Irlanda, 20 anni fa i gay erano puniti, oggi possono sposarsi

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25 Maggio 2015

L’Irlanda dice “si” ai matrimoni gay rompendo definitivamente uno di quei tabù che fino a pochi decenni fa sarebbe stato inattaccabile: le unioni civili tra persone dello stesso sesso hanno lo stesso valore di quelle tra persone di sesso diverso e tanto vale riunirle sotto la stessa denominazione, quella di matrimonio. Ne è convinto il 62% degli irlandesi e la notizia non può che fare il giro del mondo. Non si tratta  solo del quattordicesimo paese Europeo che riconosce questo diritto, ma della svolta di quello che un tempo era considerato lo stato conservatore per antonomasia e che adesso vede lo stesso Premier cattolico di centro-destra farsi promotore di una campagna a favore del “si”.  Se poi si considera come in Irlanda, fino al 1993, l’omosessualità fosse considerata un reato, come l’aborto continui ad essere vietato dalla Costituzione e come sempre all’interno della stessa Costituzione sia garantito il diritto della donna a non essere costretta a lavorare per ragioni economiche (trascurando quelli che sono i suoi compiti all’interno della casa) si può vagamente comprendere la portata rivoluzionaria del voto di venerdì. La rivoluzione è quella di un paese storicamente Cattolico che è riuscito negli ultimi anni a liberare le istituzioni dal peso di un tradizionalismo esasperato.Non era un’impresa semplice in uno stato che vede la stragrande maggioranza dei servizi essenziali affidati alla Chiesa. Avere la gestione di scuole, ospedali ed asili significa regolare la vita morale dei cittadini, non solo attraverso la messa della domenica, ma anche attraverso l’educazione dell’individuo all’interno delle strutture sociali. Ma come è iniziato il percorso rivoluzionario dell’Irlanda?

gli scandali sessuali che hanno colpito la chiesa irlandese negli ultimi dieci anni, hanno avuto un ruolo fondamentale. Sin dai primi anni del 2000, Inchieste giornalistiche, film di denuncia, commissioni di inchiesta, cominciarono ad attirare l’attenzione sugli abusi perpetrati a danno di minori all’interno di scuole e orfanotrofi. Seguirono le prime denunce delle vittime, fino a che nel 2009 la Commission to Inquire into Child Abuse mise su carta, con il Dossier Ryan, quello che oramai sembrava evidente: dal 1930 al 1980 circa 30000 bambini erano stati vittime di abusi, violenze e umiliazioni da parte di membri del mondo clericale. Anche la Santa Sede fu costretta a intervenire, “commissariando” la chiesa irlandese e presentando nel 2013 un rapporto sulla pedofilia, che confermava nella sostanza il contenuto del dossier Ryan mettendo in evidenza anche l’omertà di alcuni alti esponenti clericali irlandesi che nel corso degli anni avevano contribuito ad insabbiare la vicenda.A questo elemento però bisogna  aggiungere la ripresa economica degli ultimi anni, che ha portato l’Irlanda ad ospitare gran parte delle multinazionali Americane (grazie soprattutto a un regime fiscale molto favorevole)  e a divenire una delle mete più ambite da parte dei giovani in cerca di lavoro. L’Irlanda si è così aperta al multiculturalismo e ha dovuto mettersi in discussione,  procedendo verso una sostanziale e formale laicizzazione.

Nel 1993 è iniziato il suo percorso di modernizzazione,  con la legalizzazione del divorzio nel 1997, l’introduzione delle unioni civili nel 2010 e con il “Children and Family Relationship Bill”, approvato dalle due camere a marzo di quest’anno,  aprendo la strada anche alle adozioni da parte di quei partner civili che abbiano convissuto per almeno tre anni. L’ultimo passaggio è segnato da un percorso di riforma costituzionale in cui rientra anche il voto referendario di venerdì.  Tale processo di riforma è stato segnato dalla coalizione tra il partito conservatore di centro-destra Fine Gael e il Labour Party (centro-sinistra) che non trovandosi d’accordo su alcuni punti da introdurre nel programma di governo, nel 2012  istituirono una Convenzione Costituzionale composta in parte, da esponenti di tutti i partiti politici (33 membri)  e in parte da cittadini ( 66 membri). Lo scopo era quello di rielaborare attraverso un meccanismo di democrazia partecipativa alcuni dei punti controversi presenti nella Costituzione. Tra i vari punti rientrava ovviamente il matrimonio gay e dopo l’approvazione da parte della Convenzione  e dei due rami del parlamento, il testo è stato sottoposto a referendum.  Il voto di venerdì rappresenta solo una conferma formale di quello che, tutti i partiti politici e i cittadini che avevano preso parte dall’interno e dall’esterno al lavoro della Convenzione, avevano già realizzato: l’Irlanda vive un processo di rivoluzione culturale che non può essere arrestato.  L’Arcivescovo di Dublino Martin pur avendo votato contro, parla di “rivoluzione sociale” aggiungendo che “ci dobbiamo fermare, guardare ai fatti e metterci in ascolto dei giovani, non si può negare l’evidenza”. È questo il segnale che anche la chiesa comincia a mettersi in discussione? L’Arcivescovo  ha anche messo in risalto un passaggio fondamentale: “molti dei giovani che hanno votato si, sono usciti da 12 anni di sistema scolastico cattolico. cosa significa questo? Significa che esiste una grande sfida per la Chiesa se vuole far sentire il proprio messaggio alla gente”. Il messaggio è chiaro: in Irlanda, soprattutto tra i giovani è cambiato il rapporto con la fede. Si può essere credenti ed essere a favore dei matrimoni gay, non è un ossimoro. È questo il segnale di una società che chiede un cambiamento, non solo nelle istituzioni, ma anche all’interno di quelle strutture cattoliche che hanno contribuito ad  educare tanti giovani e che non si dimostrano all’altezza di aprire gli occhi su quelle che sono solo semplici ed evidenti realtà in uno stato che sembra pronto a rompere qualsiasi tabù.

TAG:
CAT: Questioni di genere

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