NON moltiplicherò i tuoi dolori: da cattolica dico sì alla Ru486 a casa
Qualche anno fa, nel 2017, è stata pubblicata un’indagine realizzata da Doxa per conto dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italia, in collaborazione con le associazioni La Goccia Magica e CiaoLapo. In quell’indagine emergeva che circa 1 milione di madri in Italia – il 21% del totale –afferma di essere stata vittima di una qualche forma (fisica o psicologica) di violenza ostetrica alla loro prima esperienza di maternità. Un’esperienza così traumatica che avrebbe spinto il 6% delle donne, negli ultimi 14 anni, a scegliere di non affrontare una seconda gravidanza, provocando di fatto la mancata nascita di circa 20.000 bambini ogni anno nel nostro Paese (fonte OVOItalia).
Mi sembra importante partire da questo dato, non abbastanza noto, per parlare della recente modifica delle linee guida sulla pillola abortiva Ru486 approntata dal Ministero della salute.
In pratica ora, a seguito del parere espresso dall’Istituto superiore della Sanità, sarà possibile assumere la pillola abortiva senza ricovero e fino alla nona settimana di gravidanza, prorogando il termine delle sette settimane previsto finora.
In alcuni contesti si è subito parlato di aborto fai-da-te, di donne lasciate sole nel momento più drammatico della loro vita, eppure nessuno si preoccupa del fatto che le donne sono molto più spesso sole, spaventate ed esposte a rischi nelle corsie di un ospedale che a casa propria.
Questo elemento scivola dai discorsi, pur essendo presente nell’esperienza comune (è sufficiente aprire il discorso “parto” in un consesso con 3-4 donne), e si preferisce creare un’immagine idilliaca della corsia d’ospedale come luogo dell’ascolto paziente, dell’accoglienza, del supporto. Non è così, non lo è per infinite ragioni che esulano dalla buona volontà di singoli operatori sanitari. E tanti bambini, magari davvero desiderati, non nascono per questo motivo, eppure migliorare il trattamento delle donne negli ospedali non sembra nell’agenda dei movimenti pro-life, troppo occupati a gettare colpe. In questo contesto, come si può negare che vivere nella propria casa un momento tanto difficile e drammatico come l’aborto possa essere un sollievo? Oltretutto per le donne che sarebbero sole a casa o che presentano una condizione di ansia, il ricovero resta possibile.
Un secondo elemento: chi teme che questa nuova modalità di somministrazione renda più semplice abortire “a cuor leggero”, che deresponsabilizzi insomma le donne rispetto a un gesto tanto estremo, dovrebbe considerare il fatto che l’istituzionalizzazione non ha mai favorito l’autonomia e la riflessività, anzi – al contrario – il funzionamento del sistema (ad esempio ospedaliero) si fonda proprio sulla deresponsabilizzazione dei pazienti, che vengono gestiti, manipolati, spostati. E non c’è bisogno di scomodare Asylums di Erving Goffman per comprenderlo. Se si vuole creare consapevolezza occorre lavorare sull’educazione sessuale e sulla salute riproduttiva, ma spesso nel nostro mondo cattolico questo sforzo educativo è visto con sospetto… questo provoca un cortocircuito.
Terzo elemento: gli aborti sono in calo dal 1983, un calo continuativo, che non lascia intravvedere ragioni per temere cambiamenti, dunque chi dice che la somministrazione in day-hospital anziché con ricovero della pillola Ru486 farà crescere il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza, dovrebbe portare almeno qualche ragionevole argomento a sostegno di questa ipotesi.
Il punto è che, ancora una volta, si tratta di ammettere che il fallimento di una società incapace di favorire la vita, non solo viene pagato dalle donne, ma si pretende che lo paghino soffrendo fisicamente o, almeno, vivendolo in un regime di tutela.
Come donna che ha vissuto in prima persona la violenza ostetrica, come donna che ha vissuto più di un aborto spontaneo, con tutto il dolore fisico e psicologico che ciò comporta, io sostengo che finchè non si agisce per rendere il sistema ospedaliero un posto più accogliente per le donne (e non solo per quanto riguarda la maternità, ma il dolore cronico, il riconoscimento dei sintomi delle malattie, etc…), qualunque veste che si straccia oggi per “quelle povere donne lasciate sole ad abortire” è puramente ideologica e strumentale. Ancora una volta delle donne non importa davvero, quel che conta è controllarne il corpo, dimenticando che è sacro anch’esso, quanto quello del piccolo che portano in grembo.
Sono i supporti socio-economici alle donne e alle famiglie che diminuiscono il numero di aborti, è l’accompagnamento personale a rendere possibile un cambio di rotta, non il rendere più difficile, doloroso e penoso l’accesso all’IVG. Quello è soltanto un modo per aggiungere dolore a dolore, per punire proprio quelle che già pagano per tutti: per gli uomini che spariscono, per gli uomini che violentano, per le famiglie che non sostengono, per una società che fa di tutto per rendere la maternità un lusso e una condanna per la vita delle donne. Se si può in qualche modo alleggerire il peso delle donne… beh, si tratta semplicemente di avere un po’ di misericordia.
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