I leader cambiano, ma lo zar di Puglia è sempre Michele Emiliano

29 Novembre 2014

Con o senza Renzi alla guida di tutto a Roma, il Pd in Puglia è sempre lui, Michele Emiliano. Troppo di destra per la sinistra, troppo di sinistra per la destra. Per molti, forse non a torto, un renziano ante-litteram e un grillino pre-5Stelle. Oggi è di nuovo segretario regionale, ma corre per diventare presidente della Regione nel 2015, quasi un’anomalia dicono qui, ma lui, nonostante i capelli bianchi, sembra sempre quel crack indecifrabile che dieci anni fa a Bari, prima di Renzi e dello stesso Pd, riuscì ad archiviare l’era di Simeone Di Cagno Abbrescia, l’ultimo uomo scelto da quel Pinuccio Tatarella che allora tentò persino di convincerlo a candidarsi col centrodestra. Un magistrato che ammanettava i mafiosi locali, ma che mollava la toga per riaprire il Teatro Petruzzelli appicciato dagli affiliati al clan locale Capriati. Un uomo che si diceva di destra, ma si candidava con gli amici di Massimo D’Alema dopo aver indagato sulla missione Arcobaleno voluta proprio dal leader Maximo quand’era premier nel 1999, per di più per buttar giù Punta Perotti, i palazzacci sul lungomare costruiti dai Matarrese, la famiglia omnibus, tutta chiesa, banche, giornali, sanità, Dc, Figc. Allora, prima ancora del new style governativo e della Leopolda, attorno all’attuale capo del Pd pugliese rinasce un pezzo quasi morto di città: tra cittadini comuni, giovani universitari ed esperti del settore, fioccano associazioni, cantieri d’ascolto e forum tematici sui nuovi sviluppi urbani; l’élite stanca delle segreterie e i ricercatori locali si riannodano attorno al futuro dei teatri, di Bari Vecchia e delle periferie; in una campagna elettorale pre-Facebook, Emiliano ci mette il web, chiama al voto con lo spot ormai cult “Metti a Cassano” di Proforma – l’agenzia che oggi confeziona le slide a Renzi -, e anche nei rioni popolari rassicura e convince.

Il Pd qui oggi è indecifrabile come Emiliano: è per lo “sblocca-tutto”, ma a Taranto, contro il rischio inquinamento, ferma le opere del progetto Tempa Rossa di Total, Shell e Mitsui, per l’aumento dello stoccaggio del greggio lucano nella raffineria locale Eni (partner logistico), mentre a Lecce boccia e si divide sul gasdotto Tap di British Petroleum (e altri) che porterà il gas dall’Azerbaijan in Italia dalla costa salentina. Ma non solo: è renziano, ma è spaccato a metà su nomine e candidature per un filo rosso che porta ancora al patron D’Alema e perché non si fida troppo di Emiliano; appoggia Vendola, l’altro protagonista della “primavera pugliese”, ma da mesi gioca a fargli l’opposizione anche hanno governato insieme dieci anni. Eppure il destino del Pd è il suo segretario. Bersaniano con Bersani, dalemiano con D’Alema, per anni vendoliano con Vendola, e ora persino renziano con Renzi, l’ibrido Michele si fa ancora più strada nell’era delle “larghe intese”. A febbraio si è ripreso la segreteria già sua tra il 2007 e il 2009. Nell’ultimo lustro si è accontentato di fare il presidente dopo la mai digerita sconfitta a fil di quorum contro Sergio Blasi, già sindaco di Melendugno, fondatore della Notte della Taranta e fedelissimo di D’Alema, allora con più voti ma vincente solo grazie al numero dei delegati di lista. Tutti cavilli della burocrazia d’apparato a cui l’eretico Michi – beccò il 30% senza l’appoggio dei leader nazionali – ha dovuto via via abituarsi prima di sposare Renzi, lo stesso che poi prima l’ha escluso dalla corsa a ministro o sottosegretario alle Infrastrutture per candidarlo capolista al Sud alle elezioni Europee, poi proprio da qui l’ha trombato per far posto alle donne dem e lasciargli tempo per la campagna di Puglia 2015.

Per l’ex sindaco di Bari diventare governatore è ormai un’ossessione. Da giugno si è messo a fare pure l’assessore alla Legalità a San Severo e il consigliere incaricato a Santeramo per il rilancio dell’economia del Distretto del salotto che qui fa capo a Natuzzi. Sel Puglia, non troppo per gioco, gli ha dedicato un generatore automatico di cariche sul proprio sito, dal «testatore di braccia rubate all’agricoltura per il Comune di Acquarica del Capo» al «capo sommozzatore al recupero del sommerso per il Comune di San Giorgio Ionico». Così tutto, alleanze, nomine, rapporti di forza nel partito, compreso lo stesso legame con Vendola e Sel, sembra mutare in vista del voto per il post-Vendola previsto per marzo prossimo, salvo election day. Michi però, il 30 novembre prossimo, dovrà prima vincere le primarie contro il renziano Guglielmo Minervini, assessore alle Politiche giovanili nella giunta Vendola, e il vendoliano Dario Stefàno, già responsabile dell’Agricoltura insieme al leader di Sel e oggi a capo della Giunta per le elezioni di Palazzo Madama. “Il sindaco di tutti”, per dirla col suo slogan fin troppo renziano, lo farà a mani basse dato che il resto della compagnia corre per i futuri assessorati e lui, come è stato per Nichi, è qualcosa di più di un leader locale. Resta “solo” l’ombra dei giochini interni al Pd (vedi Taranto) o di chi, anche a destra –  compreso il suo probabile futuro sfidante Francesco Schittulli, chirurgo ed ex presidente della Provincia di Bari – non sopporta da anni la sua campagna elettorale permanente e quel tic di aprire a Beppe Grillo.

Chi sono i renziani? Dopo l’ultimo congresso di dicembre sono 33 quelli eletti all’assemblea nazionale su un totale di 55 delegati (14 per Cuperlo e 8 per Civati). Chi comanda sono i baresi, dieci se si aggregano i dati dei collegi per province: fuori dal coro del segretario c’è o ci fa solo il già citato Minervini, il resto è di fatto in mano alla vecchia giunta Emiliano, da Maria Maugeri, ex responsabile all’Ambiente al Comune di Bari e oggi capogruppo Pd in Consiglio, all’onnipresente Pasquale Di Rella, già titolare delle Risorse umane e dei Contratti con l’ex sindaco di Bari, oggi presidente del Consiglio barese e scelto proprio dal big Michi nel suo nuovo ufficio politico regionale nominato a settembre scorso. Poi ci sono i tarantini e i salentini, entrambi con sei delegati: nella città dell’Ilva domina il “no” al nuovo segretario e la voce grossa è di Michele Pelillo, vicepresidente della commissione Finanze della Camera, già assessore al Bilancio nella giunta Vendola, invitato permanente nel nuovo esecutivo pugliese; nel feudo di D’Alema c’è invece Paolo Foresio, capogruppo nel Consiglio comunale salentino e pro-Emiliano dopo iniziali scetticismi. Foggia, che per numero assoluto di eletti ha più peso in Puglia, conta su Ivan Scalfarotto, attuale sottosegretario per le Riforme e i Rapporti col Parlamento e qui consigliere di circoscrizione nel 1988. Nelle province di Barletta-Andria-Trani (Bat) e Brindisi – tre delegati a testa -, il verbo renziano è rispettivamente di Fabrizio Ferrante, presidente del Consiglio comunale di Trani e tra i primi “rottamatori” di Puglia, e di Giovanni Epifani, consigliere regionale e, tanto per cambiare, fidato di Emiliano.

Il resto si è piazzato tutto, o quasi, negli enti “inutili” di Renzi e mai rottamati, i nuovi consigli provinciali e metropolitani. Tre su sei sono del centrosinistra e chi li guida, non a caso, è con Emiliano. Vedi Antonio Decaro: renziano d’adozione, il delfino craxiano dell’ex senatore dem Alberto Tedesco è stato assessore al Traffico proprio con l’ex sindaco di Bari dal 2004, capogruppo Pd in Regione, poi deputato, e da ottobre scorso di diritto a capo della nuova Città metropolitana di Bari (al centrosinistra 11 seggi su 18) che dal gennaio 2015 archivierà la vecchia Provincia. Poi ci sono Francesco Miglio, sindaco di San Severo cha ha riportato a sinistra la Provincia di Foggia con l’appoggio dell’Udc, e Maurizio Bruno, sindaco di Francavilla Fontana che con Ncd ha preso quella di Brindisi commissariata. Il resto ha provato a “rottamare” Emiliano.

A Taranto, i dem Pelillo & Co. l’accusano da anni di destabilizzare il Pd e far prevalere il diktat di Bari. Così, da una mozione preelettorale «per la più ampia convergenza di forze politiche disponibili e per il più qualificato ruolo protagonista del Pd ionico» son passati di fatto al voto disgiunto, azzoppando il candidato della segreteria regionale, il sindaco renziano di Laterza Gianfranco Lopane, e dando la vittoria al forzista di Massafra Martino Tamburrano, appoggiato pure da Mario Cito, figlio dell’ex primo cittadino Giancarlo già condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Un pasticcio nazionale tanto da costringere l’ex sindaco di Bari – «trasformista» e «ambiguo» per i “duellanti” Minervini e Stefàno – a chiedere e poi ottenere le dimissioni dei piddini locali con in tasta due posti in giusta dopo le “larghe intese”. Anche a Lecce le divisioni interne per le mancate primarie del candidato, hanno ridato la Provincia al centrodestra (con Ncd) con l’uscente Antonio Gabellone, facendo incavolare per il mancato appoggio di «qualche dirigente di alto livello» lo sfidante renziano Massimo Manera, sindaco di Sternatia e presidente della Notte della Taranta. Stessa storia nella Bat dove Emiliano aveva chiesto le nozze con l’Udc per l’insufficienza dei voti del centrosinistra, ma niente: contro Pasquale Cascella, sindaco di Barletta ed ex portavoce di Giorgio Napolitano, l’ha spuntata Francesco Spina, primo cittadino a Bisceglie e non a caso Udc.

In Regione? Dopo il cappotto alle Europee, Vendola ha dato ai renziani l’assessorato alla Sanità, il più discusso della sua gestione, vedi gli affari di Gianpy Tarantini, il conflitto d’interessi dell’ex assessore Tedesco, e il Piano di rientro dal deficit che tra il 2010 e il 2012 ha sanato i conti tagliando 21 ospedali e 2.200 posti letto. Così dalla civatiana foggiana Elena Gentile, nel frattempo europarlamentare e pro-Stefàno alle primarie, la “patata bollente” è passata a un altro anti-Emiliano, il tarantino Donato Pentassuglia, ex presidente della commissione Ambiente e coinvolto nell’inchiesta Ilva “Ambiente svenduto” per aver aiutato l’azienda dei Riva «ad eludere le investigazioni», almeno per i pm di Taranto. Ma se il settore era già in mano ai renziani in Consiglio – su sette commissioni, guidano Sanità, Lavoro e Ambiente, quest’ultima passata poi a Filippo Caracciolo, delegato all’assemblea nazionale per la Bat -, Emiliano ha rincarato la dose scontrandosi con Vendola e il suo stesso assessore Pd sul primo nodo, la scadenza del mandato dei direttori generali delle Asl, quattro su cinque già pensionabili: ha proposto di commissariarle fino alle elezioni per lasciare le nomine al nuovo governatore, ma Nichi a breve farà il contrario, impegnato com’è a rispondere all’Autorità nazionale anticorruzione sulle contromisure adottate dopo le inchieste degli ultimi anni.

Al Comune di Bari, invece, col primo renziano al potere è spuntato l’ennesimo conflitto d’interesse, quasi un déjà vu del caso “cozze pelose” del 2012. Allora, nel boom dell’inchiesta dei pm locali sulla presunta corruzione intorno agli appalti assegnati dal Comune alla società di costruzioni Dec della famiglia Degennaro (incluso Gerardo, consigliere regionale Pd), le polemiche intaccarono Emiliano, mai indagato, per aver scelto assessore all’Innovazione proprio Annabella, figlia del patron Vito, estranea all’indagine e allora già fuori dalla giunta da mesi per motivi personali. A finire ora nella bufera è stata Angela Partipilo, segretario generale della Camera di Commercio di Bari, scelta da Decaro come vicesindaco e titolare del Bilancio con tanto di quel «potenziale conflitto di interesse tra le due posizioni, tale da minare l’imparzialità della figura amministrativa di vertice» segnalato poi dall’Autority di Raffaele Cantone (parere di settembre, Partipilo aveva mollato l’incarico già in estate). Dopo le “larghe intese” con Ncd sull’ok al bilancio consuntivo 2013, l’altro pasticcio è arrivato sulle norme antiparentopoli per il vicino rinnovo dei cda delle aziende partecipate proposte da Desiree Digeronimo, l’ex pm antimafia che accusò Vendola (poi assolto) di concorso in abuso d’ufficio per un posto da primario al locale ospedale San Paolo e finita in Consiglio comunale dopo la corsa a sindaco alle ultime amministrative (il Tar ha di recente annullato la sua elezione perché sotto la soglia di sbarramento del 3%): preferendo i paletti della legge Severino e del Testo unico degli enti locali, Decaro ha bocciato il “no” all’infornata di parenti di assessori, consiglieri comunali e di municipio entro il secondo grado, inclusi i doppi incarichi e il rinnovo-bis dei mandati.

E chi abita questi palazzi resta sempre nell’orbita Pd o del Matteo nazionale. Dentro le quattro società al 100% del Comune di Bari (Amtab, Amgas, Amiu, Bari Multiservizi) restano ad esempio tutti ex politici e professionisti locali nominati da Emiliano tra il 2011 e il 2012. Così all’Ateneo locale. Qui c’è il sociologo Franco Cassano, teorico del “pensiero meridiano”, difensore storico della “primavera pugliese” e deputato Pd dalle ultime politiche. Il nuovo rettore? Da novembre 2013 è Antonio Felice Uricchio, docente di diritto tributario ed ex preside della facoltà di Giurisprudenza di Taranto, sostenuto a stretto giro dall’amico e senatore renziano Pelillo nella successione al filologo Corrado Petrocelli, oggi magnifico a San Marino e consigliere della Fondazione Teatro Petruzzelli, ma lo scorso anno candidato non eletto al Senato proprio col Pd. Stessa storia per la Fiera del Levante: a gratis, l’amministra Ugo Patroni Griffi, cattolico dem già nell’ufficio dell’ex segretario Blasi, ex Amgas e consulente legale della Regione nella causa con Merril Lynch per i contratti derivati antideficit siglati da Fitto tra il 2003 e il 2004. La Camera di Commercio? E’ in mano ad Alessandro Ambrosi, tra i potenziali candidati a sindaco in quota Emiliano pre-Decaro, mentre alla segreteria generale c’è la già citata Partipilo, per una ventina di giorni vicesindaco a Bari. Pd pure parchi e foreste: al Parco nazionale dell’Alta Murgia c’è Cesare Veronico, ex capogruppo della lista Emiliano nel 2004 e responsabile del Pd nella segreteria dell’ex sindaco barese, mentre il direttore generale dell’Agenzia regionale attività irrigue e forestali (Arif) è Giuseppe Maria Taurino, avvocato salentino nominato da Vendola, già consigliere regionale Pd ed ex deputato di Rifondazione. Innovapuglia, società della Regione per l’innovazione e centrale d’acquisto per la Pa, è roba di Pasquale Chieco, docente di diritto del lavoro, vicino a Minervini e già responsabile Sviluppo con l’ex segretario Blasi. Più nell’orbita dalemiana che renziana sono invece Francesco Mariani, presidente dell’Autorità portuale del Levante (Bari, Barletta, Monopoli) e già responsabile nazionale dei trasporti per il PCI-Pds fino al 1995, e l’economista Gianfranco Viesti, assessore al Diritto allo studio con Vendola tra il 2009 e il 2010, numero uno della Fiera del Levante tra il 2011 e il 2013, e nel cda della Banca Popolare di Bari col dg Vincenzo De Bustis, ex Mps e vicino a D’Alema dai tempi dell’ex Banca del Salento.

Ma il destino passa anche dagli “amici” nelle imprese private, o viceversa. Vedi l’ex arbitro Gianluca Paparesta, presidente del Bari calcio e non a caso nel 2009 assessore al Marketing con Emiliano, tra i finanziatori dichiarati di Renzi. Poi soprattutto il barese Michele Elia, amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, scelto da Mauro Moretti e nominato a maggio dal premier, e l’ingegnere di Monopoli e fan della Leopolda Vito Pertosa, patron di MerMec, colosso barese della diagnostica ferroviaria e metropolitana, con affari in start-up innovative locali visitate anche da Romano Prodi. Il primo è l’interlocutore-chiave del progetto Alta capacità Bari-Napoli, mentre il secondo – scelto nel 2006 da Vendola per guidare la Fiera ma bocciato per il ‘no’ del Comune socio dell’ente e guidato da Emiliano – ha già respinto la proposta dell’amico Renzi di candidarsi per il post-Nichi. Sì, proprio contro Michele, il boss in aspettativa del Pd in Puglia.

TAG: michele emiliano
CAT: Partiti e politici, Politica

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