Cresce Salvini, ma la Lega si divide

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3 Novembre 2014

La Lega Nord, il più vecchio partito esistente sulla scena politica italiana, assomiglia sempre di più ai grandi partiti popolari della prima repubblica. Naturalmente non nei contenuti, nei programmi e nella cultura politica, ma nella prassi. Chi ricorda i riti della vecchia Democrazia Cristiana tra un congresso e l’altro, tra la nomina di un segretario e l’altro, li rivede tutti in tante vicende del Carroccio degli ultimi mesi se non giorni. Riveduti e corretti ovviamente, il tempo passa e cambiano le modalità della creazione e gestione della leadership. Dalla Balena bianca alla Balena verde si direbbe. Ai tempi della DC quando si eleggeva un leader, e soprattutto se il vincente si dimostrava non tanto forte, ma innovatore, partivano regolarmente le fronde, i distinguo, le congiure e quant’altro estratto dal collaudato repertorio machiavellico del buon democristiano per condizionare e tenere sotto scacco il leader di turno. Il tutto in una girandola di correnti e camarille che si facevano e disfacevano alla suddetta bisogna e con il più delle volte con tanti saluti alla coerenza, alla fedeltà e alla idealità. Niente di sorprendente per carità, quello che altrove si chiama tradimento, nei partiti si è sempre chiamato politica.

Quando Matteo Salvini ha preso in mano la Lega, il partito era un cetaceo spiaggiato, conservava una invidiabile base, ma i voti erano spariti e il movimento rischiava seriamente di finire nei libri di storia. Per tutta una serie di motivi che abbiamo raccontato diffusamente su questo giornale nei mesi passati in tanti articoli ai quali rimandiamo (negli editoriali). Situazione ribaltata in pochi mesi con una innovazione politica senza precedenti nella storia del movimento padano. Messe in soffitta parole d’ordine epocali, programmi ed idee di un ventennio, archiviato Bossi, Salvini ha fatto la corsa innanzitutto su Grillo, il vero vincitore in termini di numeri alle elezioni del 2013, e, stando agli ultimi sondaggi, finendo per batterlo nelle preferenze degli italiani. L’avevamo scritto anche noi all’indomani delle elezioni politiche che le strade di Grillo e Salvini si sarebbero incontrate, ma non si capiva come visto che, soprattutto dalla parte della Lega, non c’era nessuna apertura al dialogo. Utilizzando una terminologia mutuata dalla finanza, la Lega ha infatti lanciato una Opa ostile nei confronti dei grillini. Il Carroccio combatte sullo stesso terreno, con argomenti simili, quelli che avevamo fatto la fortuna del M5S, ma utilizzando una dialettica più furba, una presenza sui media più strategica e lungimirante, proponendo contenuti più strutturati e soprattutto motivando un tessuto di militanza più preparato ed organizzato della armata Brancaleone grillina. L’obiettivo però non è una alleanza, ma lo svuotamento del M5S a vantaggio della Lega. E i risultati non si sono fatti attendere, e non solo virtualmente nei sondaggi, perché già alle Europee l’inversione di tendenza del consenso leghista si è notata chiaramente. Sempre per tornare alle inveterate pratiche politiche di altri tempi, il manovratore di via Bellerio ha raccattato consenso, perché in politica il consenso non puzza e quindi si raccatta e non si raccoglie, in ambiti che generalmente tutti evitano, ma utili al posizionamento e rafforzamento italo-lepenista della nuova Lega. Salvini ha trovato praterie davanti a sé, una destra disintegrata e senza riferimenti importanti dal punto di vista “culturale”, un terreno senza grandi e credibili competitori in alcune battaglie politiche (No Euro, freno all’immigrazione-invasione, rafforzamento della sicurezza percepita e reale), una serie di forze sociali e politiche mai sdoganate in passato pronte a rimotivarsi e rigenerarsi nel nuovo contenitore postleghista. Anche al sud.  Il tutto organizzato solo per creare e rafforzare la leadership salviniana, non della Lega che rappresenta un mero strumento.

E per effetto di questa ultima considerazione si sono accese le spie di allarme nel cruscotto degli altri leader e leaderini preoccupati del proprio futuro offuscato dalla nuova stella crescente o messo seriamente a rischio.  E in via Bellerio al momento non preoccupano i settori legati alla vecchia Lega federalista o secessionista, quelli se ne sono già andati via quasi tutti, tra fughe volontarie, espulsioni o semplice ripiego nel privato e nel disinteresse. Preoccupano le manovre dell’unico competitore interno credibile in grado di insidiare leadership e fedeltà delle truppe. Ossia Flavio Tosi. Il sindaco di Verona, partendo con un anticipo imbarazzante già nell’ottobre dell’anno scorso, ha giocato le sue carte sulle ipotetiche e mai confermate primarie per la scelta del candidato premier del centrodestra. Ritengo che alla primarie non ci creda nemmeno Tosi, penso che sia uno stratagemma come un altro per costruire un percorso di rafforzamento della leadership e per confrontare programmi. Un piano a tavolino inventato da comunicatori scafati, giocando l’anno scorso sulla “sorpresa” al fine di mettere un puntello inamovibile nello schieramento, una primogenitura. Ma un piano di comunicazione, anche se di alto livello, non è sufficiente, ci vogliono gli eserciti con tanto di colonelli, caporali, soldati semplici e tutto il corollario di crocerossine, spie da strapaese, voltagabbana e compagnia bella. Fa notizia, fonte Corriere della Sera e da noi verificato con successo, una cena, ma a noi risulta che le cene sarebbero ben più di una, a cui hanno partecipato tanti, forse troppi soggetti, che sulla carta starebbero dalla parte della ortodossia salviniana. Facile ormai prevedere un rimescolamento di carte nel movimento con la cristallizzazione di, almeno, due anime. Quella salviniana e quella dei “Fari” di Flavio Tosi che si stanno organizzando sul territorio sia virtualmente sui social sia materialmente con la creazione di gruppi di sostenitori. Più che sui contenuti, la curiosità è ora sui nomi principali dei sostenitori del movimentone di Tosi pescati sicuramente nell’alveo maroniano e tra leghisti dal passato illustre e già da tempo in libera uscita. Per ora c’è molto marketing, immagine e comunicazione, ma si capisce che i tosiani mirino ad inglobare quel variegato mondo di liste civiche, partitini, cani sciolti, militanti in fuga dai più svariati partiti. La logica sembra, sempre per tornare ai tempi andati, quella di un correntone doroteo, costruito non tanto sui contenuti, ma sull’avversario da combattere o contenere. Poca idealità, molti giochini di potere per mantenere garantito spazio e visibilità al maggior numero possibile di seguaci. Ed ecco che in questo scenario il leader “mancato” o “mai decollato” Maroni diventa la pietra angolare del progetto tosiano. Maroni, stretto tra il protagonismo di Salvini e la presidenza evanescente della regione Lombardia, potrebbe facilmente trovare in Tosi non tanto un rilancio, ma una carta, forse l’unica, per sopravvivere e non sparire.

Quello tra Salvini e Tosi è uno scontro di ambizioni, non nuovo e per tanti motivi scontato, che avviene sullo sfondo della rigenerazione e ripensamento dell’intero centrodestra.

(www.labissa.com)

 

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CAT: Partiti e politici

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