Filosofia
Sul materialismo di Feuerbach
Per Feuerbach non è Dio ad aver creato a immagine e somiglianza l’uomo, ma è l’uomo ad aver creato a immagine e somiglianza Dio. Se per Durkheim Dio è un bisogno socialmente indotto, per Feuerbach invece Dio è una proiezione antropologica. Per il filosofo quindi Dio scaturisce dal desiderio biogrammatico di immortalità dell’uomo, dal desiderio umano incessante di superare i propri limiti cognitivi ed empirici, dalla voglia di superare la propria finitezza. Non sappiamo per quale motivo ma l’uomo è un essere finito, che anela sempre l’infinito e si pensa infinito. Se Marx riprenderà il materialismo di Feuerbach, va però precisato che quest’ultimo contrappone in modo onnipervasivo il materialismo allo spiritualismo (come il titolo della sua ultima opera del 1866), mentre Marx intenderà il materialismo come determinismo economico e rovescerà l’hegelismo, che vedeva nella realtà l’inveramento dello Spirito, concependo le sovrastrutture culturali, religiose, legali come legittimazione e giustificazione della borghesia, del capitalismo, del plusvalore e delle ingiustizie socioeconomiche che ne derivavano; in Marx quindi la struttura economica determina la sovrastruttura ideologica e valoriale. Feuerbach analizza il credere, anteponendo il pensare e il volere. Per lui il volere non è una forza cieca e irrazionale come per Schopenhauer, in cui l’uomo “può fare ciò che vuole, ma non sa volere ciò che vuole”. Per Feuerbach il pensare e il volere sottostanno al principio dell’eudemonia, a quello che lui riteneva l’istinto della felicità, strettamente connesso all’istinto di autoconservazione. Certamente nel suo pensiero resta il nodo irrisolto del suicidio, che all’epoca consideravano soprattutto esistenziale e metafisico, mentre oggi sappiamo che molti suicidi hanno un deficit di serotonina e sono perciò depressi. Resta comunque nella sua filosofia il problema di chi ha dato all’essere umano il pensiero e la volontà. Resta il problema di cosa possa pensare e volere un uomo, che è senzadio in una società di atei, perché questo sarebbe il triste epilogo dell’applicazione pratica del pensiero di Feuerbach. Resta il problema che quando l’uomo fa del bene non lo fa solo per senso del dovere (l’imperativo categorico e la morale kantiana postulano l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima), ma lo fa principalmente per essere premiato nell’aldilà e perché è timoroso di Dio. Eppure Feuerbach è fondamentale per gli sviluppi della filosofia occidentale contemporanea: si pensi alla sua critica a una religione che allora era anche indottrinamento e falsa coscienza oppure alla sua presa di posizione antidealistica, che aprirà le porte al realismo e prenderà le distanze dalla giustificazione dell’esistente, delle sue ingiustizie e dei suoi errori, sia ontologica che razionalista, sintetizzabile con il concetto hegeliano che tutto ciò che è reale, è razionale. Senza Feuerbach non ci sarebbe forse stato Marx che avrebbe scandagliato non la fenomenologia del mondo come realizzazione dello Spirito Assoluto, ma che avrebbe visto la contraddittorietà del reale e l’avrebbe spiegata tramite il materialismo storico. Il filosofo tiene presente la fisiologia, ma non è positivista: non crede nel fatto in sé né nelle magnifiche sorti e progressive. Nel pensiero di Feuerbach il materialismo è comunque dovuto sia alla ragione filosofica che alla fisiologia, alla scienza, alla medicina, come scrive nelle lettere a Bolin. Per il filosofo l’uomo è soggetto alla Natura, è Natura ed è determinato dalle sue leggi. Se per gli idealisti l’io, l’anima, lo spirito, l’essere erano al centro di tutto, per Feuerbach l’anima non è immortale ed è prigioniera del corpo. Ogni volta comunque che si pensa al rapporto dialettico e ontologico tra anima e corpo, tra spirito e materia, la questione si sposta a ogni modo sulla relazione tra essere, divenire, Nulla. Feuerbach ai suoi tempi sapeva già che la mente era prodotto del cervello, ma non aveva gli spiragli, né le possibilità, che abbiamo noi oggi, come i fenomeni ancora inspiegabili delle esperienze pre-mortem e dell’ipnosi regressiva, come la scoperta della materia oscura e dell’antimateria, come l’ipotesi attendibile del multiverso, che farebbe presupporre universi paralleli e quindi la morte come un passaggio verso dimensioni immateriali e verso il cosiddetto regno dell’invisibile. Leggere Feuerbach significa in definitiva approdare alla conclusione che ogni forma di materialismo trae origine dal nichilismo, più o meno esplicitato. Dio – e Feuerbach non lo sottolinea mai – è anche un postulato (come per Kant), un’ipotesi, una speranza. Dio è l’unica via d’uscita. Con il solo materialismo con la fine della vita terrena c’è la fine di tutto, c’è il Nulla oppure il ritorno a essere polvere. L’uomo contemporaneo, come hanno studiato sociologi come Sabino Acquaviva, rimuove il pensiero della morte, ci pensa molto raramente, perso nel suo divertissement, come aveva già intuito felicemente Pascal. Però la questione resta. Oggi si pensa a tutto, tranne che alla morte, a meno che non si sia molto anziani o malati. Ma la questione irrisolta resta e leggere Feuerbach significa pensare a tutto ciò.
Devi fare login per commentare
Accedi