Legislazione

Contro il fondamentalismo religioso o una apertura di dialogo?

Una riflessione costruttiva sul progetto di legge di Fratelli d’Italia denominato ” una legge contro il separatismo”

11 Ottobre 2025

Poco tempo fa  Fratelli d’Italia ha predisposto un progetto di legge volto a regolamentare alcune disposizioni relative alle confessioni religiose prive di intesa con lo Stato, ai sensi dell’articolo 8, terzo comma, della Costituzione. L’intento dichiarato è quello di garantire maggiore trasparenza e tracciabilità dei finanziamenti destinati alla costruzione di edifici di culto e alla gestione delle attività religiose, con l’obiettivo di prevenire il rischio di infiltrazioni o finanziamenti collegati ad attività illecite o con finalità terroristiche.

Come sempre a questo progetto di legge non è seguito nessun dibatto pubblico su questo tema. E mi rendo disponibile per affrontarlo in pubblico. Qui anticipo qualche mia riflessione che vuole essere costruttiva.

Pur nascendo come una misura di sicurezza, la proposta normativa ha implicazioni ben più ampie e complesse. Se, in prima battuta, essa può apparire mirata a disciplinare in particolare la presenza dell’Islam in Italia , in realtà la sua portata generale la rende applicabile a un ventaglio assai più esteso di confessioni religiose, molte delle quali cristiane. Ne sarebbero infatti coinvolte la Chiesa ortodossa serba, la Chiesa ortodossa romena — che da sola conta in Italia oltre un milione di fedeli — la Chiesa copta, la Chiesa ortodossa moldava e quella russa, oltre a varie comunità evangeliche o di altra natura, tutte ancora prive di intesa formale con lo Stato.

Il cuore della proposta è rappresentato dalle “Disposizioni concernenti il finanziamento e la realizzazione di edifici di culto”. In base al primo articolo, gli enti, le associazioni e le comunità religiose non dotate di intesa con lo Stato e che intendano realizzare edifici di culto o strutture destinate a servizi religiosi devono redigere i bilanci in forma non semplificata e depositarli presso la Camera di Commercio competente. Si tratta di una previsione che mira a rendere pubbliche le fonti di finanziamento e a garantire la correttezza nella gestione delle risorse.

La norma definisce inoltre in modo dettagliato che cosa si intende per “attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi”: non solo i luoghi di culto veri e propri, ma anche le abitazioni dei ministri, gli immobili destinati alla formazione religiosa, le strutture a carattere educativo, culturale o sociale, fino alle sale di preghiera, alle scuole di religione e ai centri culturali. In altre parole, il legislatore intende sottoporre a un quadro unitario di trasparenza tutte le attività che ruotano intorno alla vita comunitaria e religiosa di tali gruppi.

Il progetto prevede poi che i soggetti interessati possano ricevere finanziamenti per la realizzazione di tali strutture solo da enti o persone che, nell’esercizio delle loro attività, non ledano la sicurezza dello Stato. L’accertamento della liceità dei fini e delle attività dei finanziatori è demandato al Prefetto, che potrà avvalersi di poteri istruttori e richiedere la documentazione necessaria. È prevista una sanzione pecuniaria da 1.000 a 10.000 euro per chi accetta donazioni da soggetti non in regola, con una soglia di tolleranza di 500 euro annui per le donazioni di modesta entità.

A ciò si aggiunge l’articolo 2, dedicato alla comunicazione dei finanziamenti provenienti dall’estero. Le confessioni religiose prive di intesa che ricevano fondi, in denaro o in natura, da Stati esteri, persone fisiche residenti all’estero o enti stranieri, devono informarne il Ministero dell’Interno tramite il ministro di culto. La disposizione elenca in modo puntuale tutte le forme di contributo soggette a dichiarazione — donazioni, prestiti, sponsorizzazioni, conferimenti di capitale, contributi volontari, e persino apporti in mano d’opera o titoli di credito — includendo anche i casi indiretti, quando i finanziamenti giungono attraverso soggetti sotto l’influenza di Stati o persone giuridiche straniere.

Nel complesso, la norma si propone di rafforzare la trasparenza economica e istituzionale delle comunità religiose non ancora inquadrate nel sistema delle intese, colmando una lacuna esistente nel diritto italiano. Tuttavia, come è stato opportunamente osservato, la proposta appare incompleta e avrebbe bisogno di ulteriori chiarimenti e integrazioni per garantire un’efficace e equilibrata applicazione.

Un punto particolarmente rilevante riguarda il riconoscimento giuridico delle associazioni religiose. L’obbligo di deposito del bilancio presso la Camera di Commercio presuppone infatti che tali associazioni abbiano personalità giuridica piena. Questo elemento, se adeguatamente sviluppato, potrebbe rappresentare un importante passo avanti: supererebbe in parte l’impianto ancora legato alla legge sui culti ammessi del 1929, favorendo la nascita di strutture religiose solide, trasparenti e giuridicamente riconosciute.

L’acquisizione della personalità giuridica comporta, infatti, l’autonomia patrimoniale perfetta, separando il patrimonio dell’ente da quello dei suoi membri o dirigenti. Ciò costituirebbe una tutela duplice: da un lato, per i donatori e i fedeli, che saprebbero di contribuire a un soggetto stabile e controllabile; dall’altro, per lo stesso Stato, che avrebbe un interlocutore identificabile, capace di rispondere in modo formale e trasparente. Tale riconoscimento ridurrebbe il rischio di associazioni “fantasma” che raccolgono fondi e poi scompaiono, migliorando la fiducia reciproca tra istituzioni e comunità religiose.

In questa prospettiva, potrebbe essere utile che il legislatore esplicitasse nel testo l’obbligo, per le comunità religiose prive di intesa, di costituirsi come associazioni riconosciute ai fini dell’applicazione della legge. Da ciò discenderebbero naturalmente gli obblighi previsti dall’articolo 1, in un quadro più coerente e praticabile.

Un’altra integrazione costruttiva riguarda la trasparenza dei dirigenti religiosi. Sarebbe opportuno prevedere che le associazioni di culto comunichino al Prefetto i nominativi delle persone incaricate di guidare le attività religiose, consentendo la creazione di un registro locale o “albo” dei rappresentanti delle comunità. Tale misura non avrebbe una finalità di controllo ideologico, ma di semplice conoscenza amministrativa, utile a facilitare il dialogo tra Stato e confessioni, a garantire la tracciabilità delle responsabilità e a promuovere relazioni istituzionali più stabili e ordinate.

Per quanto riguarda l’articolo 5 del disegno di legge, relativo al divieto di utilizzo di indumenti che coprono il volto, esso appare sostanzialmente ridondante.

La disposizione, infatti, riprende una norma già presente nella legge del 1975, raramente applicata se non in periodi di particolare tensione come quello del terrorismo interno. Più che introdurre nuovi divieti, sarebbe auspicabile rafforzare l’applicazione delle leggi già esistenti, evitando duplicazioni normative che rischiano di essere percepite come misure simboliche più che operative.

In conclusione, la proposta di legge rappresenta un tentativo significativo di regolamentare un ambito rimasto a lungo privo di disciplina organica, ma necessita di una riflessione più ampia e inclusiva.

L’obiettivo di garantire trasparenza e sicurezza è condivisibile, ma deve essere perseguito con strumenti che non penalizzino o discriminino le confessioni religiose minori, molte delle quali svolgono un ruolo positivo di coesione sociale e assistenza.

Un approccio realmente costruttivo dovrebbe dunque combinare legalità, tutela e riconoscimento: legalità, per assicurare la tracciabilità dei fondi e la correttezza amministrativa; tutela, per proteggere i fedeli e i donatori; riconoscimento, per valorizzare la pluralità religiosa presente in Italia, nel pieno rispetto dei principi costituzionali di libertà e uguaglianza tra le fedi. Solo così si potrà giungere a un modello di pluralismo religioso maturo, fondato non sulla diffidenza, ma sulla responsabilità condivisa tra Stato e comunità di fede.

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