Milano

Ma un sogno per Milano ce l’avete?

Milano funziona, ma non sogna più. Dopo Expo ha perso visione e slancio: città in movimento che ora gira a vuoto, costosa, diseguale, senza un progetto condiviso. Servono idee nuove su accessibilità, università e area metropolitana. Ai milanesi manca un futuro da immaginare.

5 Novembre 2025

Quando sono a Milano, ho preso da qualche tempo a frequentare gli incontri del circolo Caldara, a cui mi sono iscritto (cosa che invito a fare tutti quelli che sono interessati alla politica, non solo milanese, come luogo di confronto civile delle idee). È un’istituzione benemerita, che coltiva l’arte ormai desueta del dibattito politico, lontano dai toni pazzotici dei social network, e soprattutto che riconosce la ricchezza del confronto tra diversi punti di vista. Per me è importante, perché mi aiuta a farmi un’idea delle sfumature diverse, evidenti, tra le diverse anime del centrosinistra milanese, per capire cosa si muove fuori del mio orizzonte.

Ci pensavo in questi giorni, anche alla luce della vittoria di un sindaco giovane e radicale a New York, agli incontri del Caldara, e forse ho capito cosa – grazie a quella vista pantoscopica che consentono – mi pare manchi nel ragionamento sul futuro della nostra citta: un sogno. Chiamatela visione, chiamatela grande progetto, chiamatela come volete, ma Milano oggi non ha una prospettiva reale, concreta, possibilmente intrigante di futuro attorno a cui lavorare.

Milano funziona, cerca con alterne fortune di risolvere problemi da grande città occidentale – in primis la sostenibilità economica e l’inquinamento – ma oggi non ha un progetto, un orizzonte simbolico (e reale) attorno al quale mobilitarsi. Lo è stato Expo e lo slancio del dopo, non sembrano esserlo le prossime Olimpiadi, che con ogni evidenza non cambieranno la città, né architettonicamente, né soprattutto nella percezione dei milanesi.

Oltre questo appuntamento, comunque vada, non c’è nulla: è ovviamente una cosa normale per città “normali”, ossia non in competizione globale per risorse, capitale umano, immaginario, le quali esistono, si manutengono, conoscono alti e bassi, ma fondamentalmente sono ancorate a un dignitoso centro classifica. Milano no, non lo dico per suprematismo allo zafferano: è una città che per molti versi si pone già al di fuori delle logiche italiane, ma come tutte le metropoli dialoga meglio con i propri pari al di là delle alpi che con Cremona o Macerata, è una città di flussi, che attrae più di quanto trattiene, e che si deve muovere, sennò come gli squali comincia ad affondare.

Muovere non vuol dire andare per forza nella direzione dello sviluppismo turbocapitalista, così caro a molti in città, così come è altrettanto chiaro che non si possa ritirare, diventando Modena, o Spoleto: la soluzione è solo in avanti, dandosi traguardi, rivendicando ruoli, distribuendo opportunità.

Expo è stato, non senza contraddizioni, ma quelle sono il sale di una comunità complessa come una metropoli, un grande balzo in avanti, lungo quasi dieci anni, nei quali la città è cambiata, urbanisticamente e nella percezione delle persone. Questo lungo abbrivio, corrispondente alla seconda metà della sindacatura Pisapia, al primo mandato di Sala e al primo anno dell’attuale secondo mandato, ha fatto di Milano “the place to be”, il luogo in cui succedevano le cose in Italia.

Poi l’inerzia è finita e la ruota ha smesso di correre, anche perché nessuno ha dato più una spinta. Ora gira, un po’ storta e ammaccata, perché appena la città perde dinamismo, che significa opportunità, se ne disvelano le rughe e tutti i difetti di progettazione. Il più macroscopico dei quali è stata l’alterazione dell’ecosistema in cui potevano convivere ricchi, meno ricchi e poveri, tutti condividendo le dinamiche della città in un ascensore che comunque, a velocità differenti, si sapeva andare in alto. Ora Milano è una Mecca per i multimilionari con la flat tax e fatica per i loro dipendenti, non quello che ci hanno insegnato funzionare per una città. Anche la grande scommessa della mobilità oggi è ferma in mezzo alla carreggiata: Milano non è (ancora) una città ciclabile “nordica” e non è più una città auto-centrica del sud, il trasporto pubblico è in crisi, i ciclisti sono arrabbiati e gli automobilisti pure.

Sono, anche, problemi di crescita, e speriamo che una prossima sindacatura, magari meno imbolsita dell’attuale, vi porrà almeno in parte rimedio, anche se sinceramente ci aspettiamo di più. Vogliamo anche un po’ tornare a sognare, progettare, aspettarci cose; non vogliamo andare avanti a sempre più stanchi “siamo”, ci piacerebbe un “saremo”. Chiediamo troppo? Può essere, ma la politica si nutre di utopia, altrimenti anche un manager potrebbe essere un bravo sindaco.

Cosa sognare tocca proprio alla politica prospettarlo, disegnarlo, renderlo attraente, ragione per muoversi.

Visto che la fantasia non abbonda, provo a dire tre cose che sarebbe bello diventassero una visione e un progetto politico per la Milano dei prossimi anni. La prima è la famosa affordability, pilastro dell’elezione di Mamdani in una città inavvicinabile per costo della vita: non dovrebbe essere generica attenzione verso chi non può, ma anche un progetto di attrazione per giovani, creativi e “affamati” che garantiscono che in città succedano cose. La seconda, collegata, è fare delle 8 università milanesi non solo una stazione di transito per i ragazzi, ma un sistema al servizio dello sviluppo di tutto il Paese: Milano dovrebbe essere l’acceleratore d’Italia, l’arma segreta per contrastare la desertificazione produttiva. La terza, la mia preferita è la più ambiziosa, riguarda le dimensioni della città, che deve andare da Verona a Torino a Genova. Quando, nel 2030 (che è lontano, ma anche vicino) si andrà da Genova a Milano in meno di un’ora, si potrà aprire uno scenario tutto nuovo e di grande interesse, che starà alla politica preparare, gestire, o ignorare come è stato fatto per gli altri territori uniti dal Frecciarossa.

Queste sono tre, magari piccole, magari settoriali, visioni del tipo che sarebbe bello emergessero nella discussione sulla Milano del futuro, oggi francamente troppo incarognita, faziosa e spenta.

Vale anche per il centrodestra, il cui disimpegno dalla politica cittadina seria ha fatto male al centrosinistra, e anche a Milano: l’idea della città dell’opposizione, che governa la regione e il Paese, non può essere quella di Sala più il Range Rover di Roberto Parodi in Piazza Duomo al posto delle odiate biciclette. Anche loro possono fare di più.

Il messaggio per tutti è che Milano merita più impegno, e soprattutto che i milanesi meritino anche un sogno collettivo, a parte quello individuale dei danée, e che sarebbero contenti di votare chi glielo racconta bene e credibilmente, anche al di là delle linee di appartenenza, che ormai valgono quel che valgono. Io certamente farò così, e se tutti continueranno con questa mosceria il giorno delle elezioni me ne andrò in bicicletta, magari sull’AbbracciaMI.

 

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