Il mondo dei quanti con la sua grammatica fatta di regole astruse e controintuitive resta dopo quasi cent’anni il più grande passo in avanti della scienza nella comprensione della realtà. C’è solo un piccolo problema: non lo capisce nessuno. In Helgoland (Adelphi Edizioni, 2020, pp. 227) il fisico e autore di best seller Carlo Rovelli fa di questa complessità il motore di un congegno narrativo molto articolato da cui emergono due protagonisti: Werner Heisenberg e Aleksandr Bogdanov.
Nel 1925 il ventitreenne Heisenberg, Wunderkind della fisica teorica, per superare un’allergia al polline si reca su Helgoland, letteralmente “terra sacra”, un’isola tedesca nel Mare del Nord. Nel suo bagaglio c’è la modernità di pensiero della filosofia austriaca e tedesca d’inizio ‘900. Ernst Mach, il famoso fisico e filosofo, concepiva una forma di positivismo che teneva conto di un mondo conoscibile soltanto attraverso osservazioni e misurazioni, liberi da ogni metafisica. Heisenberg adotta il metodo e prova a descrivere il comportamento di un elettrone e ricalcolarne l’energia solamente attraverso gli osservabili. Rinuncia totalmente a descriverne il moto e all’idea che l’elettrone sia un oggetto che si muove lungo una traiettoria ma ne misura soltanto le quantità che osserva: frequenza e ampiezza della luce emessa. A un certo punto qualcosa di immenso succede, qualcosa che porterà il giovane scienziato a dire: “Ero profondamente allarmato. Avevo la sensazione che attraverso la superficie dei fenomeni stavo guardando verso un interno di strana bellezza; mi sentivo stordito al pensiero che ora dovevo investigare questa nuova ricchezza di struttura matematica che la Natura così generosamente dispiegava davanti a me”.
Ma chi è invece Aleksandr Bogdanov e come c’entra in questa storia? Come mai Rovelli sceglie, accanto a un fondatore della fisica quantistica, un semi dimenticato rivoluzionario russo? Risalgono al 1904 – 1906 i tre volumi sull’ empiriomonismo di Aleksandr Bogdanov che lo portarono al distacco dal Partito di Lenin. Pseudonimo di Aleksandr Aleksandrovič Malinovskij, Bogdanov è scrittore, medico, filosofo, primo traduttore in russo del Capitale di Marx. È compagno e alleato di Lenin finché nasce tra i due uno scontro dapprima politico e poi ideologico: Bogdanov diventa il grande rappresentante del revisionismo marxista in Russia per influenza del filosofo Ernst Mach, la stessa fonte di ispirazione per Einstein e Heisenberg, e cerca un significato psicologico nelle teorie di Marx considerando che non c’è nessuna distinzione tra i fenomeni fisici e i fenomeni mentali, che sono invece aspetti di un’unica reale esperienza. Nel 1909 Bogdanov verrà espulso dal Partito e Rovelli, nel racconto di questo scontro filosofico epistemologico, espone la critica di Lenin a Mach e Bogdanov “non perché Lenin sia Lenin, ma perché la sua critica è la reazione naturale alle idee che hanno portato alla teoria dei quanti”.
Il resto del libro è un più tradizionale viaggio attraverso i quanti, i grani che compongono il tessuto della realtà, di cui Rovelli offre un’interpretazione relazionale che si basa sull’idea che gli elementi utili per descrivere la natura siano manifestazioni di sistemi fisici gli uni agli altri, non proprietà assolute di ciascun sistema. Un viaggio importante attraverso le profonde implicazioni di una teoria che ci ha regalato numerosi risultati e larga parte della tecnologia moderna (dai computer alle centrali nucleari) e che ci costringe a rivedere in maniera radicale la struttura della realtà, delle esperienze e forse anche della coscienza.
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In copertina: L’isola di Helgoland fotografata da Hermann Spurzem (1929), Archivio Spurzem (CC)
Carlo Rovelli, Helgoland
Piccola Biblioteca Adelphi, 756
2020, pp. 227
15 ill b/n e colori nel testo
€ 15,00
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