Tra dilettantismo e vecchi stereotipi antisemiti: Busto Arsizio e i Savoia
La vicenda si sarebbe potuta chiudere con rapidità e senza troppi danni, ma un’assessora in cerca di visibilità l’ha complicata.
In sintesi: dopo molti anni si è finalmente conclusa la ristrutturazione di piazza Vittorio Emanuele II a Busto Arsizio (Varese). Per l’inaugurazione, prevista il 17 novembre, la giunta di centrodestra del sindaco Emanuele Antonelli, ora anche presidente della provincia di Varese, ha invitato Emanuele Filiberto, discendente della famiglia Savoia. La polemica, sollevata soprattutto da Anpi, è sorta perché in molti hanno ravvisato una sconcertante concomitanza tra quella data e la promulgazione del principale corpus legislativo antiebraico fascista, il 17 novembre 1938, su cui c’è la firma di Vittorio Emanuele III. Emanuele Filiberto, che evidentemente non è personalmente colpevole per le scelte del bisnonno, ha condannato le leggi in questione, rifiutandosi però di riconoscere le responsabilità dirette della propria famiglia. Una condanna che non sarebbe poi così strana: nemmeno Giovanni Paolo II era personalmente colpevole delle colpe per cui si è scusato, ma si è preso carico delle responsabilità storiche della Chiesa, come i cancellieri tedeschi hanno fatto con quelle dei loro padri o nonni.
Di fronte alle polemiche, l’assessora al marketing Paola Magugliani ha scritto una lettera per difendere le posizioni della giunta. Quando però si affidano le ricostruzioni storiche a esperti di marketing piuttosto che agli storici i risultati sono inquietanti:
«Savoia è anche, tragicamente, Mafalda, morta tra atroci sofferenze il 27 Agosto 1944 a Buchenwald. Quel cognome è anche però Carlo Alberto, che, come l’intelligenza della scrittrice israeliana Elena Loewenthal ricorda, il 29 Marzo 1848 firmò il decreto col quale concedeva la parità dei diritti civili agli ebrei e agli altri “acattolici”, aprendo quel processo di emancipazione fondamentale non soltanto per i figli di Israele, ma per la civiltà stessa».
Una porzione di questo testo è copiata da un articolo scritto da Elena Loewenthal per «La Stampa» il 30 marzo 2018. A essere pignoli, un testo copiato senza virgolette e senza citazione della fonte è considerato un plagio, ma non è questo il problema: sarà eventualmente la scrittrice torinese a decidere se procedere a una denuncia. Quel che inquieta è che si manipoli questo articolo, decontestualizzandolo (perché non è stato scritto in difesa di Vittorio Emanuele III o di Emanuele Filiberto), per ridimensionare l’accusa che alla famiglia Savoia si rivolge per quanto fatto tra 1922 e 1943. Ma non solo la scrittrice Loewenthal: nessuno storico serio del Risorgimento si sognerebbe di usare il 1848 per ridimensionare quanto occorso nel 1938. Infatti nessuno chiede a Emanuele Filiberto di disconoscere la propria genealogia reale, ma di assumersi la responsabilità che il ruolo pubblico che rivendica come discendente gli richiede. Il giudizio storico sui rapporti tra Vittorio Emanuele III e il fascismo non si intreccia con i meriti storici dei Savoia (l’aver mantenuto lo Statuto dopo il 1848, l’aver guidato il processo unitario…) e non è direttamente legato ai loro altri numerosi demeriti (l’appoggio alle imprese coloniali e alle guerre, la repressione del 1898…). Per questo insieme di problemi, sarebbe stato saggio evitare di colorare di revisionismo storico un momento legato alle politiche urbanistiche di un comune.
L’assessora, però, ha voluto strafare e, a chi le faceva notare che Elena Loewenthal non è israeliana ma italiana, ha risposto che «la scrittrice citata è nata a Torino ma, come si evince dal cognome, è ebrea. Quindi, come lei stessa ribadisce in vari autorevoli scritti “appartiene al popolo errante”. L’aggettivo israeliana si riferisce alle sue origini, non alla nazionalità».
L’assessora conferma di non conoscere la differenza tra ebrei e israeliani, e aggrava il tutto ricorrendo al vecchio cliché antisemita del “popolo errante”.
Il Comune avrebbe potuto spostare la festa a una data meno problematica, oppure chiedere a Emanuele Filiberto di non presenziare. C’è chi, come il Pd (il cui segretario Paolo Pedotti ha riconosciuto all’amministrazione perfino la buona fede), ha suggerito al sindaco una via di uscita ancor più facile: senza modificare il programma, ricordare l’anniversario nel discorso inaugurale. Il sindaco ha replicato in modo sconcertante: poiché il Pd ha perso le elezioni, non può dare consigli ai vincitori. E ha aggiunto: «Non dirò cose ovvie e scontate che tutti conoscono». Evidentemente però non è tutto così ovvio e conosciuto, se a pochi chilometri da Busto Arsizio la stessa coalizione che sostiene Antonelli tollera una sindaca come Cristina Bertuletti di Gazzada («Visto che è il giorno della memoria, ricordate di andare a pijarlo in c…» ha affermato il 27 gennaio) e nessuno riesce a risolvere il problema della presenza della comunità neonazista dei Do.Ra. in zona.
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