Vittorio Feltri, la quintessenza dell’indegnità maschile
Esiste un limite dell’indecenza, della malvagità umana e dell’incultura, oltre il quale un uomo è da considerarsi una bestiola dotata di parola, al pari di Vittorio Feltri, il direttore editoriale di Libero, neo eletto nel consiglio comunale di Milano tra le file di “Fratelli d’Italia”. Bisogna essere culturalmente trascurati e cattivi per proferire bestialità indegne di un uomo, credendo di fare dell’ironia, come questa: “Siamo d’accordo: bisogna condannare Genovese se ha stuprato. Però un pizzico d’ammirazione egli lo merita… “. Ecco, nella sua vomitevole oscenità, l’uomo al contrario, l’intellettuale senza pensiero, il divulgatore di grande schifezza, ha tranquillamente pensato, stolto com’è, di essere finanche spiritoso! Poi, considerato il disgusto che aveva provocato in chi s’imbatteva nel suo tweet, lo ha cancellato. Sì, perché quelli come lui battono in ritirata quando sta per mettersi male, quando la gloria non è assicurata da un perverso sistema protettivo di cui si è sempre abusato, quando il confronto diventa aperto e assolutamente democratico. Un banalissimo vigliacco. Nemmeno uno che ha il coraggio di disporsi a difesa della sua indegnità, controbattendo alle riprovazioni che gli sono state mosse e scegliendo l’unico atteggiamento alla sua portata, non essendo dotato della giusta lucidità e apertura mentale per rendersi conto di quanto egli sia più simile a un ripetitore di sconcezze che non a una persona. E, pensando di giustificarsi, in qualche modo, sempre alla maniera dei cretini che amano esporsi in pompa magna, rincara la dose, scrivendo: “Il senso dell’umorismo medio su Twitter è pari a quello di una lumaca bollita”. Umorismo? Un concentrato di limitatezza inarrivabile, una silloge di ebetismo, cattivismo e fallocentrismo, un’asserzione di una volgarità morbosa e abnorme, concepita come un’espressione di humor: siamo al delirio più nefasto di un genuino rappresentante del maschilismo più squalificante.
La scelta di Feltri di non solidarizzare con una donna abusata, ma di esprimere ammirazione per il suo stupratore, distinguendo un indicibile primato laddove c’è da rilevare soltanto una sofferenza psicologica, ha in sé qualcosa di profondamente insano e innaturale, che in nessun modo può e deve appartenere al “pensato” e al “detto” di un uomo, men che meno assurgere a spiritosaggine, camuffandone e svilendone l’incivile contenuto. Se la mente di un protetto e agiato individuo riesce a partorire e a divulgare una cosa del genere senza che la critica, da par suo, ne metta decisamente e perentoriamente in rilievo la disumana inadeguatezza, si rischia di dare il lasciapassare mediatico a una forma subdola di sessismo, che pur condannando, di facciata, lo stupro, ne esalta aspetti abominevoli, derubricati come goliardici. Orribile! Davvero orribile! E, allora, a questo punto, c’è da augurarsi che Giorgia (Meloni), da “donna, madre e cristiana”, escluda dai suoi consiglieri comunali di Milano, una città per tanta parte evolutissima, tanto socialmente quanto a livello prettamente culturale, questo campione di inciviltà. La politica, in ogni frangente, ha sempre l’occasione per dimostrarsi tempestiva, utile, opportuna. Negare a Feltri di essere un rappresentate del popolo milanese, di cui si dimostra indegno, è un’occasione da non perdere. Diversamente, egli ha solo espresso qualcosa che, nella logica ideale del partito “Fratelli d’Italia”, risulta condivisibile. Qualcosa, si pensi, che, alla fine dell’800, una donna come Rosa Luxemburg avrebbe trovata del tutto e assurdamente anacronistica, oltre che di bassa lega.
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