Teatro
“Bhagavadgita”, canto dell’anima secondo il Gran Teatro del Lido Adriano
RAVENNA _ La guerra, l’odio, l’amicizia. E la vita di tutti i giorni: nella città, nel quartiere, nella strada. E quella interiore. Che pone domande a cui è difficile rispondere: cosa facciamo noi qui? Quesiti di molti canti epici che raccolgono culture sedimentate nel tempo racchiuse e protette dentro testi, persino iniziatici, spesso pure non direttamente comprensibili a un grande pubblico. Hanno anche il compito di essere il riferimento di leggi non scritte, precetti morali a cui attenersi, consigli e guide per affrontare il quotidiano. Soprattutto facendo i conti con la propria spiritualità. E’ il caso del Bhagavadgita (episodio del più grande Mahabharata), poema indiano battezzato “Il Canto del Divino” che al suo interno ha le chiavi per una comprensione profonda della sorte dell’uomo, diventato il centro dell’allestimento/evento del Grande Teatro di Lido Adriano, tenutosi, nell’ambito di Ravenna Festival, la prima decade di giugno nel giardino dello Spazio Cisim, a due passi da Ravenna con la visionaria regia di Luigi Dadina, già fondatore con Martinelli,Montanari e Nonni del Teatro delle Albe e, da alcuni anni, corpo e mente dedicata ad un progetto esaltante, incredibile e anche un po’ folle di dare vita a una compagnia di comunità che raccoglie un centinaio tra attori, musicisti, artisti visivi etc… Questo originale ensemble per 365 giorni lavora, legge, studia e affina materiali da consegnare poi a una stesura teatrale comune in cui viene concentrato tutto il lavoro collettivo di un anno. Avviene in una zona borderline, periferia vicina e lontana dalla città, che negli anni sessanta accolse i primi immigrati meridionali. In seguito è diventato luogo di residenza per altri, arrivati da mondi lontani: dall’Africa innanzitutto e poi anche dall’Oriente.
Sono questi, assieme a dei romagnoli purosangue, il nocciolo duro della compagnia. Forti e decisi nell’impegno nonostante le contraddizioni e insicurezze che comporta questo tempo attraversato da conflitti orribili, malessere sociale e nuovi razzismi. Nel ritrovarsi attorno al focolare del teatro c’è un qualcosa di antico che cementa la comunità nel lavorare quotidianamente su un progetto effimero come quello che andrà in scena. Quell’allestimento curato con così tanto amore e puntiglio, durerà solo il tempo della rappresentazione dal vivo in un pugno di sere. Dopo l’ultima replica gli abbracci, i canti e la festa. E si ricomincia. Si impiantano i laboratori di canto, danza e musica. Si studiano e si affinano i testi, si memorizzano le parole, si scambiano idee. Così è avvenuto nel primo anno, 2023, con il sensazionale “Mantiq-At Tayr – Il Verbo degli Uccelli”. Ugualmente l’anno successivo con il “Panchatantra” e stavolta con il “Bhagavadgita” che sigilla la prima trilogia del Lido Adriano. Un poema straordinario quest’ultimo che va diritto al cuore della stessa esistenza umana.
Pronti ogni volta a ripartire. Ci sono tutti: i trentenni con la passione dell’hip hop guidati da Lanfranco Vicari che dal 2012 hanno dato vita a quella sorta di “Casa del popolo” che è il Centro Cisim – di cui Federica Francesca Vicari è l’imprescindibile motore- assieme a uomini e donne di ogni età fino ai piccoli dai sette/otto anni in su. Custodi e sostenitori allo stesso tempo.
A rifletterci un po’, diversi sono i fili che sembrano avvicinare questa esperienza cosmopolita a quella venuta su cinquanta anni fa in Val d’Orcia, Toscana: il Teatro Povero di Monticchiello. Anche qui per tutto l’anno si lavora a una forma di messa in scena originale, nata lì e battezzata con il termine dato da Giorgio Strehler : “autodramma” . Storicamente il Teatro Povero nasce negli anni Sessanta come reazione alla crisi della mezzadria. “In un paese senza un teatro venne deciso di aggregarsi attorno a un’idea di teatro in piazza: una forma di spettacolo che diverrà presto tentativo di ricostruzione collettiva e ideale del senso delle proprie vite. Una forma di resistenza alla crisi”. Così affermano quelli del Teatro Povero che decidono assieme agli abitanti del borgo il tema che sarà messo in scena d’estate per abitanti e visitatori del borgo medioevale. Si lavora nei ritagli di tempo, al ritorno dal lavoro e nelle ore libere delle feste. Ognuno con il proprio compito, dagli attori a chi costruisce le scenografie, idea i costumi, scrive la drammaturgia etc…
Montichiello, Lido di Adriano: la loro nascita avviene all’interno del proprio singolare quadro economico, sociale e antropologico. I teatri popolari forniscono sempre un ampio accesso al pubblico diventando strumento di crescita collettiva e partecipazione della comunità in cui nascono. Così avviene anche con il Grande Teatro del Lido Adrianodove per tre anni si è deciso di studiare poemi e canti epici per riflettere anche sul proprio tempo, allestendo spettacoli en plein air, cioè non dentro i teatri ufficiali, chiamando in scena attori non professionisti, cittadini e giovani, utilizzando un linguaggio semplice e diretto.
Assai problematico quando si deve affrontare un testo ingombrante e di raffinata costruzione quale è il “Bhagavadgita” che, nonostante abbia una origine antica, per i temi che discute possiede una sconcertante attualità. Opera immensa e difficile da decodificare anche per gli stessi studiosi. Ma materia affascinante che conquistò un indimenticabile teatrante di grande levatura quale fu Peter Brook che nel suo “Mahabaratha” fece un affresco vivente di forti passioni. Classico della spiritualità di tutti i tempi questo è un poema di settecento versi divisi in diciotto canti corrispondenti ai capitoli XXV-XLII del sesto libro dell’epopea sulla battaglia tra Pandava e Kaurava narrata nel Mahabaratha. Le origini si ipotizza che risalgano al primo secolo a.C. Per gli indiani è un libro sacro.
Prima che il Canto del Divino inizi, prima che i versi raccontino l’essenziale mistero che risiede dentro la vita di ognuno c’è un rituale di iniziazione che si ripete ogni volta prima dello spettacolo. E’ una sorta di rito scacciaguai ma pure auspicio di buona vita. Max Penombra, rapper ravennate possente come una montagna va nell’arenile a poche centinaia di metri dallo spazio teatrale, portandosi dietro parte degli attori che interpretano i guerrieri e un bel po’ di pubbico che lo osserva incuriosito mentre entra in acqua vestito di tutto punto, giacca e pantaloni scuri, iniziando a dirigere le onde.
Un concerto per onde marine che è una dichiarazione d’amore da parte di una forma di teatro popolare per uno dei maestri del teatro contemporaneo europeo quale fu il grande Tadeusz Kantor creatore e regista di opere immortali come “La classe morta” o “Wielopole Wielopole”. L’atto di dirigere le onde è infatti la citazione del Concerto al mare che l’artista polacco organizzò nell’agosto del 1967 in una spiaggia del Mar Baltico. L’happening, uno dei più importanti di Kantor, considerato anche una delle idee che portarono alla creazione della “Classe morta” , fu partorito all’interno di un incontro tra artisti. L’happening fotografa il pittore Edward Krasiński in piedi su un palchetto parzialmente immerso nell’acqua a pochi metri di distanza dalla spiaggia, intento a condurre con una bacchetta le onde del mare. Durante l’esecuzione dava le spalle al pubblico seduto su delle sedie a sdraio (vedi la famosa fotografia di Eustachy Kossakowski).
Bhagavadgita.
Il canto si apre con una crisi di coscienza. Mentre gli eserciti si fronteggiano pronti a darsi battaglia, il guerriero Arjuna sente di non avere la forza per entrare in campo. Nel campo opposto ha visto suoi parenti e amici. L’eroe è confuso e cerca lumi dal suo maestro Krishna il quale spiega ad Arjuna la distinzione tra corpo materiale e anima spirituale. Il primo è temporaneo, la seconda è eterna. Krishna continuerà spiegando come una persona debba realizzarsi spiritualmente.
Dice Arjuna: “Come potrei o distruttore di Madhu, volger nel combattimento le mie frecce contro Bhisma e Drona cui debbo onore e rispetto… se uccidiamo questi figli diDhrtarastra, qui levati contro di noi non avremo più voglia di vivere!”.E Krishnarisponde: “Questi corpi hanno una fine, lo spirito che vi si incarna è eterno, indistruttibile, incommensurabile… perciò combatti, discendente di Bharata”.
“La vita è illusione, il mondo è illusione”.Prepotente entra l’insegnamento di Krishna: “L’anima è indistruttibile, eterna e senza dimensioni; soltanto i corpi materiali che assume sono soggetti alla distruzione. Perciò- o discendente di Bharata, combatti”. Questo l’insegnamento.
I soldati si dispongono in semicerchio, tuta mimetica e t shirt bianche con la scritta “Free Palestine” . (ma non c’è relazione con gli eventi di Gaza se non come atto di solidarietà degli attori e il rigetto a qualsiasi guerra). Sono pronti per la battaglia. Da questo momento in poi è una continua teoria di azioni di massa, di piccoli monologhi e canzoni. Un lungo e serpentino fluire di movimenti coreografati teatralmente. Le mani che compongono figure nell’aria, i corpi che si muovono all’unisono, gli sguardi verso il proprio compagno per non perdere il tempo e seguire il ritmo di un canto che, scandito dalle parole d’ordine, dai dialoghi brevi e gli interrogativi, mantiene tutta la sacralità dell’epica. Rispettoso nelle parole, rispettoso delle lezioni di vita profonde che vengono scandite dall’attore e regista Luigi Dadina che pesca a intervalli perle preziose dal poema indiano.
Una donna piange mentre con le mani sembra voler allontanare il conflitto “Dobbiamo fare la guerra… ma contro chi?”
“Niente, niente niente”. Così scandiscono gli uomini e le donne. Una parola che si ripete ossessivamente quasi fosse un esorcismo. “Il tempo? È un’onda che si ritira…” Niente, niente, niente…: “Noi affondiamo… e i nostri sogni svaniscono”.
“Kiev, Mariupol, Bucha. Nomi di città che prima non si conoscevano neppure, dal 12 marzo del 2022 sono diventati familiari” cosi ricorda, con pathos, voce staccata ma sofferente una giovinetta ucraina che torna ai giorni di dolore dell’aggressione e invasione russa. Quando “nessuno poteva pensare che sarebbero giunti i giorni della distruzione, dei missili e delle bombe a sconquassare le case, uccidere persone inermi”. A sperimentare sulla propria pelle cosa significa “avere paura quando sei sola, avere paura quando si sta a casa, tutti insieme”.
Arjuna si prepara alla battaglia. Si odono marce militari, melodie e canti. “Allora le conchiglie, i flicorni, i corni, le trombe e i tamburi si mettono a risuonare e l’insieme delle loro vibrazioni provoca un suono tumultuoso…”
La vista degli amici e dei parenti sconvolge Arjuna. Ma Krishna lo avverte: “… non cedere a una debolezza così umiliante. Non ti si addice. Lascia questa meschina debolezza di cuore e alzati, o vincitore dei nemici”. E infine : “L’anima è indistruttibile, eterna e senza dimensioni; soltanto i corpi materiali che assume sono soggetti alla distruzione. Perciò, – ancora una volta, questa è l’esortazione – o discendente di Bharata, combatti”.
Sul campo irrompe un rumoroso gruppo di bambini con stole rosa e oro. E’ un solido impatto di energia. “La morte non è che un respiro” dinnanzi all’immensità dell’universo. E la “guerra nasce dal Dharma del mondo. Quando questi non ha più il suo naturale equilibrio…” Eppure non esiste la morte dell’ anima. Il “Bhagavadgita” del Grande Teatro del Lido Adriano prosegue così per onde successive, accostando massime e riflessioni a movimenti di uomini, donne e bambini che compiono atti rituali (alcuni vengono “battezzati” con delle brocche colme d’acque ) accompagnando la musica dell’ottimo ensemble (Emmanuele Ferraraccio, Enrico Bocchini, Francesco Giampaoli Thomas Cangini Bertoli, Walter Tocco) guidato dalle voci di Lanfranco Vicari e della bravissima cantante Jessica Doccioli con Margherita Magnani, Josephine Cervasio, Thierry La Piana, Katayna De Zordo, Silvana Cantoni, Silvia Bertoli. Prendono corpo arie melodiche che sono un misto di nostalgia e orecchiabilità. Una cornice perfetta per vivere questo spettacolo come un unico canto iterativo, dolce e suadente, che incatena attori e pubblico. Spettacolo che ha un inizio ma non una fine. E’ il fluire di una visione che viene rimandata alla coscienza e alla storia di ciascuno. Ed è questa in fondo, la missione di questo teatro popolare capace di andare in fondo nella saggezza degli uomini e sfiorare il cielo con un dito, rimanendo con i piedi ben piantati in terra.
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