Sergio Mattarella, il siciliano mite e tosto che Renzi ha portato al Quirinale

29 Gennaio 2015

Sergio Mattarella è stato appena eletto: è il dodicesimo Presidente della Repubblica Italiana. È stato eletto alla quarta votazione con 665 voti (su 1.009 Grandi elettori).

Sergio Mattarella è un uomo mite. È la sua caratteristica principale. Da presidente, condividerà questa particolarità umana con un solo predecessore, Francesco Cossiga. Tutti gli altri sono stati uomini estroversi o di personalità sciabordante. E lo stesso Cossiga, pochi anni dopo l’insediamento al Quirinale, si dimenticò la mitezza e prese in mano il piccone.

Mattarella, invece, è un mite come sanno essere miti alcuni siciliani. Poche, essenziali parole, sguardo dritto, schiena non arcuabile, rari sorrisi. La sua carriera nasce in una famiglia democristiana  di eccellenza. Per anni la Dc è stata una sorta di coalizioni di feudi familiari. Deputato il padre o il nonno, e così i figli o nipoti. In ogni caso la progenie restava nella classifica dei potenti delle città principali dell’isola. Mattarella ha dovuto gestire una eredità complessa con suo padre Bernardo considerati figura contigua alla vecchia mafia e il fratello Piersanti dapprima sostenitore di Ciancimino-sindaco, a costo di battagliare con Arnaldo Forlani ostile al vecchio boss, e poi nemico dello steso Ciancimino e fiero avversario delle cosche fino a diventarne una delle vittime eccellenti fra i politici uccisi dalla Cosa nostra.

Sergio non ha mai fatto parte dei professionisti dell’antimafia né della lunga processione dei parenti delle vittime. La sua “sicilianitudine” è simile a quella di molti altri uomini e donne del Sud continentale perché fatta di poco clamore e di costante aderenza alla realtà. Non è mai stato un “lavoratore della parola”, come disse di sé, auto-ironicamente, un personaggio facondo interpretato in un bel film degli anni Sessanta da Vittorio De Sica.

La sua è stata una carriera tutta interna alla Dc e di quella nazionale in modo particolare. Nella Dc si è collocato nelle aree più di sinistra, anche qui senza gesti clamorosi, senza le esuberanze di altri cattolici democratici, senza “bindismi” per capirci, ma con una costanza rimasta immutata nel tempo. Come tutti i democristiani di rango raggiunse l’apice della carriera quando divenne ministro e sottosegretario. Fra i sospetti che Berlusconi nutre su di lui c’è il famoso episodio di rinuncia all’incarico di governo dopo l’approvazione della legge Mammì che favori il tycoon protetto dai socialisti e da una parte della Dc.

Quando la Dc muore sotto i colpi di Mani Pulite, Mattarella assume via via un ruolo di primo piano nel decidere la collocazione dei popolari. Erano gli anni in cui Rocco Buttiglione cercò disperatamente di portare in eredità a Berlusconi quel che restava dell’organizzazione politica dei cattolici e scoprì di essere rimasto con quattro gatti, pressocché sconosciuti: Giovanardi, all’epoca, non era ancora diventato un mito della satira politica.

Mattarella restò con quelli che guardarono a sinistra, che sperarono che Occhetto non indicasse Mario Segni fra i possibili premier della prima sfida con Berlusconi. I popolari eredi della vecchia Dc non lo volevano come disse insistentemente  Martinazzoli per dare il via all’alleanza con il Pds. Occhetto scelse invece Segni o forse si confuse, come talvolta gli capitò, e i popolari di Martinazzoli andarono per il loro conto e Berlusconi vinse le elezioni.

Ritroviamo Martinazzoli fra i grandi elettori di Romano Prodi quando il professore fu incoronato da tutto il centro- sinistra, con Massino D’Alema che gli disse di avergli conferito la forza del proprio partito, nella prima delle due sfide vincenti contro il Cavaliere. Tornò così il mite e silenzioso Sergio al governo, anche nel ruolo simbolico di Ministro della Difesa con D’Alema premier. Chi pensa che non abbia sufficiente esperienza internazionale dimentica che il ministro della Difesa si occupa prevalentemente di relazioni estere.

Nel 2008 non venne eletto con sua grande sorpresa. Si lamentò con me perché nessuno l’aveva avvertito dell’esclusione ma non disse una parola in pubblico. Tornò ancora più silenzioso a fare le sue cose, fino alla elezione alla Corte Costituzionale. Renzi lo ha scelto perché non è comunista ma è stato amato dagli ex comunisti, molti di costoro sostenevano che era un vero ”dalemiano”, battuta che lo ha sempre divertito molto. Chi crede che sarà un notaio se arriverà al Colle dimentica che è un siciliano mite ma tosto. Non sarà mai un Cossiga ma non starà al Quirinale a giocare alla battaglia navale con il suo staff mentre Renzi si diverte a palazzo Chigi.

Non si sa se Renzi lo ha scelto per farlo eleggere per davvero, per prendere tempo, perché gli altri ai suoi occhi avevano molte controindicazioni. Berlusconi rifiutandogli, per ora, il voto mostra di aver capito che il personaggio non è una mammoletta. Parla poco ma, come si dice al Sud, quando parla “parla come un testamento”, cioè con parole definitive.

aggiornato alle 13 di sabato 31 gennaio 2015

TAG: Matteo Renzi, romano prodi, sergio mattarella, silvio berlusconi
CAT: Quirinale

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