Draghi: gradimento alle stelle, ma quanto reggerà?

22 Febbraio 2021

È giunto dunque il turno di Mario Draghi, per cercare di risolvere i problemi pandemici, economici ed occupazionali che attanagliano il paese, dove tanti suoi predecessori hanno fallito, in particolare negli aspetti socio-economici irrisolti da decenni. E parte bene, l’ex capo della Bce, con un larghissimo favore sia tra le forze politiche che tra gli elettori. La fiducia che gli viene accordata dai cittadini italiani sfiora il 70% dei voti positivi, con un largo consenso proveniente, con l’eccezione di una buona metà dei pentastellati, da quasi tutti gli altri elettorati, nonché dalla cosiddetta “area grigia” (astenuti o indecisi), che molto spesso è il vero termometro per giudicare l’azione di un governo o di un Presidente del Consiglio: se si ottiene l’appoggio di coloro che non sono politicamente schierati, le fortune di un esecutivo possono infatti durare a lungo nel tempo.
Ma il vero problema di tutti i governi, dal 2006 in poi, è la loro capacità di tenuta negli anni. L’ultimo Presidente del Consiglio che è riuscito a terminare l’intera legislatura senza cambi di maggioranza o rimpasti decisivi è stato infatti Silvio Berlusconi, tra il 2001 e il 2006.
Da allora, in soltanto 15 anni, si sono succeduti ben 9 governi con 8 differenti premier: Prodi (2 anni), Berlusconi (3 anni), Monti (2 anni), Letta (meno di un anno), Renzi (quasi 3 anni), Gentiloni (un anno e mezzo), Conte I (1 anno), Conte II (poco più di un anno) e ora Draghi. Una durata media di 22 mesi, dunque, meno di un biennio in carica che ha reso praticamente impossibile operare in maniera significativa sull’assetto generale del paese e sulle necessarie riforme strutturali di cui questo ha bisogno.
Ma accanto alla ridotta durata degli esecutivi, un altro aspetto accomuna (quasi) tutti i premier succedutisi in questi ultimi 15 anni, ovvero il costante calo di fiducia nei loro confronti da parte della popolazione elettorale, a partire da pochi mesi successivi al loro insediamento. Dopo un primo periodo di “luna di miele”, il decremento del gradimento procede a passi spediti: nessuno riesce a confermare, o almeno a mantenere su livelli accettabili, il consenso fatto registrare nei primi mesi di governo.
Prodi, in carica dal 2006 al 2008, passa dall’iniziale 55% di valutazione positive al 32% poco prima delle sue dimissioni e il ritorno alle urne. Berlusconi inizia il suo mandato nel 2008 circondato da un buon favore, mantenendo un elevato livello di apprezzamento almeno per un anno, ma subisce anch’egli un deciso tracollo di fiducia, fino al definitivo 28%, quando è quasi costretto a dimettersi a causa del tracollo economico-finanziario del paese e il deciso incremento dello spread, nell’autunno del 2011.
Monti, chiamato alle manovre più impopolari per evitare al paese una bancarotta simile a quella greca, viene accolto inizialmente con il massimo livello di consensi mai registrato da quando esistono rilevazioni demoscopiche a riguardo: un tasso di fiducia che sfiora l’80%, ma già meno di un anno dopo perde oltre il 20% dei consensi, per arrivare a fine mandato alla quota più bassa di favore tra tutti i premier (il 25%).
Anche Letta ha un buon abbrivio, con il 68% di valutazioni positive ma, complice anche il ritiro di Forza Italia dalla maggioranza di governo, subisce un drastico ridimensionamento della fiducia nel suo esecutivo in pochi mesi, chiudendo al 30%.
Lo stesso Renzi, nel suo primo anno di governo, incontra un deciso favore popolare, incrementato dalla sua grande vittoria nelle Europee del 2014, grazie alla quale supera un livello di fiducia del 70%, destinata però a declinare repentinamente a partire dalla metà dell’anno successivo, quando perde oltre la metà dei suoi consensi, fino alla sconfitta al referendum del 2016 e alle sue dimissioni (32%).
Il suo successore, Paolo Gentiloni, non viene accolto da particolare entusiasmo dagli italiani: il suo tasso di fiducia iniziale è infatti il meno elevato in assoluto, pari al 45% ma, paradossalmente, è l’unico primo ministro che va in decisa contro-tendenza rispetto al percorso dei suoi predecessori. Il suo appeal personale, in quasi un anno e mezzo di governo, subisce un limitato ma costante incremento, con un giudizio positivo che vede coinvolti poco alla volta anche gli elettorati dei partiti di opposizione, chiudendo il suo mandato con un buon 50% di consensi.
Anche il primo governo Conte, sostenuto dalla maggioranza “giallo-verde” (M5s+Lega), ha inizialmente un ottimo livello di fiducia, che sfiora il 70% della popolazione elettorale ma subisce una contrazione decisa fino al 50% nei suoi pochi mesi di governo. Quando si ripresenta a capo della nuova maggioranza “giallo-rossa” (M5s+Pd+Leu), il suo appeal è inizialmente piuttosto ridotto (45%), destinato a incrementarsi in maniera significativa nel periodo della pandemia, quando viene valutato positivamente da oltre il 60% degli italiani.
Mario Draghi, come si è sottolineato, parte da un livello di consensi decisamente elevato, prossimo al 70% e secondo solamente a quello dell’altro “tecnico” Mario Monti. Sulla sua figura confluiscono le speranze di molti italiani per la ricostruzione di un paese messo in forte crisi dai problemi economici, occupazionali e sanitari. È sicuramente destinato a mantenere i propri consensi nei primi mesi di governo, come accadde appunto con Monti, ma è molto probabile che anche per lui nasceranno presto decise difficoltà nel momento in cui dovrà ricorrere a misure legislative divisive per le forze politiche che oggi lo sostengono.

Università di Milano

TAG: Draghi, presidenti del consiglio
CAT: Partiti e politici

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