Cosa non funziona nelle primarie (e qualche proposta)
Ma che succede con le primarie? Caos, spaccature, scissioni, sconfitte inaspettate e troppe tentazioni (in primis per Renzi) di tirarsi indietro (soprattutto in alcune realtà locali). Il punto di forza del Pd e del centrosinistra degli ultimi anni sta diventando un ospite molto indesiderato, con regole confuse e pieno di controindicazioni. Il punto che spesso si dimentica, mi pare, è che le primarie del centrosinistra in Italia nascono con peccato originale. Il fatto, cioè, che vennero introdotte al solo scopo di legittimare via plebiscito una candidatura, quella di Romano Prodi, che non aveva nessun partito di riferimento. Siamo nel 2005, Prodi vince con una percentuale attorno al 70% (se la memoria non m’inganna) e riceve la legittimazione popolare che andava cercando grazie anche a un’affluenza record ai gazebo e nelle sezioni.
Quelle primarie non avevano davvero lo scopo di individuare un candidato, ma solamente di legittimare il candidato che era già stato deciso. Un peccato originale che, assieme a una certa confusione, le primarie hanno continuato a portarsi dietro con la nascita del Pd.
Le primarie sono del Pd o del centrosinistra? Valgono in caso di coalizione per decidere quale partito esprimerà il candidato premier, governatore, sindaco oppure valgono anche se si presenta un solo partito (e bisogna farle per decidere chi, in quel partito, correrà)?. E vanno necessariamente fatte sempre e comunque a ogni livello?
Quella che in alcune occasioni è parsa una mania delle primarie ha portato anche a delle conseguenze al limite del patetico: primarie per decidere il candidato sindaco, chessò, di Oleggio Castello (faccio per dire) a cui partecipavano 100 persone. Ma l’aspetto deteriore di portare le primarie a ogni livello è molto serio. Più la realtà è piccola, infatti, più è facile condizionare il voto nei vari modi che abbiamo visto e conosciuto.
Il rischio è che, lungi dall’essere il luogo supremo della democrazia partitica, le primarie diventino il regno dei signori e padroncini delle tessere. Che dopo un breve periodo di smarrimento, stanno evidentemente capendo come sfruttare questo rito a loro vantaggio. Così, lo strumento che dovrebbe portare a un costante rinnovamento rischia di diventare il gattopardo dei soliti noti.
Ai livelli superiori, invece, il rischio è (anche) un altro: la confusione. Non è pensabile che ogni volta che c’è di mezzo un’elezione locale si debba assistere al dilemma “primarie sì o no”, senza sapere se queste si terranno, se saranno di partito o di coalizione, se il risultato sarà poi effettivamente rispettato, se saranno infiltrate da altri partiti per ragioni più o meno oscure. Oppure se saranno uno strumento atto solamente a dare una qualche sorta di legittimazione a un candidato già assolutamente deciso (com’è stato nel caso di Alessandra Moretti che, a scanso di equivoci, non è Romano Prodi).
La sensazione è che non ci sia nessuna forma di chiarezza nell’utilizzo delle primarie. E il risultato è quello che abbiamo tutti sotto gli occhi. Siccome l’ultima cosa che serve al centrosinistra è buttare via uno strumento così importante, forse è il caso di pensare a qualche regola chiara e definita e alle quali non si possa sfuggire.
A mio parere, ad esempio, sarebbe il caso che nelle realtà più piccole si tornasse a decidere il candidato nelle sezioni. Che tanto, più le realtà sono piccole, più le primarie diventano un luogo in cui il potere decisionale è in mano ad amici e parenti, quando va bene. Sarebbe il caso che le primarie si tengano solo nelle realtà che superano una certa soglia di abitanti (100mila?) e che siano un confronto all’interno della coalizione, non all’interno dello stesso partito. Se la coalizione non c’è, pazienza (era questo, d’altra parte, lo spirito originale delle primarie italiane).
Si può riflettere sull’opportunità di fare le primarie solo nei comuni più grandi (oltre che, ovviamente in tutte le regioni) e solo quando ci sia effettivamente una coalizione (un candidato per partito). Sarebbe anche il caso di impedire con qualche regolamento ferreo la partecipazione di chi non si riconosce nel centrosinistra. Di rendere automatico, in caso di elezioni politiche, che chi ha vinto le primarie per decidere il segretario del Pd (che, finora, hanno sempre funzionato bene) sia anche il candidato premier di quel partito (che dovrà fare comunque le primarie in caso di una lista di più partiti; cosa che l’Italicum rende possibile). Di rendere, soprattutto, più chiaro il quadro di riferimento, in modo da sapere, sempre e con precisione, quale sia la trafila da seguire, senza scappatoie e opportunismi dell’ultim’ora.
Paradossalmente, molto di tutto questo c’è già nel regolamento, che però al suo interno contiene una serie di scappatoie che andrebbero riviste. Poi si può discutere di tutto. Ma mi sembra che la cosa più urgente sia trovare delle leggi chiare e dalle quali non si possa sfuggire. Perché così, quella che è stata una bella realtà, rischia di diventare un boomerang.
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