La bella vita di Matteo Renzi
Matteo Renzi fa la bella vita. Non perché gira con l’elicottero di Stato per coprire brevi distanze, non per i gusti da viveur in fatto di ristoranti emersi dalle sue “spese pazze” ai tempi della presidenza della provincia di Firenze; ma perché, a memoria, non si ricorda un primo ministro la cui vita politica filasse così liscia. Non è il caso di fare un excursus della carriera di Renzi fin dai tempi in cui era uno studente ammiratore di Giorgio La Pira, basta guardare all’oggi.
Matteo Renzi, semplicemente, non ha nessuna opposizione che possa metterlo in difficoltà; nessuno che abbia davvero intenzione di andare alle elezioni e, soprattutto, nessuno che, se anche si andasse a elezioni, sarebbe in grado di batterlo. Da un punto di vista “governativo”, il Partito Democratico è la sola scelta a disposizione dell’elettorato. Difficile ricordare un altro momento simile nella storia recente italiana, segnata da una marea di momenti critici, spaccature, cadute improvvise di governi e quant’altro.
Un ruolo fondamentale l’ha giocato Matteo Salvini, il vero asso nella manica di Renzi. Il segretario della Lega Nord sembra aver intrapreso con decisione la strada che lo porterà a essere il leader di una forza dai grandi numeri, ma che per la sua stessa natura non ha chance di andare al governo. Troppo estremista e quindi impossibilitata a vincere (tanto più se ci si rifiuta di ricostruire un’improbabile coalizione con Forza Italia e Ncd). L’assicurazione definitiva è che, a Salvini, va benissimo così: l’opposizione dura e pura libera da quell’onere fastidioso (e controproducente in termini di consensi) che sono le responsabilità di governo.
Non è neanche il caso di prendere in considerazione che avversario potrebbe mai essere Forza Italia per Renzi. La maggior parte dei fan di Silvio Berlusconi vede in Matteo Renzi l’ideale erede del Cavaliere, e in molti probabilmente già l’hanno votato e lo voteranno ancora. Forza Italia, poi, è allo sbando: la tenacia feroce con cui Berlusconi si attacca alla sua moribonda leadership – senza decidersi a passare la mano e a consentire al suo partito di reinventarsi, passando dalle primarie, e facendo nascere un partito di centrodestra moderato e de-berlusconizzato – è comprensibile solo ed esclusivamente dal punto di vista personale del Cavaliere. Lo scontro in atto con Fitto ne è la logica conseguenza. Renzi ringrazia: gli avversari sono talmente deboli che può fare a meno del patto del Nazareno (almeno per ora).
Uscendo dal recinto martoriato del centrodestra troviamo quello che è il secondo partito italiano: il Movimento 5 Stelle. Visti i consensi che, secondo i sondaggi, viaggiano attorno al 20% (ampiamente sopra la Lega Nord, quindi), ci si aspetterebbe che il vero partito di opposizione, quello in grado di mettere in difficoltà il premier, fosse proprio il M5S. E invece la testardaggine con cui ci si è rinchiusi nelle proprie posizioni oltranziste ha avuto due sole conseguenze: la perdita di un numero consistente tra deputati e senatori (se non sbaglio, 35) e la progressiva marginalizzazione del M5S dal dibattito politico, sul quale ha gradualmente perso ogni capacità di far sentire la propria voce riducendosi a puntare tutto sugli irrealizzabili referendum per l’uscita dall’euro e reddito di cittadinanza. Due proposte che gli consentiranno di tenere alti i consensi solo finché il bluff non verrà scoperto. La situazione è talmente grave che Beppe Grillo, con l’intervista al Corriere, sembra essersi messo a inseguire Renzi. Una giravolta completa che il leader pentastellato ha provato a nascondere, ma che non si può interpretare in altro modo.
Lasciamo perdere la sinistra interna al Partito Democratico: sempre in attesa di un matrimonio con Sel che non si sa quando sarà celebrato; sempre a fare la voce grossa contro Renzi salvo rientrare nei ranghi nel momento del bisogno (ché di andare a elezioni non ci si pensa proprio), sta giocando un ruolo molto comodo (per Renzi): quello di opposizione al governo del suo stesso partito. Una opposizione che, per forza, di cose, non può mai passare dalle parole ai fatti. Se davvero si tornasse al voto a causa di una ribellione dei parlamentari democratici, quanti di questi verrebbero rieletti in quota Pd? E se anche si farà un nuovo partito della sinistra, quali saranno i consensi? Troppe incognite per rischiare l’osso del collo.
E così, mentre tutti abbaiano e nessuno morde, Renzi ringrazia e prosegue indisturbato: l’orizzonte è il 2018. Se invece si andrà prima a elezioni, poco importa: l’unico vincitore possibile è lui, soprattutto se riesce a portare a casa per tempo l’Italicum.
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