Nelle ultime settimane abbiamo assistito a profondi sommovimenti a sinistra, con la scissione nel Pd e la formazione di nuovi gruppi parlamentari che fanno capo a un futuro nuovo partito denominato Democratici e Progressisti. Abbiamo chiesto a tre politologi – Gianfranco Pasquino, Piero Ignazi e Michele Salvati – cosa pensano della scissione e quali ripercussioni avrà sul futuro politico della sinistra.
Dopo mesi di scontri tra maggioranza e minoranza, nel Partito democratico abbiamo assistito a una drammatica scissione. Cosa ne pensa?
Pasquino. Si è trattato di una scissione inevitabile, e forse anche tardiva, dovuta principalmente a Matteo Renzi che ha spinto fuori Bersani, Speranza & C. emarginandoli e irridendoli. E ancora peggio hanno fatto i suoi fedelissimi. Ricordo, ad esempio, l’insulto di Giachetti contro Speranza durante una direzione del partito. La minoranza ha avuto fin troppa pazienza.
Ignazi. La scissione è stata un grosso errore, specie per chi se n’è andato, perché è stata fatta senza una motivazione forte, senza una divergenza politica di fondo, la gente non l’ha capita. Avevano motivi di tensione e insoddisfazione anche forti, ma che potevano essere contenuti all’interno della dialettica di un grande partito, senza dividersi. Naturalmente la responsabilità principale è di Renzi che, come segretario, avrebbe dovuto fare di più per tenere unito il suo partito. Probabilmente non aveva alcun interesse a farlo anzi, il suo obbiettivo era proprio quello di cacciare la minoranza. Esasperandola.
Salvati. Le scissioni indeboliscono tutti, chi le fa e chi le subisce. Le due anime del Pd – quella liberale e quella socialdemocratica – potevano benissimo convivere come avviene in tutti i grandi partiti della sinistra europea, dal Labour al Spd. Il problema è che nessuno voleva accettare l’altro: Renzi in nome della rottamazione si è preso tutto il potere e, di conseguenza, gli altri volevano espellere quello che consideravano un corpo estraneo al Pd. E’ sembrata una scissione ad personam, tanto più che potrebbero rientrare se Renzi perde. Detto questo, l’argomento del partito non contendibile è una sciocchezza: lo statuto l’hanno votato tutti, anche l’ex minoranza, e oltretutto prevede primarie aperte. Trovo anche assurdo, da parte di Bersani & C., non accettare o condividere riforme e leggi basilari fatte dal governo. In un grande partito ci sta che vi siano posizioni diverse, ma non su temi come la riforma costituzionale o la legge elettorale, su cui l’ex minoranza ha manifestato un’ostilità radicale e profonda.
Il 30 aprile ci saranno le primarie. Vincerà Renzi o gli sfidanti, Orlando e Emiliano, hanno qualche possibilità? Secondo voi che fase del renzismo stiamo attraversando?
Pasquino. Il termine primarie è improprio, mi dà un certo fastidio, perché non si sceglie il candidato premier ma il segretario di un partito. Le chiamerei votazioni. Renzi è favorito, ma non sottovaluterei gli altri candidati, perché per lui la situazione si è parecchio ingarbugliata: se la partecipazione è bassa e prende poco più del 50 o addirittura non lo supera e viene poi eletto dal congresso, sarà comunque un segretario debole e azzoppato. La traiettoria crescente dell’ex premier è finita, siamo in una fase comatosa del renzismo che lui cerca di affrontare con i suoi soliti colpi di coda e accelerazioni, forzando la mano come in passato. La fine del renzismo sarà un bene per tutti.
Ignazi. La vittoria di Renzi alle primarie non è affatto scontata, lo vedo in grande difficoltà. Inoltre è in atto una fuga dall’ex premier, una discesa dal suo carro come spesso avviene in Italia. Tutti i big del partito lo stanno abbandonando. Siamo in una fase di declino del renzismo. Non dovrà tanto preoccuparsi di Emiliano, che è un personaggio regionale, ma di Orlando, il vero competitor, che, con le primarie aperte, può catalizzare voti anche da fuori, anche quelli che non voterebbero il Pd. Renzi ha fallito perché è stato preso dal delirio di onnipotenza, si è convinto di poter fare tutto da solo, senza bisogno di nessuno, anzi irridendo gli avversari interni. Forse è stata catapultato troppo preso a Palazzo Chigi, aveva bisogno di un periodo di apprendistato facendo solo il segretario, bruciare le tappe non l’ha aiutato. Il suo approccio alle cose è insopportabile: prima faceva tutto schifo, ora che ci sono io aggiusto tutto. E’ incapace nella gestione dei conflitti, lo fa solo col randello in mano. Il suo è un governo di luci e ombre, ha fatto cose più positive che negative.
Salvati. Alle primarie Renzi è il grande favorito, ma non è detto che vinca, appunto perché il partito è contendibile. In questo momento non vedo personaggi alternativi a sinistra che possano intaccare la sua leadership. Se vince, lo fa anche per mancanza di alternative. Siamo in una fase di ruminazione profonda del renzismo, in cui l’ex premier farebbe bene a riconsiderare la sua proposta politica alla luce della nuova fase e dei cambiamenti in corso. L’ex segretario non può comportarsi come se il 4 dicembre non ci fosse stato. Lui ha la responsabilità di aver perso la scommessa. Sta commettendo il tragico errore di considerare la sconfitta temporanea, come fosse un incidente di percorso. Tra l’altro, dalla vocazione maggioritaria stiamo tornando verso il proporzionale: lo scenario è radicalmente cambiato e lui sembra incapace di adeguarsi.
Alla luce degli ultimi eventi e della situazione sociale ed economica in Italia, secondo voi ha ancora senso l’esistenza di un grande partito di sinistra di massa, erede del Pci, oppure si può andare in ordine sparso? Esiste ancora un elettorato o delle categorie sociali cui un partito del genere può parlare?
Pasquino. Oggi ha ancora più senso del passato costruire una grande forza di sinistra, che può anche non essere un partito in senso stretto. Io immagino una sinistra plurale, diffusa, gioiosa. Una presenza disorganizzata sul territorio che affronti i temi sul tappeto. Di certo non immagino un partito monolitico che si muove secondo la logica del centralismo democratico, quella era un’altra epoca e quello era il Pci, che ha svolto una funzione utilissima nella storia d’Italia e ha avuto tanti meriti. Ora però c’è bisogno di altro.
Ignazi. In Italia c’è ancora bisogno di un grande partito di sinistra, meglio avere una grande forza che tante piccole. C’è un elettorato e soprattutto ci sono categorie sociali che hanno bisogno di essere rappresentante, che hanno bisogno di risposte. Se cede il Pd, cede tutto il sistema: gli scissionisti sono stati irresponsabili anche per questo: non hanno minimamente tenuto in considerazione la tenuta del sistema Paese.
Salvati. I grandi partiti di massa sono finiti nel 92-94. La diatriba destra/sinistra è superata. Il problema è che siamo un Paese inefficiente, che non cresce, con un alto tasso di corruzione nella pubblica amministrazione. I partiti non hanno più la funzione di rappresentare classi o categorie sociali, ma devono dare risposte e indicare soluzioni a questi problemi. Non so se per fare questo sia meglio avere una grande forza unita o diversi piccoli partiti. Certamente in Italia paghiamo il fatto di aver saltato una fase e non aver avuto un grande partito socialdemocratico.
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