La politica sceglie la produttività anziché la salute
Siamo a novembre, i casi di coronavirus continuano a salire, gli ospedali si riempiono e il governo sta presentando un nuovo decreto. Queste sono le certezze su cui possiamo contare oggigiorno, insieme al fatto che l’imperativo della produttività più che quello alla lotta al virus si impone sulle scelte dell’esecutivo. Si era detto in primavera che eravamo come in guerra e come in guerra si stabilisce un fronte interno in cui lo sforzo della popolazione deve sostenere le armate al fronte, così oggi questa stessa popolazione si vede imporre la parola coprifuoco e sacrificio come se ne andasse della tenuta dei confini e di un’invasione del nemico.
A tutto questo si ì arrivati in un crescendo di non detti e di imposizioni verticali volta per volta più restrittive e apparentemente inefficaci. Perché il governo, che ormai esercita un fortissimo potere esecutivo e con le forze di polizia lo fa rispettare, non riesce a comunicare una strategia chiara alla popolazione? Partiamo dalla parola coprifuoco. I cittadini, almeno qua in Lombardia, hanno reagito credendo che bisognasse restare chiusi in casa dalle 23, quando in realtà erano proibiti gli spostamenti. Questo si inquadra in una reazione da psicologia delle folle, complice un input confuso degli stessi organi di informazione, ma la legge non ha mai detto di dover rimanere a casa dopo quell’ora, o proibito di rientrare a casa se si fosse già per esempio da amici. Il peso della responsabilità di veicolare il virus e la paura della punizione pecuniaria, hanno reso più restrittiva una misura che invece doveva far dubitare della sua stessa efficacia.
Se si entra nel merito di quello che ha fatto il coprifuoco, con la chiusura dei luoghi di frequentazione serale come cinema, teatri, bar e ristoranti si poteva già vedere al netto di qualche eccezione che per strada non c’era nessuno. Si era detto la movida, cioè il godimento del tempo libero fuori dal lavoro, è l’origine di tutti i mali, la colpa è individuale. O meglio si era intuito, perché il governo, la politica sta fallendo comunicativamente sulle strategie a medio termine, si impone senza onestà nei confronti di chi legittima il loro potere. Il popolo è considerato bue e va messo al giogo, e così il popolo senza spiegazioni si ritrova a cercare da sé la giustificazione di un’estate all’aperto e di un inverno in clausura. Il problema è che la scienza medica interpellata quotidianamente non ha fatto una bella figura e tra litigi e ritrattazioni non è riuscita a spiegare l’entità del pericolo o una strategia collettiva che vada di là del buon senso personale di lavarsi le mani e indossare la mascherina. Ma non era nemmeno suo compito, perché ciò che crea i due estremi piscologici attuali, il panico e il negazionismo, ricade sulle spalle della politica che doveva presentare le sue scelte motivandole con indicazioni scientifiche.
La politica invece è solo stata capace di imporre senza giustificare, così da alimentare la confusione e il complotto, con l’andare avanti dei provvedimenti in cui emergevano paradossi e contraddizioni, mentre gli ospedali si riempivano. Il coprifuoco è solo l’ultimo di una lunga lista paradossale. Perché fare una restrizione serale? Il virus controlla l’orologio per contagiare o attende le vittime come Jack lo squarciatore tra i viottoli in penombra, alla luce fioca dei lampioni? La maggioranza dei contatti avviene durante la giornata, nelle ore lavorative e di luce, che non si riescono a controllare per incapacità nel tracciamento dei casi, e per la mancanze nella sanità e nei trasporti. Ma quest’ovvietà scompare se ragioniamo col paradigma della produttività, il grande non detto che guida le scelte e alimenta tutta la grande pira in cui bruciano gli ultimi tendini che collegano la politica ai cittadini. In realtà è una logica che emerge dal subconscio del potere, con dichiarazioni agghiaccianti come le ultime del presidente Toti e del sindaco Sala o del deputato Borghi: in pratica il virus colpisce in maggioranza gli anziani, ormai non più produttivi quindi bloccare le attività lavorative non ha senso, perché tanto muore chi già non produce. Una dichiarazione politica che accumuna tutte le aree di rappresentanza, dal PD alla Lega.
È un accumulo programmatico di disinteresse verso il bene pubblico, a partire dai danni fatti alla sanità nazionale in nome di quella privata. E ancora, i lavoratori sono intesi come ingranaggi, parte della macchina produttiva che non si può fermare perché il modello economico non lo prevede e il sistema capitalista fallisce nel prendersi cura degli interessi delle persone come la salute e il lavoro. Perché la realtà è che non c’è nessuna guerra da vincere, ma solo delle razionalizzazioni da fare. Le persone dovrebbero stare a casa, poter uscire con la mascherina e avere tutelati, non la produttività e la crescita infinita che interessa a pochi, ma quelli che sono i diritti fondamentali la salute e il lavoro, la possibilità di godere del tempo libero. Questo si poteva fare senza bloccare le filiere produttive necessarie, assumendo per ricambio i lavoratori, e facendo rimanere a casa con sussidi i lavoratori non necessari. Ma la politica ha fallito, anche per errori pregressi, la sua strategia sanitaria e comunicativa, e l’unica cosa lineare nella testa dei politici son stati gli interessi produttivi, preferendo consigliarsi con Confindustria che con i medici. Così ora, come in primavera, si muore a migliaia, si criminalizza l’individuo anziché le scelte politiche collettive, la rabbia e la fame crescono e il rischio di contagiarsi rimane.
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