Zaialand, viaggio alle radici del successo

11 Ottobre 2020

Il governatore appare la più efficace incarnazione di un compromesso sociale che tiene insieme industriali, artigiani, commercianti e ‘ceto medio riflessivo’ (e parla agli operai) in nome dell’autonomia e dell’integrazione nella Kerneuropa. Un patto cementato dalla cultura del vecchio interclassismo DC e dall’assenza di riferimenti politici per i settori sociali che ne pagano i costi.

Aprile 2016. ‘Ditelo chiaro. Questi lavoratori hanno messo i soldi per continuare a lavorare. Hanno avuto coraggio’. Le parole del governatore Luca Zaia si riferiscono ai 22 lavoratori della Berti, impresa di serramenti in vetro veneziana fondata nel 1962 e fallita, che i 22 dipendenti, riuniti in cooperativa, hanno rilevato. ‘Dai lavoratori non c’è mai stata una parola negativa sulla vecchia proprietà: si è rispettato il dolore di chi perde un’azienda, un’impresa che ha una storia familiare e che è incappata in difficoltà troppo grandi’, sottolinea Elena Donazzan, assessora al lavoro, FdI (‘Vivi come se dovessi morire subito. Pensa come se non dovessi morire mai’, la frase di Giorgio Almirante che campeggia sul suo sito). ‘Questo è un modello da replicare che noi vogliamo sostenere’, prosegue il Governatore, ‘Qui 22 lavoratori ci hanno messo del proprio, il rischio personale. Sono di fatto diventati imprenditori di se stessi (…) Noi ci siamo. Abbiamo una pratica in Veneto Sviluppo, ci muoveremo affinché sia presente nel capitale aziendale con i 200.000 euro che ci avete chiesto. Perché da qui deve partire un nuovo modello imprenditoriale’. Poi tocca al sindacalista: ‘La tenacia dei lavoratori e della Filctem CGIL con il grande interessamento di Legacoop Veneto e di molti professionisti hanno portato a un risultato importante, restituendo un posto di lavoro a 22 lavoratori e dando speranza ad altri 20 loro ex colleghi di poter in futuro rientrare nella loro vecchia ditta’, commenta il segretario provinciale dei chimici della CGIL Davide Stoppa. Gli fa eco il presidente di Legacoop Veneto Adriano Rizzi: ‘I casi di successo di workers buyout da noi accompagnati in Veneto dimostrano la capacità della cooperazione di fornire risposte nuove alla crisi – ha commentato – E’ uno strumento di politiche attive per  il lavoro, alternativo a un ricorso assistenziale agli ammortizzatori sociali’.

E’ in questo genere di idilli da ‘Veneto operoso’, di complimenti reciproci e buoni sentimenti, che si riassumono le ragioni del successo con percentuali ‘bielorusse’ di Zaia alle elezioni regionali e le sue radici sociali e politiche: continuità con la vecchia cultura interclassista di uno dei feudi democristiani di un tempo, oggi ricca regione esportatrice inserita nei circuiti economici della Kerneuropa (e non solo), in un contesto politico e sociale segnato dall’assenza di una credibile alternativa di sinistra. E’ su questo sfondo che ‘l’astro nascente che offusca Salvini’ – come l’ha definito a maggio il Financial Times – brucia le tappe di una carriera politica da record, araldo del capitalismo veneto nel mondo, ma anche ‘uomo del popolo’, capace di conciliare (e rintuzzare) gli estremismi verbali di Salvini col moderatismo della base sociale cattolica e piccolo-borghese della Lega in Veneto, di piacere all’industriale e alla casalinga, all’insegnante e alla City, appunto.

Dalle discoteche al Palazzo

Diplomato alla scuola enologica di Conegliano e laureato alla facoltà di agraria di Udine, Zaia comincia a tessere la sua rete tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, ci racconta chi l’ha conosciuto all’epoca, lavorando come organizzatore di eventi nelle discoteche del trevigiano. ‘All’epoca non c’erano ancora i pr. Qui in zona c’erano parecchie discoteche, concentrate nelle mani di pochi proprietari e se volevi organizzare qualche evento dovevi rivolgerti a lui. Lo avevano assoldato per portare gente, attirandola in discoteca invece che ai concerti all’aperto o ad altri eventi e lui era bravo e poi lo incontravi al bar, per strada, tutti lo conoscevano e lui conosceva tutti’. Un ‘capitale umano’ che agli inizi degli anni ’90 Zaia investe nella Lega Nord di Bossi, nata nel 1989 dalla fusione della Lega Lombarda con la Liga Veneta e altri movimenti autonomisti, facendosi eleggere consigliere comunale a Godega di Sant’Urbano. Ma già all’epoca impernia la sua carriera soprattutto su se stesso: ‘Sui suoi gadget elettorali non trovavi il simbolo della Lega, ma il suo nome:  il cappellino di Zaia, la t-shirt di Zaia. Insomma fin dall’inizio più che votare la Lega votavi lui’. Da consigliere comunale diventa consigliere e assessore all’agricoltura e poi presidente della Provincia di Treviso. A 30 anni appena fatti è il più giovane presidente di provincia della storia. Poi diventa il vice del presidente della Regione Giancarlo Galan e per due anni è ministro dell’agricoltura di Berlusconi. Nel 2010, terminato il mandato da ministro, si candida a guidare la sua regione e si aggiudica per la prima volta la poltrona di governatore.

Se Salvini è l’uomo della rottura e dell’invettiva, Zaia – ci confermano tutti quelli che abbiamo interpellato – è l’uomo del compromesso e dell’ascolto. Col capo della Lega condivide invece uno straordinario presenzialismo, nelle piazze come sui media. ‘Lo trovi dappertutto, alle sagre, ai convegni, a tagliare i nastri o in strada in bicicletta. Gira senza scorta e senza auto blu e spesso lo vedi arrivare con la sua 500. Incontra gli imprenditori, ma se gli chiede un incontro l’operaio riceve anche lui’ ci racconta Augustin Breda, storico rappresentante FIOM alla Zanussi di Susegana. Dove non arriva fisicamente compensa con la sovraesposizione mediatica: nei mesi in cui infuriava il Covid era in diretta su una tv regionale due volte al giorno per informare i veneti. Il successo gli attira l’ostilità di Salvini e una certa accondiscendenza degli avversari. Nel luglio del 2019 il capo della Lega Nord commissaria la Lega veneta, inviando come suo plenipotenziario l’ex ministro Fontana, che lo scorso settembre, pochi giorni prima delle elezioni, scrive ai segretari delle oltre 400 sezioni venete invitandoli a far votare la lista di partito (in cui ha imposto agli assessori regionali leghisti uscenti di candidarsi)  e non quella del Presidente. Il che rende il risultato della lista Zaia (916.000 voti contro i 347.000 della Lega) un vero e proprio schiaffo al leader maximo. Invece due candidati del PD (una è l’ex segretaria provinciale di Vicenza) chiedono la preferenza facendo presente agli elettori che contemporaneamente possono votare Zaia presidente invece del candidato di centrosinistra Lorenzoni.

Zaia si è costruito l’immagine dell’ ‘uomo del posto’, ci spiega ancora Breda. Il suo successo, anche tra i lavoratori, oltre che sull’assenza di un’alternativa, si fonda sulla percezione diffusa che il Veneto sia stato governato dignitosamente, al pari di regioni come Friuli ed Emilia-Romagna. ‘Un’amministrazione accettabile; scandali come in Lombardia finora non ci sono stati e i due consiglieri regionali che avevano chiesto il sussidio covid da 600 euro non li ha ricandidati. Se parli coi tecnici della regione e della sanità ti dicono che la situazione sta peggiorando e che i problemi di tenuta ci sono ed esploderanno, ma il clima che si respira tra gli elettori è diverso. Non è un convinzione fondata su dati precisi, ma è comunque una sensazione diffusa’. ‘Più che il politico lui è l’amministratore. Che ci siano o no emergenze, per lui è come se indossasse tutti i giorni l’uniforme della protezione civile’ conferma Gabriele Zanella, segretario provinciale di Rifondazione a Treviso, terra natale di Zaia. Anche se dietro alla lodata gestione sanitaria della pandemia fa capolino lo scandalo dei neonati uccisi da un’infezione ospedaliera a Verona e dietro il boom del prosecco di Conegliano emergono le frane e la paura del glifosato.

Il compromesso sociale

La sua personale capacità di mediare Zaia l’ha messa al servizio del compromesso sociale alla base del ‘modello veneto’. Il Veneto è una regione ricca, con un’economia industriale e agricola fondata in larga misura sulle esportazioni, integrata nei circuiti della Kerneuropa e legata in particolare alla Germania. Nel 2018 ha venduto ai tedeschi merci per 8,3 miliardi di euro, il 13% delle sue esportazioni complessive, soprattutto macchinari e componentistica auto (+35% in 10 anni) seguiti da abbigliamento, agroalimentare (settore vinicolo in testa) e arredamento. Sul territorio operano circa 300 aziende tedesche, con 26.000 dipendenti e 15 miliardi di fatturato, mentre in Germania ci sono circa 250 aziende venete, con quasi 20.000 dipendenti e 5 miliardi di ricavi. A rendere l’economia regionale ancor più internazionalizzata contribuiscono turismo e investimenti stranieri da tutto il mondo. ‘Basta affari col Qatar, che finanzia l’ISIS’, tuonava tre anni fa l’assessore leghista allo sviluppo economico Roberto Marcato. Ma l’emiro di Doha in Veneto ha investito centinaia di milioni, ad esempio in alberghi di lusso e nel terminal off shore di Porto Levante, al largo di Rovigo, in cambio dell’impegno italiano ad acquistare gas per 40 anni: sono circa 90 metaniere l’anno, che coprono il 10% del fabbisogno nazionale. In primavera, quando la regione era flagellata dal virus, l’emirato ha inviato in dono un ‘ospedale da campo’, almeno così è stato presentato inizialmente, anche  se poi si è rivelato un tendone vuoto, privo di attrezzature mediche, arredamenti e persino del pavimento. E gli affari con l’emirato sono andati avanti senza ostacoli, nonostante le intemperanze dell’assessore.

Perché è chiaro che qui le invettive contro i ‘burocrati europei’, la Germania e gli ‘islamici’ possono essere tollerate se servono a recuperare qualche voto a destra, ma alla fine devono cedere il passo agli interessi di un’economia che ha bisogno di coltivare le proprie relazioni internazionali, cosa che il Governatore sa fare assai bene: nel 2019 il prosecco di Conegliano e Valdobbiadene ha ottenuto dall’UNESCO il riconoscimento di patrimonio dell’umanità (la produzione con Zaia è triplicata) e il CIO ha affidato le Olimpiadi Invernali 2026 in tandem a Milano e Cortina (e in primavera il Governo ha stanziato 325 milioni di euro per la realizzazione delle relative infrastrutture in Veneto).

‘Qui è oggettivamente impossibile fare un discorso di rottura con l’Europa, perché il Veneto vive di subfornitura dell’industria tedesca ed esportazioni nel settore agroalimentare e persino il poco turismo che c’è stato quest’anno veniva dall’Austria e della Germania’, ci racconta Paolo Benvegnù, alle scorse regionali candidato presidente nella lista di sinistra ‘Solidarietà Ambiente Lavoro’, che aggiunge: ‘Il fulcro della politica di Zaia è l’autonomia, che riflette l’esigenza del capitalismo veneto di competere senza troppi vincoli burocratici. L’obiettivo è usare tutti gli strumenti legislativi a disposizione, dalla riforma del Titolo V all’eventuale autonomia differenziale, per essere più competitivi, facendo leva su tutte le risorse a disposizione, non solo quelle economiche, ma anche servizi come la scuola. E’ l’idea del “Veneto virtuoso” e non è molto diversa da quella che Bonaccini ha dell’Emilia’.

Un’analogia, quella tra le due regioni, che ritorna a proposito del blocco sociale dietro a Zaia. Per competere il capitalismo veneto, oltre che di coltivare le proprie relazioni europee, ha bisogno di mantenere la pace sociale: ‘Zaia esprime la rappresentanza di un blocco sociale molto strutturato e organizzato – osserva ancora Benvegnù – con un elemento di continuità rispetto alla tradizione interclassista della DC, caratterizzata da una forte attenzione ai soggetti intermedi, agli interessi dell’industriale e del piccolo artigiano, ma capace di rivolgersi anche ad altri settori sociali. Qui la DC, come il PCI in Emilia-Romagna, esercitava un controllo reticolare sul territorio, che passava anche attraverso la gestione delle aziende partecipate, la nomina dei loro dirigenti e le relative clientele. Zaia però, espugnando zone di Venezia come il quartiere di Castello e la Giudecca, è riuscito a sfondare dove neanche la DC era mai riuscita a entrare’. ‘Uno degli errori della sinistra in questi anni è stato fare la caricatura della base elettorale leghista in Veneto. In realtà Zaia è capace di attrarre anche quell’elettorato che solitamente attribuiamo al PD, il cosiddetto ceto medio riflessivo, un milieu anche culturalmente preparato, fatto di professionisti, impiegati, insegnanti, medici e dipendenti pubblici’, aggiunge ancora Zanella.

La ‘ritirata strategica’ del PD

‘Dal canto suo il centrosinistra ha fatto propri tutti gli stereotipi sociali su cui la destra qui ha costruito la propria egemonia: l’idea del piccolo è bello, la retorica del piccolo imprenditore che durante la settimana lavora in fabbrica coi suoi operai e la domenica vanno a messa insieme’, è il giudizio tagliente di Devi Sacchetto, docente di sociologia dei processi economici e del lavoro all’università di Padova. ‘E parlo non solo della sinistra politica, ma anche di un sindacato che, a parte situazioni come la Zanussi di Susegana e la Fincantieri a Marghera, è in crisi non tanto di tessere, quanto di progetto politico’. Per Sacchetto ‘Sembra quasi che anche a livello nazionale si sia deciso da tempo che quella contro la destra in Veneto sia una battaglia persa in partenza’.

Da navigato stratega Zaia ha assecondato questa ‘ritirata strategica’, offrendo al PD alcuni ‘riconoscimenti’ e cercando in cambio una sponda a livello nazionale. Oltre al capitolo Olimpiadi, infatti, il Governo può dare una mano al Veneto anche per il completamento della Pedemontana Veneta, la superstrada da 2,5 miliardi su cui l’amministrazione regionale è in affanno. L’anno scorso, ad esempio, il cantiere per la realizzazione della galleria di 7 chilometri tra Castelgomberto e Malo è stato messo sotto sequestro dalla magistratura perché il consorzio spagnolo che ha vinto l’appalto per la realizzazione dell’opera da 2,5 miliardi avrebbe usato materiali scadenti e privi della certificazione europea. E’ il terzo sequestro del tunnel, dopo quello del 2016 per la morte di un operaio e nel 2017 per il cedimento di una volta. Della Pedemontana Veneta Spa è vicepresidente Maurizio Balocco, friulano, candidato alle primarie del PD a Udine nel 2012 e legato al mondo delle coop. L’anno scorso poi Zaia ha nominato coordinatore del piano dei trasporti 2020-2030 della Regione Ennio Cascetta, docente di pianificazione dei sistemi di trasporto all’Università Federico II di Napoli, ex assessore regionale ai trasporti nella giunta Bassolino in Campania e consulente di Graziano Del Rio al MIT. Oltre a lui Zaia a occuparsi di trasporti ha chiamato anche Luca Romano, ex consigliere comunale vicentino della Margherita nei primi anni 2000. Una serie di mosse che a febbraio spingevano un sito d’informazione vicentino a parlare di tentativo di appeasement tra il governatore e l’ala moderata del PD, qui spesso spaccato tra ‘sviluppisti’ e ambientalisti, sul tema dei trasporti (VicenzaToday150220).

Che il successo di Zaia rifletta un quadro oggettivo che va oltre le sue caratteristiche individuali lo dimostra l’analoga parabola di Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia, nel 2015 vincitore al ballottaggio nel 2015 e il 20-21 settembre al primo turno (avendo raddoppiato i voti di cinque anni fa). Ex presidente della Confindustria veneziana anche lui è una figura socialmente e politicamente di confine: ‘Né di destra, né di sinistra (anche se ha sempre votato per Massimo Cacciari e non nasconde la stima per Matteo Renzi). Imprenditore nato nel 1961 a Mirano, padre cinque volte, è figlio di Ferruccio, operaio, sindacalista e poeta di Marghera, parla il linguaggio di Renzi, almeno in termini di lavoro e flessibilità’ (CorriereVeneto150615). Brugnaro in passato ha collaborato con Marco Biagi e Massimo D’Antona, per poi fondare Umana, agenzia di lavoro interinale che nel 2015 fatturava 300 milioni di euro. Secondo Tommaso Cacciari, nipote di Massimo ma leader dei centri sociali sulla laguna: ‘Brugnaro è un Berlusconi in salsa veneziana, becero, che ha fatto grandi affari sotto le giunte di centrosinistra: tutti gli spazi dai Pili alla Misericordia li prese con giunte che non erano certo di destra. In questo senso si chiude il cerchio’ (Linkiesta150615).

La sconfitta dei lavoratori

L’impressione che si ricava da questo quadro è che in Veneto, così come nelle altre regioni andate al voto, la vittoria dei cacicchi locali rifletta, prima di tutto e aldilà del loro colore politico, una sconfitta sociale dei lavoratori e dei tradizionali settori sociali di riferimento della sinistra. Così come in Liguria Toti è riuscito a coagulare un suo blocco sociale di riferimento, guadagnandosi il sostegno di terminalisti e armatori, autotrasportatori e costruttori un tempo legati all’ex governatore ligure e colonna dem Burlando, così in Veneto Lega e PD si sono contesi ancora una volta la rappresentanza dello stesso blocco sociale, che tra Zaia e Lorenzoni ha scelto l’usato sicuro. Mentre il tema della rappresentanza del mondo dei lavoratori e delle fasce popolari è stato ignorato o non ha trovato risposte soddisfacenti: ‘Gli operai hanno votato Lega in assenza di alternative, in una regione in cui, tra l’altro, il M5S nelle elezioni locali, anche quando era sulla cresta dell’onda, non ha mai colto grandi risultati’, ci ha detto all’inizio Breda. Ma spiegare questo fenomeno semplicemente evocando il vecchio interclassismo democristiano ‘significa non vedere l’enorme sbandamento politico e culturale della sinistra negli ultimi 25 anni. La realtà è che in questi anni non c’è stata un’opposizione e che la classe politica di sinistra si è rivelata subalterna alla Lega’, è il giudizio di Sacchetto.

Se la sconfitta è innanzitutto sociale è solo da qui che può arrivare una sfida all’egemonia della destra e qualche opportunità potrebbe presentarsi, visto e considerato che la crisi in atto avrà inevitabili ripercussioni sul ‘modello Veneto’. La recessione del 2008 aveva già colpito duramente i lavoratori veneti e l’occupazione qui è tornata ai livelli precrisi solo due anni fa, ma se i numeri sono tornati quelli di una volta, la qualità è peggiorata. Lo stesso ufficio statistico della Regione ammette che è cresciuto il part-time involontario (tra le donne +8%), gli occupati sovraistruiti (cioè con un titolo di studio superiore a quello richiesto) sono quasi il 25% e in generale è aumentata la percezione della precarietà del lavoro (StatisticheFlash0819). Dopo l’arrivo del Covid a maggio la CISL regionale ha annunciato la perdita di 65.000 posti di lavoro da febbraio, paventando 200.000 nuovi disoccupati nei prossimi mesi. Osserva ancora Benvegnù ‘Il quadro competitivo è cambiato, la dimensione dell’intervento pubblico e la dipendenza dai decisori europei e nazionali oggi è cresciuta e sono entrati in crisi gli assi principali dell’economia regionale: la moda perde il 30%-40%, il turismo che valeva il 10% del PIL veneto, è fortemente ridimensionato e anche industria e agroalimentare non vengono risparmiati. I dati forniti di recente dalla Banca d’Italia mostrano che Venezia, insieme a Torino, è la città dove il prezzo pagato è più alto, perché c’è più occupazione nei settori colpiti dal covid, con la differenza che a Torino la crisi c’era già prima’.

D’altra parte gli stessi risultati elettorali forniscono alcune indicazioni interessanti: ‘Il voto operaio alla destra, che si manifesta in particolare in provincia, è un voto determinato dall’isolamento sociale, dall’assenza di alternative e dalla paura di perdere quello che hai’, osserva ancora Devi Sacchetto, ‘Non dimentichiamoci che questa regione fino agli anni ’70 invece di merci esportava forza-lavoro, cioè emigrati. Ma in città più grandi, come Padova, il successo di Zaia è decisamente più limitato’ e non si tratta solo del classico fenomeno dei centri storici che votano PD. ‘Ci sono quartieri dove c’è una forte presenza di immigrati, di proletariato dei servizi, e ci metto dentro anche gli impiegati amministrativi dell’università, di lavoratori autonomi che, almeno in parte, possono essere considerati un pezzo di classe operaia’. Archiviate le elezioni la vera sfida, sociale, in Veneto si giocherà qui. Se qualcuno avrà voglia di giocarla.

L’articolo è tratto dalla newsletter di PuntoCritico.info del 9 ottobre.

TAG: Augustin Breda, Devi Sacchetto, Kerneuropa, lega nord, luca zaia, Paolo Benvegnù, Veneto
CAT: Partiti e politici

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