La sedia pieghevole delle donne italiane in politica

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17 Gennaio 2019

Le elezioni di medio termine americane di novembre, seguite dal recente insediamento del nuovo Congresso, hanno regalato una camera dei rappresentanti inedita e democratica. Una delle novità più significative è sotto gli occhi di tutti, si tratta delle donne, le 131 deputate elette e i tanti “primati” che rappresentano: Ilhan Omar e Rashida Tlaib sono le prime donne musulmane ad essere elette al Congresso americano, Alexandria Ocasio Cortez e Abby Finkenauer  sono le più giovani deputate della storia americana (hanno 29 anni), mentre  Sharice Davids e Debra Haaland le prime donne native americane. È bellissimo vedere la galleria dei loro ritratti ufficiali, intuendone le storie e ritrovando finalmente in quei volti un’eco del Paese che rappresentano: un paese multietnico, complesso, contraddittorio, un paese di uomini e donne.

Leggendo in questi giorni le tante notizie che arrivano, in particolare sulle affermazioni della giovane e agguerrita Alexandria Ocasio Cortez, recentemente entrata anche nel comitato dei servizi finanziari della Camera (che controlla Wall Street) viene spontaneo chiedersi dove siano le donne italiane, in particolare di sinistra, ma non solo. Dove sono le giovani (o meno giovani) donne preparate, solide e carismatiche di cui la scena politica avrebbe tanto bisogno? Non che manchino figure femminili importanti, come Emma Bonino ad esempio, e per la verità stiamo sperimentando  – negli ultimi tempi – anche l’esperienza un po’ straniante di dover rivalutare la statura politica di donne che probabilmente in passato avevamo sottovalutato perché appartenenti alla galassia berlusconiana, come Mara Carfagna. Abbiamo il 34% dei rappresentanti donne e anche se il pd si è fatto superare sia (nettamente) dal movimento 5 stelle che, da Forza Italia, i numeri sono i più alti della storia repubblicana.  Eppure, bisogna dirlo, di donne in grado di catalizzare interesse e speranze con l’assertività di una Nancy Pelosi o il carisma di AOC o, in maniera diversa, di Michelle Obama (che pure ha sempre rifiutato e rifiuta l’ipotesi di candidarsi direttamente, ma è comunque una figura politica di primissimo piano) in Italia non ce ne sono. Non lo è Laura Boldrini, uscita massacrata dall’esperienza alla presidenza della Camera, non lo è neppure Maria Elena Boschi che ha scontato anche troppo la vicenda di Banca Etruria, per non parlare di Giusi Nicolini, ex sindaca di Lampedusa, bocciata alle elezioni del giugno 2017. In Italia le donne di sinistra vengono atterrate prima che possano spiccare il volo, ma a tutti i livelli è comunque difficile rintracciare donne impegnate in politica senza sentire di doverne immediatamente citare il “padrino”, lo sponsor maschile. Come se la politica non fosse per tutti una cordata.

È difficile anche solo immaginare una parlamentare in grado di dettare l’agenda dei temi politici all’informazione come sta facendo la Ocasio Cortez sulle tasse per i ricchi. Vediamo le donne ai talk show, spesso competenti e brillanti, ma sempre funzionali; chiamate a controbattere a un interlocutore a volte più autorevole, normalmente più aggressivo, mai dominanti rispetto a ciò di cui si dovrebbe parlare. Assistiamo ogni giorno a reazioni a ciò che il governo fa (anche atti gravissimi come la bocciatura dell’emendamento per stanziare un fondo per i figli delle vittime di femminicidio), mai a una parola nuova, una proposta. Per non parlare delle primarie del PD che vedono una sola candidata donna, Maria Saladino, della quale non si parla mai e Anna Ascani in ticket con Roberto Giachetti, quindi in posizione di supporto.

È un problema di meccanismi di cooptazione? È un problema di personalità e carisma? È semplicemente che viviamo nel Paese più maschilista d’Europa?

La cosa chiara è che nessuna inversione di tendenza sarà possibile se non saranno le donne a volerla, come diceva Shirley Chisolm “Se non ti offrono una sedia al tavolo, portati una sedia pieghevole”, nessun uomo rinuncerà volontariamente al più minimo frammento di potere, al massimo porterà avanti una donna per fare colore ed essere politically correct. E le donne continueranno a lavorare dietro le quinte, a costruire i luoghi di confronto e aggregazione, a facilitare le discussioni, a incanalare le energie verso progetti concreti, senza però assumersene la titolarità.

Non ci si può aspettare nulla dagli uomini, è ora di prendersi le sedie – ignorando chi dirà che il merito è del padrino di turno – e sedersi. Per discutere certo, per collaborare, per costruire nella corresponsabilità: ma da una posizione di forza. Le donne sanno raccogliere voti? Sì, purché finalmente lo facciano per se stesse e non per altri.

Certo, si va incontro ad attacchi personali e anche violenza, ma ne vale la pena e non solo perché “la politica ha bisogno delle donne”, bensì per il semplice fatto che non c’è un motivo al mondo per il quale debba restare questione di uomini e tanti paesi sono lì a raccontarcelo: dall’Islanda, all’Etiopia, dalla Nuova Zelanda al Bangladesh.

E questo dovremmo mostrare alle nostre figlie, anzi ai nostri figli.

 

 

TAG: politica
CAT: Questioni di genere

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