Partiti e politici
12 dicembre 1969. Dice ancora qualcosa? A chi?
Alle 16.40 del 12 dicembre 1969 (un venerdì) il tempo della storia italiana è cambiato.
Oggi a 56 anni da quel momento forse non ne abbiamo nemmeno più memoria.
Anche per questo forse non è inutile ripercorrere quel tempo.
Per anni avremmo avuto molte versioni di quella storia. Noi italiani avremmo familiarizzato con molti nomi: i primi due, quelli di Giuseppe Pinelli e poi Pietro Valpreda, evocavano lunghe e consolidate paure. Era la paura per l’anarchico (qualcosa che nell’immaginario pubblico sembrava un individuo con il coltello fra i denti molto simile ai pirati prodotti dalla fantasia di Salgari).
Poi sarebbero venuti quelli di Franco Freda e Giovanni Ventura due figure, legate al neofascismo, che lungo l’asse tra Padova e Treviso avrebbero aperto la pista di una controstoria italiana segnata da molti non detti, dai “non so”, “non ricordo”, comunque dagli “omnissis”. Improvvisamente scoprivamo un Veneto diverso da quello che avevamo visto in fuga e disperato vagare lungo il Polesine o correre per rintracciare le proprie cose lungo la piana del Vajont. Non era più il Veneto dei poveri, era l’Italia del sommerso che veniva fuori.
Ci sarebbero stati molti processi per tentare di dipanare quella lunga storia e quella profonda vicenda che sembrava portasse molto indietro da quel dicembre 1969 (almeno fino all’inizio degli anni ’60) e spesso anche molto lontano con diramazioni che puntavano verso la Spagna, poi verso l’America Latina.
Dopo il lungo dopoguerra diventavamo un “Paese mondo”, ma era un mondo poco attraente: dentro stavano le lunghe continuità di un’Italia che era uscita – soprattutto nei suoi apparati istituzionali – senza sostanziali modifiche o ristrutturazioni dal ventennio fascista; si profilavano commistioni tra nostalgici e neoentusiasti dei regimi forti, nonché il fascino per il colpo di stato della Grecia dei Colonnelli nell’aprile 1967 (un sistema di tortura che sarebbe crollato solo nell’estate 1974).
Piazza Fontana con i suoi sedici morti, i 50 feriti, i testimoni che parlavano e poi ritrattavano, era ancora lì ogni tanto a riemergere in processi sempre più incomprensibili – e soprattutto sempre più lontani in sedi disagiate – dove gli indagati sparivano, e uniche presenze costanti rimanevano i familiari delle vittime, in attesa che si compisse una giustizia, che si fuoriuscisse da una condizione di mistero, che si trovasse prima ancora di un perché, un chi e, soprattutto, un come.
Dopo l’ultima scena dell’ultimo atto scritto il 3 maggio 2005 si potrebbe dire che Piazza Fontana sia uscita dalla cronaca per entrare nella lunga galleria dei misteri italiani.
Magari qualcuno avrà pensato, venti anni fa, che avrebbe potuto essere consolatorio prendere atto di questo passaggio. Ma non è stato così. Perché Piazza Fontana non è mai entrata nella cronaca, ma è stata un atto che si è codificato nella memoria collettiva come mistero. Ora si presenta come un vago ricordo. Forse ricordarlo, è percepito come il segno di qualcuno che non vuol darsi una ragione.
Nella storia recente americana tutti coloro che erano coscienti a se stessi sanno dove erano il 22 novembre 1963 nella tarda mattinata. L’assassinio di J. F. Kennedy è uno spartiacque del loro vissuto interiore.
Così è stata per un certo tempo Piazza Fontana per noi. Nel nostro immaginario collettivo la storia italiana si divide tra un prima e un dopo. Uno spartiacque è stato a lungo proprio quel 12 dicembre. Forse venti anni dopo non è nemmeno più così.
Come gli americani non sanno molto di quel 22 novembre 1963, così nemmeno noi sappiamo molto di quel che accadde quel pomeriggio di dicembre 1969 in una piazza dietro il duomo di Milano a pochi passi dalla Statale e a 50 metri dall’Arcivescovado. Ma lì abbiamo collettivamente perduto l’innocenza. Dopo, con gli sforzi di alcuni, abbiamo cercato di capire che cosa era accaduto e quale lunga catena si originava da lì sotto il nome di “strategia della tensione”.
La storia italiana di circa 15 anni – almeno fino alla strage del 23 dicembre 1984 – rimane ancora non spiegata. Il 3 maggio di venti anni fa qualcuno ci ha detto che è inutile cercare. L’inchiesta era finita. Ma le risposte non ci sono state.
Venti anni dopo probabilmente dovremo ricominciare a spiegare per sommi capi quella storia. Qualcuno lo fa?
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