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Scienze

Un pensiero radicale, oggi

di Luigi Vergallo
29 Settembre 2018

Quale pensiero, oggi, può essere definito un pensiero radicale? Un pensiero radicale non può certo essere un pensiero puramente individuale, ma un pensiero che sappia intercettare altri pensieri e riconfigurarsi con loro. Ancora, un pensiero radicale, oggi, non può che essere un pensiero capace di parlare alla massa delle persone, laddove la massa non sono certo i militanti di destra che gridano “quanto sei nera” ad altre persone, oppure “se ti piace la società meticcia si vede che ti piacciono i neri”, ma quell’enorme, maggioritaria massa grigia – che in Italia pare vincere sempre – che a una politica che sdogana simili discorsi regala incurante la possibilità di governare, non perché ne condivida, come dire, le “forme di esistenza”, ma perché, a partire da problemi reali, da paure che – per definizione – sono sempre reali (“il fantasma dei fatti”, direbbe a ragione Piero Colaprico, un fantasma dei fatti non meno importante dei “fatti in sé”), a partire da problemi reali quella massa grigia, dicevo, cerca, contingenza per contingenza, una soluzione che non trova in un’offerta politica più “tradizionale”, chiamiamola pure così, più tradizionalmente moderata soprattutto nei toni, più che nei dati di fatto: questo, a me, pare abbastanza evidente. Un pensiero radicale, dunque, deve avere chiaro il nesso fra l’importanza della teoria e della “forma teorica”, come ha scritto in passato Aurelio Macchioro, la forma teorica che “sottende l’indagine, l’inchiesta, la denuncia, la controinformazione, ecc., nonché è teoricamente importante il sarcasmo, la irrisione”. La teoria che guida l’azione culturale di un pensiero radicale, l’azione culturale e dunque l’azione politica, non può perciò fare a meno d’interrogarsi sulla “forma teorica” che assume, che naturalmente è pensata in relazione a un pubblico, ai pubblici di riferimento, se vogliamo chiamarli così, oppure alla propria classe, al proprio gruppo, alla propria collettività di riferimento, a seconda dei casi. Da una parte, allora, si vuole parlare al popolo ma il popolo lo si schifa: lo schifano i militanti, che reputano il volgo ignorante, e lo schifano gli intellettuali, chi scrive, chi vorrebbe essere letto ma prova schifo i gusti di chi legge, e chiama i lettori col nome di una razza di scimmie. Dall’altra parte, sulla capacità di sarcasmo la sinistra ha a lungo fallito, e quando il centrosinistra, in tempi molto recenti, ci ha provato di nuovo, ha ancora clamorosamente fallito, perché la “forma teorica” funziona, e ha senso, solo se appunto è teorica, se ha alla base una teoria, un contenuto, un’analisi dell’esistente: cosa ch’evidentemente non era. La teoria è importante, dunque, e la pratica chiarisce la teoria. Sicuramente si tratta della partita più complicata. Un pensiero radicale, perciò, necessiterebbe oggi di un forte ancoramento teorico, di una forte attività di ricerca, d’inchiesta e di disseminazione, e dovrebbe essere in grado di parlare a un pubblico più ampio possibile, definito non sulla base dei consueti circoli culturali, ma individuato a partire dalla forma teorica che dicevamo, una forma teorica – di ricerca e poi di azione pratica – che parta dalle domande che si pone ma che, forse, dovrebbe imparare a partire anche da quelle un po’ fuzzy che dalla società si levano in volo, talvolta in forma un po’ stomachevole: ma tant’è, non è possibile far finta di niente.
Insomma: se è vero che l’unica parte della cosiddetta ricchezza nazionale che entra realmente in possesso della collettività dei paesi moderni è il debito pubblico, quando se ne produce (anche) per finanziare una riforma fiscale che serve a sua volta per togliere ai poveri regalando ai ricchi, ci sarebbe grande spazio sia per la teoria che per il sarcasmo, ma teoria e sarcasmo non possono generarsi da chi ha fatto altrettanto, ecco perché, per chiudere sulle caratteristiche di un pensiero radicale nel tempo presente, beh, un pensiero radicale, oggi, dovrà uscire da bocche nuove, da un alito fresco, da chi saprà rompere le vecchie categorie dell’appartenenza, della devozione a priori.

Cultura politica popolo ricerca
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