Venditti e la canzone dei bimbi spezzati

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12 Giugno 2021

Silvia mi ha abbracciato da dietro le spalle ed è rimasta così, dondolando sulle ginocchia piegate, per un tempo interminabile, mentre io continuavo a giocare a carte. Sentivo il suo profumo ed il suo nervosismo sul collo e nell’orecchio, e percepivo il cuore che batteva sempre più forte. Come faceva in questi casi, tirava su col naso. Intorno a noi, tutti facevano finta di nulla. Finché lei non ha trovato il coraggio, mi ha preso la testa, mi ha girato e mi ha baciato. Cantando. Un effetto stranissimo.

Le nostre adolescenze, quelle di tutti, sono pozzi senza fondo di paure, imbarazzo, tabù, superstizione ed atti sconsiderati – e della speranza che, non sapendo chi siamo, almeno si sia capaci di capire chi ci stava di fronte. Tra noi ci sono quattro anni e, a quell’età, questo significa una distanza stellare, perché tra 17 e 21 anni si cambia completamente, come un serpente che cambia non solo la pelle, ma anche l’anima. Ed i miei primi pensieri sono tutti stati frutto di questo coacervo di confusione ed inadeguatezza: Dio, quanto è carina; accidenti, le piaccio davvero; attenzione, ora gli altri ci prenderanno in giro; nell’altra stanza ci sono i suoi genitori; ma quanto è carina…

Il giorno dopo mi ha regalato una copia del libro che stava leggendo. Emily Brontë, orgoglio e pregiudizio. Voleva parlarne, perché era travolta da quel capolavoro che, io, maschio demente, avevo letto con superficialità, annoiandomi – e quindi l’ho riletto in un giorno ed una notte, per non fare brutte figure. Ma vedersi era quasi impossibile, perché sua madre (giustamente) riteneva che la differenza di età fosse eccessiva e Silvia non fosse in grado di gestire un’avventura con uno che, come me, veniva considerato bello, dannato, viziato, scemo come una pera, sussiegoso, fanfarone, complessato e fin troppo pieno di energia.

Così l’andavo a trovare a casa e si parlava tutti insieme, come in una terapia hippie di gruppo. Finché sono riuscito a convincerla che avrei potuto passare all’uscita della scuola e portarla a casa in auto, di modo che potessimo avere una mezz’ora insieme. Era terrorizzata, tanto che tremava. Per paura di essere sfottuta dalle compagne di classe, di essere scoperta dalla professoressa e dai genitori, ma soprattutto di restare sola con me. Quando l’ho baciata non cantava più, cercava piuttosto di sbrigare la pratica il più velocemente possibile.

Non so cosa sia successo, perché io ero generalmente un vero somaro, ma ho scoperto in me una capacità di ascoltare del tutto nuova, e poi una pazienza calma, fatta di buonumore e non di rimprovero. Era chiaro che Silvia fosse convinta che – nel momento in cui fossimo stati una coppia ufficiale – ci sarebbe dovuto essere del sesso e della violenza psicologica. Posso dire con orgoglio di non aver nemmeno mai tentato nulla del genere, e l’effetto, dopo un po’, è stato terrificante, perché Silvia ha iniziato a raccontare. A fidarsi. In un sussurro, perché si vergognava di essere stata stuprata a 14 anni, del fatto che la famiglia non le avesse creduta, che lo stupratore fosse ancora oggi parte integrante della sua quotidianità, del fatto che fosse accaduto a scuola e, per questo motivo, lei venisse considerata una zoccola.

Roma: L’entrata dei “nostri” giardinetti di Piazza Mazzini, 1979

Silvia aveva 17 anni ed era già spezzata. Io non sono stato in grado di dire o fare nulla che potesse aiutare, tranne lasciarla stare e sparire dalla sua vita, quando era chiaro che lei fosse ad un bivio: essere la Silvia vera, dolce, intelligentissima, empatica, romantica, curiosa, affamata di vita, o la Silvia pubblica, quella sempre sopra le righe, volgare e caciarona, superficiale ed inaffidabile. Lì per lì scelse la seconda strada, ma non è giusto che io racconti del perché lo so. Siamo tutti vecchi, ma certe ferite non si rimarginano mai, anche quando siamo cambiati.

Ma riprese a baciarmi cantando. Lo faceva raramente, quando era spinta dal bisogno di affetto e si sentiva abbastanza sicura di non soffrire troppo. Cantava Venditti, la canzone del suo ultimo album di allora, ed io, allegro, ero abbastanza somaro per chiedere perché, avendo tutto il mondo a disposizione, avesse scelto un cantautore così egotico, isterico e sputtanato. Perché lui è l’uomo che capisco, quello che si piega al destino e sa che tutto sta finendo male – diceva. L’uomo debole, violento nelle sue rabbie e sofferenze. L’uomo che alla fine lei avrebbe scelto per compiere il suo, di destino, che era quello di diventare una vecchia pazza circondata di cani e gatti.

Le voglio ancora bene, anche perché mi ha insegnato a provare affetto per tutto ciò che consideravo imbarazzante, penoso, stolto, infantile e confuso. Mi ha detto: resterai sempre solo, perché fai troppa paura. E mi fece due nomi di amiche comuni, che sostenevano la stessa cosa. Negli anni successivi la vita ha confermato che avessero ragione – alla fine anch’io non ho fatto altro che compiere il mio destino. Anche se non sono nato sotto il segno dei pesci.

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CAT: relazioni

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