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Geopolitica

Perché il piano sull’Ucraina conferma una realtà storica: la sicurezza europea dipende dagli Stati Uniti

21 Novembre 2025

La discussione su un possibile piano per chiudere la guerra tra Russia e Ucraina ha riportato alla luce un punto centrale della geopolitica europea: quando il continente entra in crisi, è sempre Washington a dover intervenire.
Per questo, la proposta può essere  descritta come un successo americano non tanto personale, quanto storico. È  l’ennesima conferma del ruolo degli Stati Uniti come arbitri dell’ordine europeo.

Dalla Prima guerra mondiale alla Seconda, fino alla Guerra Fredda, gli USA sono intervenuti ogni volta che le potenze europee non riuscivano a contenere un conflitto interno. Il dibattito sul piano per l’Ucraina si colloca in questa continuità: l’Europa beneficia della stabilità americana, ma non è ancora in grado di produrla autonomamente.

Secondo questa lettura, il piano riflette la tradizione diplomatica statunitense: riafferma la sovranità ucraina, introduce un patto di non aggressione (anche a favore degli Europei), chiarisce lo status dei territori contesi,affida agli USA la supervisione delle garanzie economiche e di sicurezza.

È un’impostazione che ricalca il modello americano del Novecento: ordine internazionale, deterrenza e capacità di sanzionare e applicare le sanzioni

L’UE appare ancora una volta come un attore economico forte ma geopoliticamente incompleto. La guerra ai confini dell’Unione ha mostrato limiti già noti: mancanza di una guida militare unificata, strumenti diplomatici insufficienti e incapacità di negoziare da sola con potenze come la Russia.
In questo vuoto, gli Stati Uniti tornano automaticamente al centro del processo.

La parte più delicata del piano — lo status di Crimea, Donetsk e Luhansk — può essere  interpretata come realismo strategico. Si parte dalla situazione di fatto, ma la si incapsula in un sistema di deterrenza molto rigido: sanzioni automatiche, pressione economica, controlli continui.
È un approccio che gli USA hanno applicato in vari contesti, dall’Europa del dopoguerra alla gestione dei rapporti con Cina e URSS.

La neutralità ucraina prevista dal piano non significherebbe isolamento, ma ingresso in un sistema di protezione statunitense parallelo alla NATO.
La ricostruzione finanziata con beni russi congelati e contributi europei diventerebbe un modo per ancorare Kiev in modo stabile all’Occidente, con Washington come garante principale.

L’idea di reintegrare gradualmente la Russia nell’economia globale — in cambio del rispetto di regole ferree — è coerente con la logica americana della “stabilità condizionata”: incentivi economici legati alla cessazione delle ostilità.

L’istituzione di un Consiglio della Pace guidato dagli Stati Uniti rappresenta la parte più significativa del piano. Formalizza ciò che la storia dimostra da oltre un secolo: senza Washington, l’Europa non riesce a costruire un sistema di sicurezza credibile. Nonchè la fine del sistema basato sulle Nazioni Unite, queste ultime di fatto non più rappresentative della realtà.

Per questo, più che un trionfo personale di Trump, il piano viene interpretato come l’ennesimo capitolo della stessa storia:

gli Stati Uniti restano l’unica potenza capace di comporre i conflitti europei, come avvenuto nel 1917, nel 1945 e durante tutta la Guerra Fredda.

La sua importanza, al di là della realizzabilità, sta proprio qui: conferma che l’ordine europeo continua a dipendere dalla capacità americana di negoziare, garantire e — se necessario — intervenire. Gli europei non si sono ancora accordi che 250 anni fa nacque non una Nazione ma una idea , ovvero gli Stati Uniti d’America. Non una nuova Nazione ma una nuova idea di portata globale.

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