Il 2023 sembra rappresentare realmente una sorta di anno zero, un clima quasi da ultima spiaggia, per il Partito Democratico. Il PD è reduce da una delle peggiori performance elettorali della sua breve storia, nelle politiche dello scorso anno, ribadito in (quasi) tutte le successive consultazioni elettorali, regionali o comunali che fossero, con soltanto alcune blande eccezioni.
Il risultato delle legislative, come sappiamo, oltre ad essere oltremodo deficitario in sé, non è stato nemmeno accompagnato da una tenuta generale della coalizione di centro-sinistra, distaccata di oltre 15 punti da quella di centro-destra, che ha stravinto le consultazioni e che, se non cambieranno i rapporti interni all’area di maggioranza, è destinata a governare senza grosse difficoltà nei prossimi anni di legislatura, fino al 2027, se non oltre.
Dopo un primo decennio di sostanziale competitività elettorale, il Partito Democratico, nel suo secondo decennio di vita, non ha mai dimostrato di possedere quella “vocazione maggioritaria” che lo stesso Veltroni aveva indicato come necessaria ed indispensabile per poter correre in solitaria nelle diverse competizioni elettorali. L’opinione pubblica, gli iscritti e gli stessi cittadini vicini al partito chiedono a gran voce un sostanziale cambio di rotta, dopo anni di costante litigiosità, e della messa in campo di una reale proposta politica alternativa a quella del governo di prima di centro-destra e poi più decisamente di destra-centro, incarnato dalla Lega di Salvini prima e da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni oggi.
Buon ultimo, il risultato del voto in Molise del mese scorso rappresenta il compimento di tutti i fallimenti e le deficienze della compagine di opposizione. In questa occasione non è più il caso di derubricare il risultato di quelle amministrative ad un evento elettorale secondario, nonostante si tratti di un voto regionale e per giunta di una piccola regione.
Siamo giunti ad una sorta di punto di svolta della politica italiana, l’anno zero del principale partito di opposizione, perché sono progressivamente caduti, uno dopo l’altro, tutti i pilastri che fino a poco tempo fa parevano favorevoli alla sinistra. Possiamo contarne cinque.
Uno. L’astensionismo non favorisce più il centrosinistra: da almeno quattro-cinque anni, dalla vittoria di Salvini alle Europee del 2019, meno gli elettori vanno a votare, più la destra risulta vincente. Una volta, si diceva che il popolo della sinistra fosse più desideroso di partecipare, era più sensibile al dovere civico. Oggi, perfino nei ballottaggi, resta più volentieri a casa, lasciando campo libero agli avversari. Chi non è motivato ad andare al voto oggi è l’elettore medio di centrosinistra.
Due. Il voto dei centri rispetto alle periferie. Le città relativamente più grandi, poco alla volta stanno voltando le spalle alla sinistra: per tornare al Molise, a Isernia la maggioranza di destra ha vinto con un vantaggio di 35 punti percentuali rispetto alla media regionale; a Campobasso, dove il candidato governatore della coalizione progressista, il pentastellato Gravina, si era imposto come sindaco solo tre anni fa con il 77% dei voti, a questo giro si è registrato un pareggio tra le due coalizioni. E lo stesso è accaduto in numerosi comuni alle precedenti amministrative, Ancona, Siena, eccetera, con solamente qualche sporadica eccezione, dove peraltro il candidato non veniva espressamente appoggiato dai vertici di partito.
Tre. L’alleanza tra 5stelle e Pd non funziona quasi per niente. Rispetto alle precedenti politiche dello scorso anno, dove correvano separatamente, i due partiti assieme (sempre in Molise, ma anche in comuni perduti dalla sinistra come Brindisi) perdono almeno il 15-20% dei voti.
Quattro. Il campo largo, l’alleanza con altre forze di opposizione, non esiste più. Molti argomentano di una deriva di sinistra, lasciando il partito, ma molti di più argomentano che non c’è la possibilità quasi “fisica” di unirsi per rifondare una coalizione più o meno coesa con l’obiettivo di vincere la destra. Prodi e Parisi ci riuscirono, con le successive difficoltà di coesistenza che sappiamo, ma quanto meno riuscirono a vincere le elezioni e a governare per qualche anno.
Cinque. La strada per costruire una coalizione competitiva con il centrodestra a guida Meloni è lunga. La luna di miele tra governo ed elettorato prosegue, così come la forza attrattiva di Fratelli d’Italia che sta conquistando sempre più consensi nell’area moderata. Senza che la nuova opposizione individui temi chiave che possa convincere i cittadini. Al di là dei sacrosanti diritti civili, servono proposte convincenti su lavoro, salari, sviluppo, sanità, trasporti.
Se Elly Schlein sarà capace di strutturarsi con un programma convincente le forze di opposizione potranno tornare a essere competitiva, ma è molto difficile farlo prima della fine di questa legislatura. Ora siamo veramente all’anno zero.
Università degli Studi di Milano
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