Tutti sconfitti a sinistra

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15 Giugno 2015

Due settimane fa le grandi sconfitte delle elezioni regionali erano le figurine di Renzi, vale a dire Raffaella Paita e Alessandra Moretti; oggi il grande sconfitto è Felice Casson, candidato espressione della minoranza Pd; anzi, della minoranza Pd più intransigente, quella che faceva riferimento a Pippo Civati prima che lasciasse il partito.

Lasciamo perdere un secondo i freddi numeri, che vedono comunque il Pd uscire vincitore nella maggior parte dei comuni. Perché la politica, soprattutto se si vuole considerare l’impatto che le elezioni hanno sull’opinione pubblica, è più materia di simboli che di numeri. E i simboli ci dicono che il Pd ha perso la Liguria, ha fatto una figuraccia in Veneto e ha perso anche Venezia. E soprattutto, che gli sconfitti sono sia nella maggioranza renziana, sia nella minoranza di sinistra.

Tutti sconfitti a sinistra, quindi? In un certo senso, sì. Da ieri notte gli esponenti più fedeli di Renzi si stanno già lanciando contro la minoranza esattamente come civatiani, bersaniani & co. avevano dato addosso a Renzi due settimane fa. Il vero miracolo, in tutto questo, è aver resuscitato un centrodestra che esce brillantemente (almeno dal punto di vista simbolico) da delle elezioni che, nelle speranze di molti, avrebbero dovuto certificarne la disfatta. La rinascita di una coalizione di centrodestra (sotto forma di lista, visto il meccanismo dell’Italicum) è decisamente più probabile.

Ma di chi è la colpa? Delle regionali, abbiamo già detto: la candidatura di Raffaella Paita è stata in grado di premiare nientemeno che Giovanni Toti, la candidatura di Alessandra Moretti si è schiantata contro un politico vero come Luca Zaia. Per quanto riguarda Venezia, non ha certo aiutato il fatto che il governo Renzi stia vivendo un momento difficile, che l’emergenza immigrazione premi naturalmente la destra, che la corruzione di Mafia Capitale penalizzando (a torto o ragione) principalmente il Pd, ovviamente non si può dimenticare lo scandalo Mose, che ha coinvolto (anche) il sindaco di Venezia del Pd Giorgio Orsoni.

Insomma, le precondizioni per una sconfitta c’erano un po’ tutte. Ma non si può dimenticare l’aspetto probabilmente più importante in assoluto: un partito diviso e lacerato com’è il Partito Democratico non può che indebolire ogni candidato che presenta. I candidati renziani subiscono la fuga della sinistra, i candidati della minoranza subiscono la fuga del centro (e infatti Brugnaro ha fatto un bel lavoro nell’accattivarsi i “moderati di sinistra”).

Un partito diviso a metà diventa vittima di se stesso e della sua spaccatura. A questo punto, le cose sono due: o ci si rassegna al fatto che chi vince le primarie per la leadership del partito è, in effetti, il leader e come tale decide l’impostazione strategica da dare – dopodiché tutti gli vanno dietro come un sol uomo coltivando nelle retrovie la vendetta da compiersi solo ed esclusivamente alle prossime primarie – oppure ci si divide, si fanno due partiti e non se ne parli più.

Anche perché è meglio separarsi e creare semmai un’alleanza basata su ciò che unisce, che stare assieme e passare il tempo a sottolineare ciò che divide. I risultati, li abbiamo visti.

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CAT: Partiti e politici

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