I renziani sono diventati più talebani di Grillo
“Renzismo” e “renziano” sono due categorie recenti della politica che sono destinate a durare nel tempo. Non è la prima volta che il nome di un leader dà vita a un fenomeno politico. Appena prima di Renzi toccò a Berlusconi e, per restare nella sinistra, ci furono il “craxismo” e i “craxiani”, oltre che il “dalemismo” e i “dalemiani”.
Il tratto di novità che si può riscontrare in quest’ultima etichettatura di un fenomeno politico e dei suoi seguaci è che questa volta non si cita l’uno o l’altro per definire solo un’appartenenza ovvero una fedeltà ma anche un modo di essere. “Renzismo “ e “Renziani” indicano un tipologia di uomo/donna- politico/a che fa scattare le lancette dell’orologio dalla data in cui il leader ha preso il potere o il simulacro di esso e si caratterizza non solo in opposizione a fenomeni politici contrari (per Berlusconi e Craxi era il neo-comunismo), ma anche a categorie sociali oltre che politico-culturali.
“Renzismo” e “renziani” sono auto-definizioni di una popolazione politica, di militanti politici ovvero di nuovi professionisti della politica, che si contrappongono a tutto ciò che è vecchio sia per età anagrafica sia per aver avuto corso negli anni, nei decenni, direi secoli, precedenti. In questo senso il “renzismo” e i “renziani” sono più radicali di Grillo e dei grillini che, poveracci!, si limitano a voler mandare in galera tutti coloro che hanno governato finora.
I seguaci di Renzi, invece, sembrano puntare a una vera pulizia etnica. L’altra categoria che si attaglia al “renzismo” e ai “renziani” è un uso più spregiudicato dell’idea di trasversalità. Qui siamo andati ben oltre il superamento delle ideologie che condannava chiunque avesse avuto fede in qualcosa. Qui invece c’è, al pari delle fedeltà ad una setta, l’idea che tutto ciò che si ispira alla religione del “nuovo” e del “giovane” ha i crismi della santità, tutto ciò che si oppone è “demoniaco”.
In verità agli inizia della Seconda repubblica, e nel pieno fulgore berlusconiano, assistemmo ad un fenomeno analogo. Dire “prima repubblica”, epoca in cui Berlusconi e i suoi nuovi amici era cresciuti e si erano arricchiti, divenne una bestemmia e la virtù della Seconda repubblica stava solo nel fatto di essere venuta dopo la Prima, indipendentemente se si fosse rivelata migliore o peggiore. Accade la stessa cosa con il “renzismo” e i “renziani”: tutto il passato si schiaccia sul peggio, l’intero Ulivo, tutta la sua classe dirgente come se l’Italia fosse vissuta in un inferno dal quale i ragazzi del ragazzo di Firenze sono venuti a salvarci. Siamo passati da una narrazione berlusconiana dell’Italia come paese uscito dal socialismo reale e non da un lungo dominio democristiano e/o socialista a un’altra narrazione altrettanto criminalizzante.
Se le cose stanno come sommariamente, e anche un po’ forzatamente, sto descrivendo, appare evidente che il fenomeno di cui parliamo esce dagli argini della politica, in cui è ristretta dalle difficoltà parlamentari, dalla minoranza del Pd, dai sindacati, per diventare un indirizzo strategico di un movimento politico che tende ad avvolgere l’intera società, con vocazione totalizzante (non dico totalitaria) e che tende soprattutto a dare il carattere di deviazione dal corso naturale delle cose a fenomeni o persone che si oppongono.
Il paradosso è che la versione più apparentemente liberale del socialismo e della sinistra incardinata su Renzi sta assumendo i contorni messianici del movimento millenaristico. Probabilmente è l’antico ritorno dell’anomalia italiana. “Renzismo” e “renziani”, invece di essere la più limpida, e pur sempre discutibile, applicazione del modello americano al sistema politico italiano, appare come una delle tante manifestazioni del populismo nostrano con leader eccezionali che guidano un esercito di incorrotti e di popolo festante soggiogato dal vecchiume marcio e soffocante.
Renzi potrebbe ancora fare a tempo a liberarsi di questa guaina che lo sta, per sua diretta responsabilità, avvolgendo modificandone le sembianze. Potrebbe scegliere di dichiarare finite tutte le sue guerre generazionali e ideologiche riconoscendo parità a tutti i cittadini italiani di qualunque età e di qualunque opinione. Potrebbe svestire i panni dell’Arcangelo Gabriele che è venuto sulla terra per salvarci e invece assumere quelli dello statista liberale che deve fare una gran fatica per tirare fuori il suo popolo da una grande difficoltà. Dovrebbe mandare a casa i seguaci, i suoi “talebani”, i suoi “bambini di dio”. Non c’è bisogno di altri fanatici in un mondo che ne è pieno. Scelga lui a quale leader liberale vuole assomigliare, ma guardi all’Occidente, non si distragga con altri modelli anche latini.
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