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Partiti e politici

La politica che non piace più, a una settimana dalle regionali

di Paolo Natale
24 Maggio 2015

Saranno le elezioni regionali meno sentite della storia, probabilmente. Manca una settimana esatta alla chiamata alle urne per le 7 regioni superstiti. Ma l’interesse per queste consultazioni appare francamente quasi inesistente. Forse a causa proprio del fatto che alla scadenza naturale di questo tipo di consultazioni, che si tengono dal 1970, sono rimaste in poche le regioni che devono rinnovare il proprio governo. Nulla a che vedere con quanto capitava fino a qualche anno fa. Fino al 2010, le regionali venivano vissute come vere e proprie elezioni di mid-term, paragonabili a quanto succede in Francia o negli States. Era un momento di verifica della tenuta del governo centrale, della forza delle opposizioni. Venivano chiamati alle urne contemporaneamente oltre 40 milioni di elettori, ed i risultati potevano venir paragonati, a buon diritto, con le consultazioni politiche vere e proprie. Oggi, delle 15 regioni a statuto ordinario, ne vanno al voto meno della metà, grazie alle malefatte delle altre otto, che hanno costretto ad anticipare la loro scadenza naturale.

Il disinteresse appare quindi giustificato. Ma accanto a questo fattore, ce n’è un altro, forse ancora più importante: il progressivo distacco da parte della popolazione alla politica. L’astensionismo, come si sa, è costantemente cresciuto a partire dalla fine del secolo scorso, ad un tasso di circa 3-4 punti percentuali ad ogni consultazione. Dal 10% del 1980, si è passato al 20% del 2008, per arrivare al 25% delle ultime elezioni politiche. Da allora, in ogni occasione elettorale (europee, comunali, regionali) il ritmo di defezione alle urne è aumentato di almeno 10 punti, fino a giungere al flop della partecipazione nell’antica regione rossa dell’Emilia-Romagna, dove lo scorso anno è andato a votare meno del 38% degli aventi diritto. Certo, le ragioni sono diverse: candidati con scarso appeal, risultato abbastanza prevedibile, competizione quasi inesistente, con il centro-destra allo sbando. Ma c’era, e c’è, dell’altro.

Da decenni ormai la politica non riveste più quella importanza fondamentale nella costruzione della personalità del cittadino. Si va a votare, si gioisce per qualche ora della vittoria del proprio schieramento, o ci si rammarica per l’eventuale sconfitta. Ma il giorno dopo, tutto rimane uguale, la vita non cambia, si sa. Ed è esattamente questa la ragione dell’astensionismo di massa: la vita non cambia. Ci sono state mobilitazioni un po’ più vivaci, qualche anno fa, per l’emozione (favorevole o contraria) che esercitava Berlusconi. Ma oggi che il cavaliere non c’è più, tutto è tornato indifferente, senza interesse. La vita non cambia. Renzi sarà anche simpatico a molti, o antipatico a molti altri, ma non trasmette quelle stesse emozioni, positive o negative, di Berlusconi. E nemmeno gli altri protagonisti, nemmeno le altre forze politiche. Si rimane così, apatici, con i talk show che non interessano più nessuno, con le dichiarazioni del governo o dell’opposizione che nessuno ascolta più, in attesa di qualcosa di importante, di coinvolgente. Ma la politica, quella, rimane fuori dalla porta.

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