I musulmani nel mondo: religione e vita pubblica

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1 Dicembre 2015

Il dibattito pubblico nelle ultime settimane, dopo gli attentati di Parigi, si è di nuovo focalizzato sul mondo islamico. Un mondo di cui spesso si parla e che, altrettanto frequentemente, si conosce poco.

Da ottobre 2011 a novembre 2012, però il Pew Research Center ha condotto migliaia di interviste telefoniche su un campione rappresentativo di islamici in 26 paesi di Africa, Medio Oriente ed Europa.

È un dataset con davvero tante informazioni, che noi abbiamo sinteticamente esplorato.

Innanzitutto, viene chiesta ai rispondenti la propria soddisfazione presente e quella attesa nei prossimi 5 anni. Il grafico seguente mostra, come è consuetudine in questo tipo di indagini, che le persone sono orientate positivamente verso il futuro.

La distribuzione della soddisfazione attesa nei prossimi anni, infatti, è schiacciata a destra verso i valori più elevati:

 

figura 1

Il 70 per cento del campione dichiara che la religione è un aspetto molto importante della vita e un altro 22 per cento afferma comunque che rappresenta una dimensione rilevante.

figura 2

All’interno del mondo islamico, come in quello cattolico, c’è una certa differenza tra il praticante incallito e il credente, diciamo così, animato da spirito olimpico.

Questo lo si può vedere da quante volte una persona va in moschea:

figura 3

In realtà, solo un quarto del campione va in moschea più di una volta a settimana e un altro 20% ci va una volta a settimana. Parecchie persone, poi, sembrano recarsi nel luogo di culto solo per le occasioni telecomandate.

A livello, tuttavia, di momento di preghiera individuale, le cose cambiano e in modo abbastanza evidente, con una maggioranza davvero bulgara di persone (tra coloro i quali si sono sentiti fare la domanda dall’intervistatore) che prega 5 volte al giorno, in osservanza al Salat:

figura 4

Sono piuttosto interessanti le domande che riguardano la tolleranza o il grado di apertura culturale.

In questo senso, spicca una variabile che riguarda l’eventuale reazione di una famiglia al matrimonio di un figlio, o di una figlia, con una persona di altra religione (nel caso specifico, cristiana):

figura 5

figura 6

Mentre per i figli maschi l’intolleranza riguarda meno della metà dei rispondenti, per le figlie femmine il 63% risponde che reagirebbe in modo ‘not at all comfortable’.

Tornando ai rapporti con la religione, ci sono molte domande su ciò in cui si crede: negli angeli, nel paradiso e nell’inferno, nei jinn (geni o entità comunque soprannaturali). Le percentuali di persone sono riportate nel grafico seguente:

figura 7

Una domanda, poi, la cui elaborazione dà risultati piuttosto sconvolgenti è questa: “è giusto uccidere una donna che porta disonore alla famiglia (per esempio facendo sesso prima del matrimonio o commettendo adulterio)?”. Qui di seguito i dati:

figura 8

Spicca come, a fronte di una maggioranza che trova mai giustificabile l’omicidio, c’è comunque un 12% che dice di trovare spesso l’uccisione comprensibile; un 11% che qualche volta la giustifica e un 14% che la capisce raramente ma che può comunque concepirla. Anche scendendo nel dettaglio di genere, uomini e donne rispondono a questa domanda più o meno nello stesso modo.

Un aspetto interessante riguarda la religiosità e l’uso di internet che, spesso, è correlato a un più elevato livello di istruzione. Dal grafico seguente si nota, in effetti, come chi accede ad internet ritiene la religione meno importante di chi non usa il web (anche se le percentuali di importanza relativa della religione rimangono elevatissime):

figura 9

Un’ultima variabile del dataset, più nello specifico del comportamento online, verifica l’utilizzo di social networks come Facebook proprio per postare contenuti a sfondo religioso.

figura 10

Chiaramente Facebook, per chi ritiene la religione importante, può diventare un importante mezzo di propaganda o diffusione delle informazioni.

 

 

 

TAG: Integrazione, islam, Pew Research Center, religione
CAT: Questione islamica, Religione

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