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Salute mentale

Angoscia, assuefazione (e piacere) davanti alle guerre

di Giorgio Majorino
26 Febbraio 2022

I recenti sviluppi del conflitto ucraino, sono entrati pesantemente nella vita di ognuno. Ovviamente per chi li vedono solo in Tv; chi vi è implicato direttamente o indirettamente, è in una situazione assolutamente più negativa. Ma , parlando di noi, per fortuna solo spettatori, vorrei mettere in risalto come entrino in azione meccanismi psichici anche profondi e contraddittori.
E’ chiaro che sul piano di un giudizio realistico, vi è un atteggiamento completamente negativo ( con la presenza però, sembrerà assurdo, di chi sviluppa una certa partecipazione positiva, sulla quale più avanti avremo modo di parlare).
Anzitutto va messo in risalto come nel rifiuto e nella angoscia per i conflitti, funzioni una forte identificazione con le vittime reali e potenziali, che raggiunge il culmine quando consideriamo le vittime civili, soprattutto poi i bambini. Questo accade, non solo in presenza delle guerre, ma anche davanti a qualsiasi evento negativo e soprattutto là dove ci siano vittime. Possiamo etichettarlo come un fatto morale, di coscienza, ma , usando un altro linguaggio specialistico, preferirei evitare l’intromissione di una semantica ideologica e, ovviamente parlare di meccanismi psichici in atto. Tra questi il forte impatto dell’identificazione con l’altro, questo meccanismo di base che, possiamo pensare, stia alla base degli atteggiamenti positivi, solidali, affettivi ( e, purtroppo, anche di sentimenti negativi come osserviamo negli atteggiamenti e perfino nei comportamenti persecutori). Il meccanismo di identificazione, cioè di immedesimarsi negli altri o introiettare la loro immagine dentro di noi, continua ad essere in funzione (e non solo nei riguardi delle persone , ma anche di altri esseri animati o addirittura oggetti, con un abuso spesso di antropomorfizzazioni). Quindi il meccanismo di identificazione è una costante della storia di ognuno. Se poi vogliamo utilizzare il termine “empatia” (cosi semanticamente recente di moda), dobbiamo essere accorti nella sua utilizzazione perché diventa un punto di arresto, semplicistico, e povero, per la successiva analisi delle caratteristiche profonde del sentirsi negli altri o sentire gli altri dentro di sé.
Quindi in presenza di fatti particolarmente gravi e pesanti, non possiamo ,in genere, sottrarci dal vivere virtualmente le sofferenze e le paure di altri.
Nel caso dei conflitti armati questo fenomeno diventa prevalente anche se ,come vedremo, può suscitare reazioni difensive di natura diversa. Si aggiunga inoltre che, ora, la presenza continua di immagini, essenzialmente televisive, di grande intensità relative a scene di combattimento e di situazioni umane collegate a chi vi coinvolto, ne rafforza l’impatto emotivo. Pochè i meccanismi di identificazione sono sempre in atto, questi scenari suscitano forti reazioni angosciose come se noi e magari i nostri cari, fossimo in quella situazione. E’ un po’ come quello che accade nei “brutti sogni” e nei deliri dove soprattutto non ci si può sottrarre. Però i nostri accorgimenti difensivi possono, ma non per tutti, entrare in azione. Anzitutto con l’allontanamento psicologico, facendo appello all’indifferenza, alla cancellazione totale o parziale delle ansie provocate. O mediante assuefazione, con fatalistica accettazione. Infine prendendo una posizione netta a favore di uno dei contendenti così da sentirsi forti, e socialmente protetti , da quella parte “buona” contro una parte “cattiva”. Nel recente conflitto ucraino, per esempio, aldilà delle ovvie, reali e gravi responsabilità, finalmente ci si può scagliare contro qualcuno, cioè Putin, addirittura presentato, con l’autorevolezza giornalistica, come un pazzo, come un soggetto psicopatico, ignorando i meccanismi profondi, non personalizzabili, che condizionano le vicende politiche, soprattutto quando sfociano in quelle situazioni militari , spesso assurde e catastrofiche negli effetti reali. Cioè l’identificazione di un nemico, che lo sia realmente o solo virtualmente, è un tentativo spesso produttivo per neutralizzare l’angoscia dell’identificazione con le vittime.
Ma, sempre nell’ambito degli accorgimenti difensivi, per mettere a tacere l’angoscia dell’identificazione con le vittime, qualcuno fa un’operazione ancora più raffinata e in un in certo senso perversa. Per neutralizzare le angosce, cioè si prova piacere nell’ essere presenti a scenari bellici. Si è
attratti da quelle situazioni. Ovviamente solo pochi, dato il discredito sociale che ne consegue, oggi non se la sentono di esaltare una guerra se non riportando il tutto ad un discorso allontanato, esistenziale, tipo quello di una palingenesi umana e così via. Ma c’è il sospetto o diciamo la cattiveria, come altri (o forse molti?), sentano tutto il fascino morboso dei conflitti e aspettino con ansia di vedere lo svolgersi delle vicende di una certa guerra. Cioè hanno “erotizzato” la guerra con l’ausilio potente e fondamentale della esposizione mediatica, soprattutto visiva. Cioè si è dei “voyeur” bellici.
Senza volermi fare pubblicità, ha autopubblicato su Kindle-Amazon un “Diario di guerra di un bambino” che narra la mia personale erotizzazione della guerra, durante gli ultimi anni del conflitto mondiale, tramite il raccordo con i giocattoli, così da sopravvivere all’angoscia che in quel periodo, sovrastava anche un bambino di 6-8 anni.

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