La principessa Victoria e la cultura delle molestie sessuali

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29 Maggio 2018

«Le molestie sul posto di lavoro sono dovute alla relazione malata tra l’universo maschile e quello femminile basata sull’oggettivizzazione del ruolo e del corpo della donna: è un tratto diffuso e consolidato della contemporaneità che non riguarda solo alcuni mondi, come quelli del cinema o della moda». Enzo Risso, direttore scientifico dell’istituto di sondaggi Swg, analizza il fenomeno delle molestie. La ricerca più attuale sul tema condotta dall’istituto stesso risale al marzo scorso ed è un’intervista a mille donne italiane, il 27% delle quali dichiara di essere stata molestata almeno una volta nella vita. Di queste il 46% ha subito questa forma di violenza sul posto di lavoro.

Stiamo ancora aspettando il processo ad Harvey Weinstein, il potente produttore cinematografico che costringeva le dive di Hollywood a passare dal suo letto se volevano lavorare, e intanto continuano ad emergere nuovi casi in tutto il mondo. Il più sconvolgente tra quelli recenti riguarda la giuria che assegna il premio Nobel per la letteratura: il marito di una giurata, il fotografo di origini francesi Jean-Claude Arnault, che grazie alla moglie lavorava per la stessa giuria, da anni molestava sistematicamente tutte le donne con cui veniva in contatto per motivi di lavoro, dalle stagiste passando per le letterate fino all’erede al trono di Svezia in persona, la principessa Victoria.

A rendere il quadro più inquietante c’è da sottolineare che la principessa non ha mai denunciato il molestatore. Proprio lei che è potente e amatissima nel suo paese. E ciò fa riflettere, se si considera che secondo alcuni le attrici di Hollywood che hanno denunciato Weinstein sarebbero delle approfittatrici ingrate, che sono andate dalla polizia a scoppio ritardato, quando per anni hanno taciuto per agevolare la propria carriera. All’erede al trono svedese un’accusa simile non si può avanzare: «Il caso della principessa mostra la dimensione della pressione culturale che viene esercitata sulle donne (una violenza nella violenza) – spiega il professor Risso –. A una donna conviene tacere invece che denunciare per non entrare in un vortice in cui da vittima rischia di diventare colpevole ». Se anche alcune donne hanno subito molestia e l’hanno accettata per fare avanzamenti di carriera, «faranno i conti con la propria coscienza, ma il punto è che non è mai ammissibile che qualcuno usi il proprio ruolo e il proprio potere per sopraffare gli altri, per ottenere indebiti favori e piaceri».

Se è vero che le molestie sessuali sono sempre esistite, secondo il direttore scientifico di Swg la situazione è peggiorata. «La liberazione sessuale del ’68 ha aperto le porte al diritto legittimo delle donne all’indipendenza, cioè a vestirsi come pare loro, frequentare chi vogliono al di fuori delle regole della società patriarcale, a essere libere di condurre la propria vita e a non dover dar conto a nessuno. La società, il mondo capitalistico-consumistico ha saputo svilire questa grande conquista storica e trasformare la libertà femminile in una nuova merce.  La mercificazione del corpo femminile e della libertà delle donne si è tradotta in una nuova forma di predominio maschile, in cui l’uomo, potente e no, pensa di avere sorta di “diritto” a fare quello che vuole appena vede una donna, ritenendo plausibile il superamento di qualunque confine di normale relazione. Così diventa “normale”, pensare che un approccio verbale aggressivo a  uno fisico non richiesto sia nelle possibilità degli uomini, verso quella nuova merce che è diventato l’universo femminile». Agli uomini che si lamentano perché il movimento anti-molestie è una forma di “puritanesimo”, che rende impossibili i rapporti uomo-donna impedendo ad esempio il “corteggiamento”, il professore risponde che: «il problema non è che non si può corteggiare o fare una battuta: il problema è il come. C’è differenza tra fare la corte e molestare sessualmente».

La soluzione, quindi, non è tornare al passato, ma lavorare insieme, uomini e donne, per una cultura del rispetto delle persone in quanto tali. Soprattutto nell’ambito delle molestie sul luogo di lavoro, le aziende devono svolgere un ruolo più attivo: «L’aumento del numero di donne al lavoro rispetto a 40 anni fa richiede che le imprese facciano non solo controlli, ma anche attività culturale perché la cultura del rispetto è una parte importante del modo in cui si concepisce il benessere interno all’azienda stessa».

Quanto al ruolo delle madri, che secondo alcuni sono le prime ad educare “male” i figli maschi (come se i padri non avessero un’analoga responsabilità), secondo Risso il punto non è, solo, la tendenza a dare un’educazione diversa per i sessi: non è questo che crea, necessariamente, il retroterra culturale della violenza. Il vero tema è che i genitori, insieme, dovrebbero instillare fin dalla più tenera età il rispetto per la persona tout court, i suoi gusti e le sue esigenze, ma soprattutto i suoi spazi di libertà ed esistenza. Abituare i figli, specie maschi, ad avere dei confini, a non pensare che possono fare e avere ciò che vogliono. Che le bambine, le donne, non sono oggetti, ma persone che vanno rispettate. Occorre educare i maschi a non sentirsi giustificati a usare la violenza e le femmine a non trovare normale subire maltrattamenti da parte del partner. Occorre, infine, una maggiore educazione sentimentale per superare le emozioni negative e crescere bambine sicure di sé.

TAG: cultura della violenza, Harvey Weinstein, molestie sessuali, Premio Nobel, violenza
CAT: Questioni di genere, relazioni

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