I primi 73 giorni di legislatura la dicono lunga sulla fine della cultura politica ancor più dell’esaurimento delle culture politiche e della fine delle ideologie, da Fukuyama a Lucio Colletti. Raccontano, questi giorni, con plastica estetica non il “fare la storia” ma il tentativo di occupazione del potere da parte dei partiti in senso quasi stalinista.
Mi spiego: in un regime parlamentare come il nostro declinato con una legge elettorale sostanzialmente proporzionale è vero che non si corre per vincere ma per formare una maggioranza attraverso accordi post elettorali; ed è anche vero che i protagonisti sono, con competenze diverse, il Presidente della Repubblica (che non è per nulla un arbitro, un’altra delle sciocchezze di questi giorni), il presidente del Consiglio incaricato e i partiti in Parlamento. È cioè compito del Presidente del Consiglio incaricato non solo proporre al Quirinale la lista dei ministri ma soprattutto comporre il programma che il suo governo proverà ad attuare in rapporto con i partiti presenti nelle Camere partendo dalla maggioranza che lo ha indicato e con un occhio al complesso del Parlamento, cioè al Paese che rappresenta, attraverso una mediazione, iniziale e poi quotidiana, lontanissima dalla visione determinista della Storia che sottenderebbe ad un “contratto”. Il “contratto” per definizione si occupa di composizione degli interessi tra due parti, in una parola: il Potere. Un accordo politico, al contrario, è una cosa più ampia all’interno del quale il Potere c’è ed eccome ma si dà mandato e autonomia all’esecutivo per trovare obbiettivi e metodi i più consoni alle speranze del Paese.
Ciò a cui stiamo assistendo e il cui esito è tutto da definire nella pratica ma già pernicioso nella sostanza è al contrario la autentica occupazione del Potere praticata da due partiti i cui due leader stanno cercando una formula per spartirselo, sia esso il complesso delle più di 300 nomine negli enti controllati dallo Stato o le spoglie del bilancio pubblico. Se la stanno vedendo loro, i partiti di questa nuova Partitocrazia (se un vocabolo della cultura politica è ancora riconoscibile), al punto da non riuscire a identificare un Presidente del Consiglio il cui ruolo sarebbe comunque ridotto a pochissima cosa, commissariato dalle segreterie e forse dai suoi due vicepresidenti e, ancor più grave, senza una interlocuzione parlamentare dato che gli stessi deputati forse non avrebbero un orribile e illiberale vincolo di mandato ma sarebbero privati di ogni spazio dal ricorso ai gazebo “aperti a tutti” e al referendum on line, autentici simulacri di una democrazia diretta truffaldina alla ricerca di una legittimazione del “Contratto” in netto contrasto con quella offerta dal regime costituzionale parlamentare.
Perché i due possono comportarsi in questo modo? Tralasciando per opportunità di tutti un giudizio sull’operato del Quirinale la sostanza è che i due agiscono in un regime di oligopolio: non esiste cioè per gli elettori non tanto una maggioranza alternativa ma una offerta politica differente perché i “perdenti” non hanno minimamente intrapreso un percorso di revisione e rinnovamento della loro offerta, nemmeno hanno avuto la capacità, Berlusconi escluso a dire il vero, di provare a giocare la partita essendo pure loro concentrati solo sul Potere, la guerra interna al PD e quella interna al Centrodestra. I cittadini nel momento in cui dovessero ritrovarsi a vestire i panni degli elettori si troverebbero a dover scegliere tra le medesime opportunità di tre mesi fa e anche dovesse uscire una risicata maggioranza parlamentare essa dovrebbe comunque fare i conti con la realtà, perché la politica non è campata per aria, e la realtà è determinata da due dati di fatto ben più forti di qualsiasi “Contratto”: i Trattati europei e le condizioni del bilancio pubblico. Tu puoi anche trovare un accordo sul Potere e sulle nomine ma la collocazione internazionale del Paese e il nostro debito sono realtà ineludibili. Non per niente sono le due che i due vorrebbero asfaltare.
La morale, termine lo riconosco un po’ forte, è che siamo finiti in una sorta di democrazia bloccata occupata dalla partitocrazia che deve fare i conti con i vincoli internazionali: i Millennials non sanno di cosa sto parlando ma io questa Storia me la ricordo bene.
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Post Scriptum: la citazione di uno dei due sul “fare la Storia” mi ha fatto rabbrividire. Il giovanotto ha frequentato il Liceo Ginnasio, alcuni studi non dovrebbero essergli alieni: per questo gli restituisco il brivido postando qui in calce il più celebre passo di uno straordinario interprete della modernità che lui certamente avrà incontrato tra i libri:
“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradio, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che gli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”.
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