I 5 Stelle tra protesta e utopia

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22 Giugno 2016

Il successo del Movimento 5Stelle soprattutto a Roma e a Torino ha innestato una valanga di commenti e giudizi su stampa nazionale ed internazionale del tutto comprensibili anche se non si è trattato né di un fatto omogeneo su gran parte del territorio nazionale né di un fatto del tutto nuovo per quel che concerne la responsabilità amministrativa del Movimento stesso. Basti considerare per quanto concerne il primo rilievo la assenza dei 5S a Milano; a Napoli e a Bologna per quel che concerne le maggiori città, e a Parma e Livorno per quel che concerne il secondo rilievo.

Siamo pertanto in presenza di un fatto che è ad un tempo molto nuovo (basti pensare al rilievo anche amministrativo di Roma e Torino rispetto a Parma e Livorno) ed antico qualora si ponga l’accento sulla protesta prevalentemente gestionale per quel che concerne Roma o piuttosto sociale per quel che concerne Torino. Appaiono inoltre comprensibili i numerosissimi commenti che tendono a porre in risalto le attese (ovviamente non del tutto eguali) della prova concreta dei nuovi sindaci (soprattutto di Roma e di Torino).

In questo contesto sembrano meno immediatamente attuali i commenti che devono tendere ad alcune caratteristiche del Movimento stesso. Si tratta invece di una questione di fondo relativa al Movimento mai sufficientemente indagata o compresa, al di là del linguaggio adottato soprattutto da Grillo all’inizio ma mai utilizzato dagli esponenti istituzionali 5 Stelle sia in sede nazionale (basti pensare a Di Maio o anche a Fico) sia in sede locale (e si pensi a Pizzarotti ed anche a Nogarin). Si tratta della ripetuta affermazione (fatta sin dall’inizio da Gianluca Casaleggio) della volontà del Movimento di tendere ad introdurre tutti gli strumenti possibili di una democrazia dei cittadini e non dei rappresentanti.

Siamo dunque in presenza di una nuova aspirazione alla democrazia diretta in sostituzione  e non già soltanto in adeguamento della democrazia rappresentativa che abbiamo considerato una sorta di punto di arrivo della evoluzione storica delle forme di governo accettabili pur con i loro difetti organizzativi e politico-istituzionali. Trovano quindi origine in questa aspirazione al passaggio dalla democrazia rappresentativa alla democrazia diretta tutte le indicazioni strategiche espresse dai 5S: dal principio Uno vale Uno all’uso tendenzialmente onnicomprensivo del referendum consultivo ( e si pensi non solo alla vicenda romana delle Olimpiadi ma anche e persino al referendum britannico sull’Europa): e si pensi all’invocazione all’onestà che i 5S non vedono in contrasto con la competenza perché la prima deve necessariamente essere qualità proprio di ogni cittadino mentre la seconda deve ovviamente essere basata su capacità operative.

La questione perciò è molto più profonda di quel che normalmente si pensi per ché non investe tanto la capacità amministrativa dei nuovi sindaci quanto il significato steso del cambiamento che i 5S intendono proporre all’intero Paese. Che si tratti di una questione di sostanza e non soltanto di modalità operative lo dimostra da ultimo il dibattito sulla natura dei partiti politici e dei loro bilanci. La nostra costituzione, infatti, aveva proprio nel rapporto tra cittadinanza  e politica il rapporto essenziale per quel che concerne l’agire stesso dei partiti politici.

E come tutti sappiamo l’articolo 49 della costituzione non è stato mai attuato perché erano radicalmente diverse proprio le idee concernenti natura e forma dei partiti politici. E infatti alcuni immaginavano che l’esperienza liberal-democratica poteva contenere differenze di modi (monarchia o repubblica; parlamentarismo o presidenzialismo; unitarietà o federalismo; accentramento istituzionale-burocratico o autonomismo municipale) ma non di sostanza rispetto al modello libera-democratico delle potenze occidentali vincitrici della Seconda Guerra Mondiale. Ma sappiamo del pari che il Partito comunista Italiano vedeva nell’esperienza sovietica della Rivoluzione d’Ottobre   allora conosciuta una sorta di determinismo storicistico anche per quel che concerneva il rapporto tra cittadini e politica, così come non casualmente la componente cattolico-democratica parlava più di una forma nuova di democrazia (la Democrazia Cristiana, radicalmente distinta proprio in quanto democrazia più e prima ancora che in quanto partito dalle esperienze anglo-franco-americane di democrazia).

La mancata attuazione dell’articolo 49 della costituzione aveva pertanto una ragione storica molto profonda ed infatti il progressivo approdo ed una qualche sorta di idea comune della democrazia in senso liberal-democratico inizia  in Italia soltanto nel 1989 con la caduta del muro di Berlino dapprima e soprattutto nel 1991 con la susseguente fine dell’Unione Sovietica. È infatti di tutta evidenza che abbiamo finito con il  far coincidere l’idea di democrazia con la natura rappresentativa della democrazia medesima finendo di conseguenza nel vedere nei partiti politici soltanto i soggetti in qualche modo titolari della rappresentanza stessa dei cittadini. Siamo dunque  di fronte ad una vera e propria idea (utopica?) di democrazia che è allo stesso tempo una idea di cambiamento non soltanto generazionale ma anche sostanziale.

Il fatto che i 5S sin dall’inizio abbiano fatto uso degli strumenti tecnologicamente moderni del web (e si pensi alla recentissima adozione della piattaforma Rousseau) conferisce alla tradizionale dimensione utopica del primato assoluto dell’onestà rispetto alla competenza anche amministrativa una connotazione moderna alla quale non si è sino ad ora prestata la necessaria valutazione  concentrando l’analisi e quindi l’attenzione quasi esclusivamente alla dimostrazione  della capacità di buon governo da parte delle due nuove sindaci di Roma e di Torino.

Si sono infatti svolte approfonditissime analisi concernenti la rivolta contro il malaffare ( come nel caso di Roma) o tese ad  una generica volontà di cambiamento dei gruppi dirigenti  sulla base di un talvolta troppo generico nuovismo generazionale (salvo ad essere smentiti a Trieste e a Benevento), ma si sono troppo trascurati i profili forse utopistici che il Movimento pone al centro della sua aspirazione ad una qualche forma di centralità alternativa proprio alla democrazia rappresentativa che abbiamo ritenuto essere l’approdo naturale dell’esperienza liberal-democratica. Prepariamoci pertanto a vedere questa esperienza non soltanto amministrativa.

Nella sua radicalità si tratta di una ipotesi utopica quanto quelle che l’hanno preceduta ( basti pensare alla famosa cuoca di Lenin) ma in forma minore saremo in presenza di un tentativo di sostituire il più possibile i referendum consultivi alle determinazioni politiche radicali e assisteremo alla sostituzione dei tradizionali strumenti disciplinari interni ai partiti politici con le votazioni on line degli iscritti.

Se infatti parliamo tanto delle radicali novità introdotte dalle nuove tecnologie (e si pensi alle modalità di finanziamento delle spese elettorali di Obama nella sua prima campagna presidenziale) dobbiamo saper guardare ai mutamenti introdotti dal Movimento 5S anche e soprattutto da questo punto di vista.

TAG: movimento cinque stelle
CAT: Partiti e politici

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