Un compromesso astorico: la riforma renderá meno facile cambiare la costituzione

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2 Dicembre 2016

(con Valentino Larcinese)

La riforma costituzionale su cui ci apprestiamo a votare viene spesso definita come imperfetta ma comunque un passo nella direzione giusta. Se qualcosa funzionerà male, si dice, si potrá porvi rimedio, le imperfezioni e incongruenze che tutti più o meno riconoscono potranno essere limate in un momento successivo. Questa e’ una visione ottimista di quello che potrà succedere dopo il referendum. In realtá se la riforma passasse diventerebbe in futuro molto più difficile modificarla. L’articolo 138 della Costituzione non è oggetto di modifica e continuerà a regolare l’iter di approvazione delle modifiche alla carta. Esso è concepito per cambiare la Costituzione di un sistema bicamerale perfetto, dove le camere hanno le stesse funzioni, sono legate allo stesso modo all’esecutivo, sono elette direttamente e contemporaneamente dagli elettori (la contemporaneità non e’ necessaria ma non si e’ mai verificato che venisse sciolta una sola camera).

Le maggioranze necessarie per apportare modifiche alla Costituzione sono, come abbiamo visto negli anni, molto difficili da raggiungere e possono diventare quasi impossibili con il nuovo Senato rendendo la Costituzione ancora più rigida. Questo viene dimostrato analiticamente in un articolo pubblicato a settembre sulla Italian Review of Political Science da George Tsebelis, professore di scienza della politica presso la University of Michigan. Usando la teoria dei veto players, di cui peraltro Tsebelis è uno dei massimi esperti, è piuttosto semplice dimostrare che le ridotte competenze del Senato sulle leggi ordinarie aumenteranno la capacità del governo di implementare le politiche che più desidera. Da alcuni questo è visto come un miglioramento del sistema, da altri come una riduzione della sovranità del parlamento. In ogni caso per le leggi ordinarie possiamo dire che l’impatto sara’ quello desiderato dai riformatori. Il contrario invece succedera’ per quelle materie per le quali rimarrà in vigore il bicameralismo perfetto, ossia (citando i casi principali dal nuovo art. 70) “per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, (…), per le leggi che determinano l’ordinamento, la legge elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città Metropolitane, (….), per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione Europea (…)”.

Perché nei casi sopra citati la nuova costituzione riduce la possibilità di modifiche? La teoria dei veto players misura la flessibilità e capacità di approvare leggi dalla dimensione del “core”che viene definito come l’insieme delle politiche esistenti (status quo) che non si riescono a cambiare. Più è grande il core minore sarà la capacità di “cambiare” del paese.

Le maggioranze qualificate aumentano il core, perché servono più votanti con le stesse preferenze per approvare una legge. L’aggiunta di una seconda camera aumenta il core perché aumenta, ceteris paribus, il potere di veto del parlamento. Più distanti in termini di preferenze sono le due camere, maggiori saranno le dimensioni del core.

Ora è facile vedere come questo ragionamento porti ad affermare che il procedimento monocamerale introdotto con la riforma renderà più facile l’approvazione delle leggi ordinarie, perché elimineremmo un veto player. Il contrario però avverrebbe per le modifiche costituzionali, dove i veto players rimarrebbero due ma dove la composizione del senato sarebbe potenzialmente molto diversa dalla camera. La riforma prevede elettorato attivo e passivo diverso (i senatori verrebbero eletti dai consigli regionali mentre per la camera rimarrebbe il voto popolare) e soprattutto le due camere saranno elette in tempi diversi. Il Senato, in particolare, verrà modificato ogni volta che un senatore in carica “scade” nella sua funzione di amministratore locale o consigliere regionale. Introdurremmo insomma un effetto simile a quello che accade negli USA con le mid-term elections. Non ci sara’ nessuna garanzia che la Camera ed il Senato avranno la stessa maggioranza. Questo in parte è vero anche oggi ma, visto che le due camere sono elette contemporaneamente, nel sistema attuale abbiamo quantomeno una forte correlazione fra la composizione del Senato e quella della Camera. Questa correlazione potrebbe venire meno del tutto con il nuovo sistema. Inoltre il governo non potrà ricorrere al voto di fiducia nei confronti del Senato (perché la fiducia del Senato non è prevista nella nuova costituzione).

Questa rigidità avrebbe il suo effetto su tutte le leggi che rimangono con iter di approvazione bicamerale. Sara’ dunque molto più difficile modificare la Costituzione e sarà più difficile correggerne in futuro qualsiasi incongruenza o imperfezione.

qui l’articolo di Tsebelis in inglese

qui il dossier de La Voce sul referendum dove il nostro articolo è il primo pubblicato a pagina 3

TAG: politica, referendum 4 dicembre
CAT: Partiti e politici

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