alzate o no, Kurz ha però conquistato definitivamente la ribalta. E approda al Governo, a 24 anni, come Sottosegretario all’Integrazione.

La sua carriera avrebbe potuto benissimo finire qui. L’immigrazione è da sempre un tema rovente per i Popolari della ÖVP, che scontano la competizione a destra da parte della FPÖ degli eredi di Haider e sono allo stesso tempo costretti nel limitato spazio di manovra concesso dall’accordo di governo con i socialisti della SPÖ. Kurz comprende che il tempo delle provocazioni è giunto a conclusione e attua una straordinaria metamorfosi: studia i dossier, si distingue per la pacatezza e il contatto costante con la realtà e con l’opinione pubblica, non si spinge su territori inesplorati senza prima averne adeguatamente calcolato le conseguenze. Il provocatore è diventato un attento giocatore sull’infida scacchiera della politica austriaca. Portato a termine il mandato di Sottosegretario, diventa uno dei volti più amati durante la successiva campagna elettorale, tanto che l’allora leader del partito, Michael Spindelegger, arriva ad immaginare per lui un immaginifico Ministero del Futuro nella nuova compagine di governo. Le cose vanno però diversamente. Nel gabinetto guidato dal socialista Werner Faymann, Kurz finisce addirittura agli Esteri. Ha solo 27 anni, l’età a cui molti suoi coetanei tentano il concorso per la carriera diplomatica.

Le reazioni stizzite e le battute sferzanti (anche da parte dei “cugini” tedeschi) non sembrano spaventare il neo-Ministro, che dimostra una seconda volta come la mancanza di un titolo di studio e la giovane età non gli impediscano di ricoprire con precisione ed efficacia un ruolo di Governo che farebbe tremare i polsi a navigati politici cinquantenni. Immerso in un contesto di politica internazionale in rapidissima ebollizione, Kurz si guarda bene dal farsi travolgere dalle parallele convulsioni della politica interna: il Cancelliere Faymann getta infatti la spugna dopo aver perso il rapporto con la base del partito, il suo mentore Spindelegger fa un passo indietro, la Grande Coalizione sembra temporaneamente ricompattarsi sotto la guida del socialdemocratico Christian Kern, ex top manager di Stato prestato alla politica. Le elezioni presidenziali diventano però uno psicodramma e per la prima volta nella storia repubblicana i due candidati dei partiti di governo vengono eliminati al primo turno. Kurz attende, non fa mosse avventate, sa bene che non ha senso abbandonare il prezioso dicastero degli Esteri finchè il suo partito langue al terzo posto nei sondaggi, superato dai compagni di governo e dall’estrema destra.

A maggio la mossa che ribalta il tavolo da gioco. Kurz ha fiuto e si rende conto che mentre lui viaggia all’estero e incontra i potenti della Terra, a Vienna la coalizione sta davvero per giungere al capolinea. Una cesura storica a cui non può farsi trovare impreparato. Da questa intuizione parte fulminea una campagna di conquista del partito che gli permette di porre fine in pochi giorni alla leadership appannata del grigio Reinhold Mitterlehner e di portare dalla sua parte tutta la nomenclatura, compresi i potentissimi Governatori dei Länder governati dai cristiano-democratici. Prima dell’estate, giusto in tempo per prendere parte da candidato Cancelliere alle elezioni anticipate di ottobre, Kurz è pronto per giocare la partita della vita. La “nuova ÖVP” da lui rimodellata ha scalato i sondaggi ed è oggi al primo posto in tutte le rilevazioni, con oltre il 30%: la sua leadership da rockstar ha conquistato i giovani elettori in modo trasversale, facendo passare in secondo piano il fatto che il giovane Ministro guida un partito che è al governo da decenni. Potere dello story-telling? Benefici della rottamazione? Più che al nostro Matteo Renzi, Kurz dichiara di ispirarsi ad Angela Merkel. È in tandem a distanza con la Cancelliera tedesca, che il leader cristiano-democratico è stato in grado di dribblare questioni ad alto tasso di impopolarità, come i flussi di migranti dalla rotta balcanica e il dibattito sull’opportunità dell’ingresso della Turchia nella UE. Temi sui quali Kurz non ha esitato ad adottare posizioni nette e tipiche dell’estrema destra (dicono i detrattori), ma che all’occhio dell’analista sono invece un’ulteriore conferma dell’abilità nel gestire dossier scottanti senza impatti negativi sulla sua immagine. La stessa chirurgica destrezza con la quale si è assicurato il controllo del partito al momento giusto ed è stato in grado di sfilarsi dall’esperienza deludente della Grande Coalizione, lasciando che le macerie ricadessero solo sui compagni di governo socialdemocratici e sul Cancelliere uscente Kern.

Nel giro di poco meno di dieci anni, lo sbruffone di Meidling è riuscito a trasformarsi in un credibile candidato premier, accollandosi la responsabilità di impegnativi incarichi di Governo e riplasmando a sua immagine e somiglianza un partito storico ormai in panne. Tra una settimana sapremo se il suo “all in” è stato l’ennesima scelta giusta.

 

 

TAG: elezioni, europa
CAT: Partiti e politici

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