Resistere in un’epoca oscura

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10 Gennaio 2017

Queste poche righe rappresentano un invito a leggere la conversazione (con Miguel Benasayag) Resistere in un’epoca oscura contenuta a margine del Discorso della servitù volontaria di Étienne de La Boétie ripubblicato da Feltrinelli nel 2015 a cura di Enrico Donaggio. Arrivo dunque a scrivere di questo volume con grande ritardo, mi scuso, ma soltanto ora l’ho letto.
Per la verità, l’invito è a soffermarsi, in tutto il libro, sulla bella conversazione, appunto, di cui dicevo di volervi parlare. Una conversazione così bella da aver fatto venire voglia a chi scrive, per la prima volta in tutta una vita, di estrarre alcuni passaggi quasi a farne feticci. Un innamoramento, insomma, che si è consumato non immediatamente e a dispetto del modo orribile con cui è stata intitolata la sezione “interventi” di questo volume: Affinità e divergenze tra noi e il compagno La Boétie (insomma uno scempio).
Benasayag spazza via alcuni fraintendimenti – e di questo bisogna essergli grati – che vorrei sommariamente richiamare in cinque sintetici punti, citando poco più che le sue stesse parole.

1. L’affermazione “l’orizzonte dell’umanità è la libertà” e quella “ogni tanto, quando le condizioni di vita, i rapporti di produzione, la tirannia esercitata dallo Stato si fanno intollerabili, si deve impiegare qualcosa che somiglia alla libertà” non coincidono affatto. Come veterano della rivoluzione, come si definisce Benasayag, egli ha constatato la differenza che corre tra chi vuole legittimamente cambiare le proprie “orribili condizioni di vita e chi persegue invece un desiderio di libertà come fine in sé, come avventura. Non è una differenza teorica, ma pratica”. Mi pare che ripetutamente, nella storia, questa distinzione sia purtroppo saltata, producendo grandi fraintendimenti e dunque enormi danni politici, a volte anche e purtroppo sociali.
2. “Nessun tiranno mantiene il potere con le baionette”. Non esistono, se non romanticamente aggiungeremmo noi, uomini e donne “puri”. Esistono degli elementi di sottomissione volontaria, aggiunge l’autore: “Tutti, nella sinistra contestataria, anarchica o rivoluzionaria, adorano Foucault, ma la lettura che ne fanno occulta l’idea che nessuno, in specifico, detiene il potere; che il potere è un sistema al quale partecipano lo schiavo come il padrone”.
3. Un terzo punto su cui egli insiste mi pare oltremodo attuale e importante: “Si pensa che gli uomini e le donne siano pronti a lottare quando li si sente lamentarsi della propria sorte. Ma così facendo si confonde il lamento con il desiderio di libertà. Se il lamento fosse rivoluzionario, saremmo di fronte a una sorta di rivoluzione planetaria! Non è perché ti lamenti della tua situazione che desideri cambiarla, semmai il contrario. Il lamento è un circuito chiuso […] In questi termini, la questione della liberazione è soltanto una questione di narcisismo: si tratta di decidere chi è “pulito” e chi è “sporco”. Tutto ciò, evidentemente, non ci aiuta affatto a risolvere il problema dell’ingiustizia”.
4. Cos’è mai il desiderio di libertà?, si chiede. E qui arriviamo credo al momento più dirompente, più appassionato e potente. Una sorta di eccesso, ci dice, che in forma ricorrente s’impossessa degli individui e dei gruppi umani: “Persone prese in situazioni concrete” possono fare esperienza di questo eccesso. “Possono sentirsi convocate, chiamate […] E questa pulsione possono reprimerla, tradurla in comportamenti utilitaristici accettabili dal mercato, aggirarla o assumerla. Se decidono di assumerla, il loro io si ritrova un po’ nella merda, perché una buona parte della loro energia sarà assorbita da questo appello, fino al punto – a volte – di metterne in pericolo la sopravvivenza. Ma questo appello corrisponde a un’affinità elettiva totale che non proviene soltanto dalla persona che la prova, ma dalla situazione, dalla storia nella quale la persona è presa”. Dovrà insomma creare.
5. Nelle “epoche oscure” la massa si ritira. “Pochi hanno la capacità di disobbedire alle leggi della polis”. La nostra è un’epoca oscura, appunto, e in un’epoca oscura “occorrono più coraggio e più sforzi per resistere di quanti ne servano in un’epoca luminosa. Ma per me, che le ho vissute entrambe, l’epoca oscura è molto più interessante”. E arrivo alle frasi che sarei tentato di trasformare in feticcio, in una cartolina da Facebook. È quasi in chiusura che l’importanza di questo volume m’investe e ripaga. Il nostro lavoro, ci dice Benasayag, è scoprire come si resiste in un’epoca oscura. Il nostro compito, in ogni epoca, è sapere da dove passa la libertà.

Grazie, dunque, a chi ha pensato il volume, e grazie a Enrico Donaggio, che non conoscevo e ora sì.

TAG: libertà, società
CAT: Scienze sociali

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