Italia
Lettera a un Paese che oggi sciopera
Oggi l’Italia si ferma e rinuncia a una giornata di salario. Non per comodo, ma per dignità. Non è un fine settimana anticipato: è un taglio che brucia. Chi sciopera perde denaro, chi governa perde la misura del Paese. E nessuno restituisce il resto.
Italia, oggi ti guardo mentre ti fermi. Capisco che non sei più il Paese che ingoia tutto. Sei il Paese che finalmente dice basta. Non con la voce. Con il portafoglio. Chi sciopera perde soldi. Quindi evitatevi il sogghigno, perché siamo nel fine settimana. Queste persone non vanno a sciare in anticipo di un giorno. Non fanno il week end lungo per lo shopping compulsivo. Si tolgono denaro. Si privano di una giornata di lavoro. E non è festa. E non è pagata. E nessuno restituisce. “Scusi, manca il resto signore”. Lo sciopero non è un privilegio. È un taglio. Un colpo. Una rinuncia. È un modo per dire che così non si può andare avanti. Non è romanticismo. È resistenza quotidiana. E la quotidianità fa più male delle ideologie. Chi governa parla di ordine. Come se l’ordine bastasse a riempire il frigorifero. Chi sta all’opposizione parla di partecipazione. Come se bastasse una parola per proteggere chi oggi si ferma. Nessuno dice la verità. Nessuno dice che nelle scuole, negli autobus, negli ospedali, nelle cooperative sociali, nelle pulizie, nei servizi educativi, ci sono persone che tengono in piedi il Paese per stipendi che sembrano mance. Nessuno dice che chi assiste un anziano, chi cambia un pannolone, chi guida un mezzo pubblico, chi insegna in classi impossibili, oggi rinuncia a una giornata di paga pur di dire basta. Nessuno dice che il problema non è ideologico. È materiale. Tangibile. È il conto corrente che non regge. È il carrello che cambia prezzo ogni settimana. È la benzina che sembra una tassa emotiva. E allora la domanda non è perché scioperi. È perché non ti ribelli. È perché continui a stare in piedi in un Paese che ti vuole sempre disponibile, sempre muto, sempre riconoscente. Tu oggi ti fermi. E fai paura. Non perché sei violento. Perché sei vero. E la verità fa saltare le narrative. La politica ama le slide. Ama le conferenze. Ama il futuro raccontato come se fosse un film. Non ama chi glielo rompe. Tu oggi lo rompi. Ti rifiuti di essere ingoiato. Ti rifiuti di essere il numero duecentoventisette dopo la virgola. Ti rifiuti di essere l’ingranaggio muto di una macchina che non vede la tua faccia. Oggi non lavori. Non per comodità. Per dignità. E la dignità costa. Brucia. Toglie. Ma salva. Oggi tu scioperi. E non chiedi scusa a nessuno. — 𝐅.𝐂.
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