Il tempo percepito, lo sappiamo bene, può essere molto diverso dal tempo dell’orologio. È un tempo determinato dalla nostra attenzione, dalle emozioni del momento, dal nostro stato d’animo. Possiamo dire senza alcuna esitazione che questo Personal Time è un prodotto del nostro cervello. Quello che ci risulta più complicato comprendere nel profondo è che anche il tempo degli orologi, uguale per tutti, il Government Time dell’ordinamento istituzionale e sociale, è un prodotto del cervello umano. Perché allora – se il tempo è un prodotto dell’attività cerebrale e il nostro cervello è una vera macchina del tempo – il fenomeno presenta due aspetti così diversi? Perché nascerebbe da meccanismi nervosi parzialmente differenti. La vita di qualsiasi essere vivente dotato di sistema nervoso centrale non sarebbe immaginabile senza il tempo e senza “il senso del tempo”; la temporalità è una condizione al contorno basilare per ogni esperienza cognitiva eppure il tempo è un fenomeno completamente elusivo: non possiamo toccarlo né sentirlo, non possiamo vederlo né annusarlo ma la nostra coscienza lo sente come parte di sé. Lo sente, non lo percepisce, poiché – per dirla con Kant – il senso del tempo è una proprietà del nostro corpo. Il tempo non è qualcosa presente nell’universo che l’uomo avverte, il tempo è in noi e i suoi meccanismi nervosi sono stati selezionati dall’evoluzione e funzionano secondo i principi dei fenomeni cognitivi.
“Neurobiologia del tempo” (Raffaello Cortina Editore, 2020) di Arnaldo Benini, professore emerito di Neurochirurgia e neurologia presso l’Università di Zurigo, parte da tutte queste considerazioni, che risultano ancora più interessanti ora che l’antico problema fisico e filosofico del tempo è ritornato di attualità: larga parte della fisica teorica nega il tempo, considerandolo un’illusione (“per quanto tenace”, scrisse Einstein). Per comprendere a fondo il nostro universo si potrebbe per molti fisici fare a meno della nozione di tempo, poiché esso non farebbe parte della sua struttura fondamentale. C’è un solo piccolo problema: per le neuroscienze il tempo è reale, vicino al nucleo ultimo della Natura. E i dati della ricerca biologica sono difficilmente contestabili.
Nel 1849, Hermann von Helmholtz, medico, fisiologo e fisico tedesco, utilizzando il nervo della zampina di una rana e un miografo, misurò la velocità con la quale un segnale viene trasmesso attraverso una fibra nervosa. A quel tempo si credeva che la stimolazione elettrica di un nervo motorio e la contrazione del muscolo fossero simultanee. Helmholtz dimostrò che esiste un tempo misurabile durante il quale uno stimolo elettrico arriva al nervo del polpaccio della rana e chiamò questa latenza tra stimolo e contrazione muscolare temps perdu. Questo tempo esiste ma non è percepito dalla coscienza. Viviamo dunque nel passato, e il cervello sottrae alla coscienza parte della durata dei fenomeni neurologici. A partire da questa eccezionale scoperta Benini, in una nuova edizione aggiornata anche con riferimenti a studi recenti, ci accompagna attraverso gli aspetti fondamentali della ricerca neurobiologica sul tempo, un viaggio da non perdere se si vuole guardare da molto vicino uno degli aspetti più incredibili e complessi dell’esperienza umana. La realtà del tempo, l’illusione della simultaneità, il senso del tempo durante il sonno e nel cervello ammalato: un’immersione appassionante in un meccanismo che ha del magico ma di cui raramente ci chiediamo cosa sia e da dove venga.
***
Arnaldo Benini,
Neurobiologia del tempo (nuova ed.)
Raffaello Cortina Editore, 2020
pagg 166 – € 16,00
Devi fare per commentare, è semplice e veloce.