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Lavoro

Quando la smetterà il sindacato di difendere i nullafacenti?

di Mariassunta D'Alessio
17 Febbraio 2015

 

Quando iniziai a lavorare anni fa, in un ufficio finanziario di provincia, accortisi che ero una persona determinata e preparata mi proposero di diventare la delegata sindacale dell’ufficio. Accettai. Mi piaceva e cominciai a muovere i miei passi nel campo delle tutele e delle protezioni dei lavoratori nei faccia a faccia con i dirigenti del mio ufficio e nelle stanze delle rappresentanze. Ero il perno della situazione lavorativa e tutti si rivolgevano a me. All’epoca eravamo dei precari e quindi ben motivati a farci valere. Ognuno accettava di fare quello che le veniva chiesto, pur di dimostrare volontà e voglia di fare. Ma non tutti erano così.
Io molto presa dal mio ruolo prendevo sempre tutto per buono e difendevo tutto e tutti. Ero insomma sempre dalla parte dei lavoratori. Fin quando non mi accorsi che non si poteva difendere l’indifendibile. E quindi cominciai a dire che essere un buon sindacalista significava andare in alcuni casi anche contro i lavoratori. Diritti e doveri pari erano per me e dovevano andare di pari passo. Si poteva recriminare qualcosa solo se si era corretti nei confronti del lavoro. Non ci dovevano essere slabbrature. Apriti cielo. Un affronto. Mi dimisi per non accettare compromessi umilianti.
Se il sindacato non cambia non mi interessa starci, ho ripetuto per anni rimanendo in disparte.

Anni dopo con l’Unione delle sigle sindacali più rappresentative, la triade tanto per intenderci, mi chiesero di occuparmi di donne e di pari opportunità. Non in sostituzione del lavoro, sia chiaro, ma in abbinamento. Accettai e la cosa mi piacque. Discorsi nuovi e nuovi interessi. Sì, mi piaceva. Non sentivo repulsione, e questo mi bastava. Mi trovai a lavorare con gente davvero in gamba e poichè non dovevo tutelare nessuno se non la rappresentanza politica delle donne nelle organizzazioni secondo le leggi dello Stato, mi trovai bene. L’innamoramento durò anni, ma anche questo finì, perchè le forze conservatrici in questi organismi spingono più di quelle riformatrici. C’è tutto da imparare dai congressi. Ma non voglio sconfinare in altri campi perchè sennò dovrei parlare di guerre fratricide e di tanto altro, che chi sta dentro al sindacato conosce bene ma che tiene chiuso e serrato nel forziere della discrezione.
Quello che voglio mettere invece in evidenza è che il sindacato di categoria, io parlo della PA opera ancora come negli anni ’80: difende l’indifendibile. Qualche sigla pur di tenersi stretto quel tesserato che vale poco e produce niente si straccia le vesti pur di incassare quei 12 euro mensili, che il nullafacente fa valere a proprio vantaggio e tornaconto.
Ma si può? Ditemi se si può accettare una cosa del genere. In questi 30 e passa anni impegnati in vari ruoli, anche importanti nella PA, questo atteggiamento lo ritengo inqualificabile. I sindacati non possono difendere un lavoratore a prescindere. Quando arriverà il #cambiaverso in queste grigie stanze ministeriali? E non solo là? Mi auguro infatti che la stessa cosa venga applicata nei trasporti e in tutti i servizi pubblici. Mi auguro che il merito e l’impegno vengano più considerati rispetto a chi scalda la sedia e alza la voce, minacciando tutti di querele…Mi auguro, infatti, che il buon senso e il cervello non abdichino di fronte a minacce e insulti vari. Mi auguro che il sindacato faccia quello che volevo fare io fresca di elezione da delegata: andare contro quei lavoratori che non meritano attenzione e indirizzare le energie a far valorizzare invece chi vale. Questa sì che sarebbe una rivoluzione.

Meritocrazia sindacati
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