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Governo

Il sano bipolarismo tra Salvini e Zingaretti

di Enrico Pazzi
26 Marzo 2019

Lo scrive bene Alessandro De Angelis nel suo editoriale sull’Huffington Post, “L’Italia del 4 marzo non c’è più”, eppure le forze politiche in campo continuano a ragionare come se ancora ci fosse. Matteo Salvini, dal canto suo, pare essere l’unico in contatto con quanto sta accadendo. Si sta formando un nuovo sentire che più che di destra, intesa come neo o post-fascista, è conservatrice. E in questa ottica appare lampante come adesso il connubio con Forza Italia possa apparire naturale. Un polo conservatore, non certo liberale – con buona pace del proclama del Cavaliere in quel del ’94 – quanto populista. C’è però da capire se questo polo conservatore è europeista o meno. Salvini non lo è, non certo per convinzione politica, quanto per opportunità strategica. Dirsi anti-europeisti, con tutta la retorica del “si stava meglio con la Lira”, una destra quindi sovranista – con la retorica del potere di stampare moneta a proprio piacimento – oggi fa guadagnare consenso. Soprattutto se nell’altro polo – quello di centrosinistra – non si sa bene quale concetto concreto addurre al proprio europeismo. Perché apporre il vessillo stellato su fondo blu su ogni balcone e finestra vuol dire tutto e non vuol dire niente, con buona pace di Romano Prodi. Ma questo polo conservatore a trazione salviniana un pregio ce l’ha: l’abbandono della retorica “no Vax”, “no Tav”, “no Triv”, “no Tap” e chi più ne ha più ne metta. E questo abbandono del fronte del “No” equivale a un distacco dal Movimento 5 Stelle. Questo nuovo centro-destra pare dirci che si valuta caso per caso, forti quelli della Lega del fatto che governano le regioni del nord già da svariati lustri – e ora si apprestano a governare pure quelle del sud – e quindi hanno un approccio molto più pragmatico dei grillini, che di regioni non ne governano oggi e non lo faranno domani. Il pragmatismo salviniano vince sul dogma grillino. Se Salvini pare destinato a perdere l’alleato pentastellato, che adesso ha capito quanto sia salutare abbandonare il mortale abbraccio con la Lega, dovrebbe riabbracciare il padre nobile di Arcore. Questa volta, però, come azionista di maggioranza.

Difficile, invece, è capire cosa si stia muovendo a sinistra. E quanto “centro” ancora prevede questo centro-sinistra a trazione zingarettiana. Perché, se la rivoluzione del neo-segretario del Pd fosse tutta nell’essersi liberato dell’usurpatore Matteo Renzi – barbaro quanto Salvini, almeno nella sensibilità politica degli ex Fgci – il suo orizzonte sarebbe davvero piccolo. Di breve respiro. La vittoria lontana, con un conseguente destino di tanti onorevoli secondi posti. Un’eterna medaglia d’argento che vuol dire perenne opposizione. Quasi quanto gli epigoni americani del nuovo Partito Democratico che vede in Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez i nuovi paladini, dopo la variante liberal-democratica di Bill Clinton e Barack Obama. Si fa opposizione contro i truci, che però vincono. E se poi questo nuovo Partito Democratico va alla ricerca del “Campo largo” e vi trova solo piccoli e micro-partiti, comprese le liste civiche sparse qua e là create per l’occasione, facendo fatica a imbarcare persino quelli di +Europa, il futuro non appare roseo.

Qui il Partito Democratico finalmente “di sinistra”, liberatosi dalla connotazione “liberal” delle Leopolde renziane, che perde “ma bene”. Là il Movimento 5 Stelle che da una parte cede i pentiti che tornano al Pd “di sinistra”, dall’altra perde l’elettorato reazionario e conservatore che abbraccia Salvini, e rimane con quel poco che gli resta di duri e puri. E, citando le parole del padre nobile del Pd Walter Veltroni, “Tra poco i 5Stelle dovranno scegliere da che parte stare, è ora di ricostruire un sano bipolarismo”, è facile scorgere l’invito ai grillini “di sinistra” a stringersi a coorte con il Pd de-renzianizzato, tentando di dar vita a quello che potrebbe essere il già citato, almeno su questo blog, “governo giallo-rosso”.

#governo lega Pd salvini zingaretti
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