Se la prima volta pochi si aspettavano una vittoria di Donald Trump nelle presidenziali statunitensi, quanto meno nei lunghi mesi delle primarie repubblicane, quest’anno le sue chance di essere (ri)eletto si sono paradossalmente molto accresciute. Nonostante i sondaggi gli diano uno svantaggio piuttosto considerevole nel voto popolare, rispetto alla sfida di quattro anni orsono con Hillary Clinton, e che siano aumentati gli Stati in bilico (almeno undici, in molti dei quali è Biden che pare in vantaggio), numerosi sono i segnali di fondo a lui favorevoli. Vediamoli brevemente.
L’outsider. Quattro anni fa Trump si presentava come il vero outsider, rispetto all’establishment sia democratico sia repubblicano; durante e dopo la presidenza la sua alterità è divenuta in qualche modo ancor più evidente, con un comportamento piuttosto singolare nella politica interna ed estera, oltre che nelle sue modalità comunicative certo molto differenti dalla mainstream presidenziale di tutti i suoi predecessori. Avere un POTUS così eccentrico può rivelarsi per una parte significativa della popolazione piuttosto sgradevole, ma può essere gradito da una parte altrettanto numerosa, se non più numerosa, di elettorato conservatore, soprattutto quella che non ha condiviso e non condivide le politiche troppo liberal di Obama e del suo vice Biden.
L’incumbency. Prima della sua elezione, nel 2016, molti osservatori avevano preconizzato un quadriennio caratterizzato da una sostanziale incapacità da parte del tycoon di reggere l’impatto con il suo ruolo di guida del paese. Se facciamo eccezione della sua leggerezza nel confrontarsi con la pandemia di Covid-19, molte delle sue scelte politiche ed economiche hanno avuto livelli di gradimento piuttosto elevati da parte della popolazione, soprattutto nel campo occupazionale. Almeno fino ai primi mesi del 2020, le previsioni sul futuro del paese parevano rosee e, virus a parte, ancora potrebbero esserlo nel prossimo futuro. Avere un presidente che si è dimostrato, a parere della sua parte politica, in grado di gestire positivamente l’economia del paese, a fronte di un candidato democratico più anziano e non particolarmente brillante, potrebbe convincere gli incerti a ridare la propria fiducia a Trump.
Le survey. Quasi tutti i sondaggi degli ultimi mesi hanno indicato un vantaggio significativo da parte dello sfidante, che è arrivato ad un certo punto ad un +15% nelle intenzioni di voto. Benché più recentemente il distacco si sia ridotto a 6-7 punti, questo gap – spalmato al livello dei diversi Stati – potrebbe permettere a Biden di riconquistare quei territori che hanno determinato la sconfitta di Hillary nel 2016. Ma il vero e noto problema dei sondaggi è lo scarso coinvolgimento da parte di una fetta considerevole di elettori periferici e/o con bassi livelli di istruzione, quelli più vicini al presidente uscente. E, accanto, anche il consueto problema della desiderabilità sociale che, in questa occasione, potrebbe nascondere nelle rilevazioni un’adesione a Trump che viene spesso stigmatizzata dai principali media, e forse viene mal giudicata dall’opinione pubblica più acculturata. Una quota di voto nascosto che potrebbe dunque rivelarsi decisiva nelle cabine elettorali degli Stati ancora in bilico e permettere la riconferma di Donald Trump.
Università degli Studi di Milano
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Purtroppo rivincerà. (spero di sbagliarmi)