Giustizia

Per il vescovo di Milano la Costituzione è tradita

La situazione delle carceri del nostro territorio è intollerabile per fattori cronici, per le condizioni attuali dei carcerati e del personale e per il degrado strutturale dei penitenziari (Mons. Delpini)

9 Dicembre 2025

Parole dure quelle espresse da mons. Mario Delpini il 6 dicembre nella chiesa di Sant’Ambrogio a Milano per il tradizionale discorso alla città. Il 29 luglio 2026 al compimento del 75° compleanno rassegnerà le sue dimissioni come da Codice di diritto canonico. L’ultimo discorso alla città ha avuto un sovrappiù di coraggio e di franchezza?

Il vescovo di Milano ha riletto la città attraverso l’immagine della casa, oggi più che mai minacciata da crepe che ne possono causare il crollo.

«Il rischio non è che ne venga un qualche danno che poi si possa riparare, ma di essere tutti travolti da un crollo rovinoso che lascia solo macerie. Il sistema nel suo complesso sembra minacciato di crollo: non intendo fare diagnosi ma, senza pretesa di completezza, solo rilevare i segnali che più mi impressionano».

Tra questi segnali quello espresso con parole accorate e ferme riguarda la situazione carceraria.

C’è una vocazione che il carcere di san Vittore da sempre esprime con la sua collocazione: è un carcere situato al centro di Milano. Non è come tanti carceri italiani collocato in periferia, fuori dagli sguardi e dai cammini dei cittadini.

E questa vocazione mons. Delpini l’ha svolta per intero: il carcere che non vogliamo vedere, gli uomini e le donne che vi abitano o vi lavorano oggi sono in grande difficoltà.

Mons. Delpini ha usato parole nette: «la situazione delle carceri del nostro territorio è intollerabile per fattori cronici, per le condizioni attuali dei carcerati e del personale e per il degrado strutturale dei penitenziari. La Costituzione della Repubblica italiana è tradita nelle reali condizioni dei carcerati, nella formazione e trattamento del personale della Polizia penitenziaria». 

In prima fila certo c’è la cattiva politica ma insieme anche un quadro culturale sconfortante che immagina la punizione come l’unico esito possibile per chi sbaglia e delinque: «L’orientamento di una mentalità repressiva che cerca la vendetta piuttosto che il recupero, che si difende con indifferenza e ignoranza, segnala una crepa pericolosa nella casa comune».

Il discorso di Mons. Delpini cerca di non fermarsi solo alla denuncia e nella seconda parte fa parlare in prima persona interlocutori che cercano in questa situazione di minaccia di riparare la casa comune e renderla abitabile.

Tra questi anche la responsabile di un carcere.

«Io mi faccio avanti. Mi assumo la responsabilità di applicare la Costituzione della Repubblica, i regolamenti del carcere nella loro intenzione di recupero e reinserimento, i rilievi dell’Europa. Mi farò carico di affrontare il problema drammatico del sovraffollamento non chiedendo la costruzione di altre carceri, ma riducendo il numero dei carcerati. In carcere non devono essere detenuti i malati. In carcere non devono restare inoperosi quelli che possono lavorare.

Chi ha commesso un danno verso la società o verso le persone deve essere impegnato a riparare, non a fare ulteriori danni. Non ho mai visto che un trattamento più duro renda migliori le persone o dissuada qualcuno dal commettere reati.

Voglio offrire ragioni e percorsi per diventare onesti, piuttosto che esasperare gli animi, fare andare fuori di testa i fragili e i malati. Non sarò complice».

Non ultimo anche il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha acceso i riflettori il 4 dicembre scorso, con una decisione che mette in fila ritardi, numeri preoccupanti e richieste pressanti alle autorità italiane circa la situazione delle carceri italiane.

«Il messaggio che arriva da Strasburgo è che non basta “fare qualcosa”. Bisogna fare le cose giuste, e bisogna farle in fretta. Il monitoraggio continua, e l’Italia resta sotto osservazione. La speranza è che alla prossima scadenza, nel 2026, non ci si ritrovi a commentare ancora una volta una “tendenza negativa” o l’assenza di informazioni. Sarebbe l’ennesima sconfitta per lo Stato di diritto» (Damiano Aliprandi, Il Dubbio, 9 dicembre).

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