Renzismo, marinismo, berlusconismo e altre malattie infantili della democrazia

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13 Ottobre 2015

Ignazio Marino probabilmente non è stato un buon sindaco. Ignazio Marino però è stato anche piuttosto sfortunato poiché, arrivato in Campidoglio contro tutto e tutti e nel momento più basso della vita politica romana, è stato utilizzato come un facile capro espiatorio da tutti e per ogni cosa, soprattutto da chi, come il suo stesso partito, si era sporcato con certe storiacce e aveva quindi bisogno di una sorta di Benjamin Malaussène sul quale scaricare ogni colpa, così che soltanto di queste sue colpe si discutesse e fossero dimenticate quelle degli altri.

È ciò che è accaduto, ed è ciò che probabilmente – ossia, salvo sorprese che in questa storia sembrano costantemente dietro l’angolo – accadrà durante la prossima campagna elettorale: l’argomento che verrà usato per spiegare lo stato indecoroso della città non sarà l’evidente fallimento di una intera classe dirigente, sia di destra che di sinistra: tutto verrà invece ricondotto al fallimento personale di Marino il quale è già stato consegnato alla rabbia dei romani mentre su certe altre magagne si cercherà di fare silenzio per quanto possibile, sennonché se ne dovrà comunque parlare ma soltanto perché inchieste giudiziarie e processi non possono certo esser rimossi dalla cronaca.

Contro Marino, insomma, sono convenuti molti interessi i quali hanno finito per marciare uniti: quello del Pd che ha silurato il proprio sindaco addossandogli ogni colpa e sperando che ciò facesse dimenticare certe proprie responsabilità passate; l’interesse di una destra che con Alemanno si è resa responsabile di un periodo disastroso per la città e che, per di più, è ora alle prese con guai giudiziari ben più gravi di quelli che interessano il Pd, e che però senza nessuna vergogna festeggiava in piazza la caduta del sindaco come se le ferite alla città le avesse davvero provocate Marino; infine l’interesse del M5S i cui militanti anch’essi hanno festeggiato in piazza, felici proprio come gli altri, e felici soprattutto di proclamarsi sovrani di una montagna di macerie, come se la discesa nell’abisso nutrisse la loro ebbrezza e se, insomma, la politica fosse per loro soltanto una rivalsa. Insomma, accanto a Marino davvero non è rimasto nessuno, neppure un prete al quale chiedere aiuto e, anzi, Marino ha visto montare attorno a sé un clima sempre più ostile che ha reso sempre più facile imputargli anche ciò che onestamente proprio non dovrebbe essere possibile come il caso Casamonica, ad esempio, mentre all’unico responsabile istituzionale di quella vicenda, il prefetto Franco Gabrielli, nel frattempo veniva consegnata la gestione del Giubileo, come se niente fosse. E questo clima ha logorato Marino fino ad affondarlo. Punto. Fine. E che la festa ricominci.

Bene. Anzi, male. Il fatto è, però, che tutto ciò non fa per forza di Ignazio Marino un buon sindaco, bensì racconta soltanto dell’abisso nel quale è precipitata la politica a Roma. Si tratta di due storie diverse e parallele: una cosa è la condotta del Pd renziano e delle altre forze politiche, una cosa è la qualità dell’amministrazione Marino. E, al di là della propaganda che sta soffocando la possibilità di ogni ragionamento logico – si pensi soltanto alle improbabili liste che stanno circolando tra i suoi sostenitori a proposito di ciò che Marino avrebbe fatto, roba che nemmeno il Berlusconi dei tempi d’oro, quello del kit di Forza Italia! – il fatto è che le responsabilità di ciascuno rimangono in piedi, quelle dei partiti e anche quelle di Marino, e non si annullano a vicenda. Eppure, costretti al solito bipolarismo isterico al quale tutti sembrano essersi oramai arresi definitivamente, sembra ora possibile schierarsi soltanto o con Marino o contro Marino, e però davvero non sembra una cosa particolarmente intelligente, ché la realtà è sempre più complessa del codice binario il quale, al massimo, può andare bene per le macchine calcolatrici.

Certo, si capisce la rabbia di una parte della base del Pd, e il problema a sinistra è proprio questo, il Pd appunto, e a dimostrarlo ci sono le inquietantissime affermazioni di un personaggio come Luigi Zanda a proposito della presunta inopportunità di votare durante il Giubileo: roba da Corea del Nord. Ma, appunto, è questo il problema: il Pd. Il problema sono certi atteggiamenti padronali, radicalmente personalistici, sostanzialmente iperberlusconiani dei leader del Pd. Come detto, però, tutto ciò non rende di per sé Marino quel buon sindaco che nella realtà proprio non è stato – Luigi Petroselli fu un buon sindaco, e tanto basta per capire – o, come ora in molti tra i suoi sostenitori immaginano, l’unico argine rimasto contro la barbarie, se non addirittura una icona antimafia, caduta la quale verrà il diluvio.

Questo è evidentemente un po’ troppo, e a convincersene si rischiano anche grosse delusioni. Ma, soprattutto, non serve a nulla, giacché è proprio questo genere di radicalizzazione sui leader e non più sulle idee che ha disintegrato la politica, trasformandola in un infinito sistema di faide personali: ci sono i berlusconiani che adorano Berlusconi e chi è contro di lui è comunista; ci sono i renziani che adorano Renzi e chi è contro di lui è un gufo; ci sono i grillini che adorano Grillo e chi è contro di lui vaffanculo; adesso rischiamo di veder nascere anche i mariniani i quali adorano Marino e chi è contro di lui è mafioso. Ecco, se è così, c’è quasi da rimpiangere quando si aveva paura di morire democristiani. E però anche questo non è bello.

TAG: Ignazio Marino, mafia capitale, Matteo Renzi, movimento 5 stelle, Pd
CAT: Partiti e politici, Roma

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