Campamenti a Tinduf. Algeria. Elena Rusca

Geopolitica

Sahara Occidentale: i campi saharawi di fronte all’erosione degli aiuti internazionali

I campi saharawi di Tindouf vivono da 50 anni in esilio, dipendenti da aiuti sempre più ridotti. Malnutrizione e servizi fragili si aggravano, mentre l’UE aumenta i bilanci militari. La vera soluzione resta l’autodeterminazione.

4 Dicembre 2025

Cinquant’anni di esilio nel deserto

Dal 1975, circa 173.600 rifugiati saharawi vivono nei cinque campi di Tindouf, nel sud‑ovest dell’Algeria. Sono comunità nate dalla fuga di civili durante la decolonizzazione e l’occupazione militare marocchina del Sahara Occidentale. Cinquant’anni dopo, la loro condizione è definita dalle Nazioni Unite come una “crisi prolungata di rifugiati”, senza prospettive di soluzione politica.

L’ambiente circostante è ostile: deserto roccioso e arido, scarsissime risorse naturali, opportunità economiche quasi nulle. L’agricoltura è limitata da condizioni climatiche e del suolo proibitive. I rifugiati dipendono in modo strutturale dagli aiuti internazionali per cibo, acqua, servizi di base e infrastrutture.

Una dipendenza totale dagli aiuti

Le valutazioni congiunte di UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees – Alto Commissariato ONU per i Rifugiati) e WFP (World Food Programme – Programma Alimentare Mondiale) negli ultimi dieci anni hanno confermato lo stesso dato: la stragrande maggioranza dei rifugiati saharawi dipende dall’assistenza esterna come principale fonte di reddito e alimentazione. Già nel 2018, il WFP stimava che il 90% della popolazione fosse insicura o vulnerabile dal punto di vista alimentare.

Nel 2022, UNICEF (United Nations Children’s Fund – Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia) come altre agenzie ONU (UNHCR, WFP) e ONG internazionali (Oxfam, Croce Rossa Saharawi, Medici del Mondo, ecc.) hanno registrato un peggioramento: il 10,7% dei bambini soffriva di malnutrizione acuta, il 28,8% era affetto da ritardo della crescita e oltre la metà dei bambini era anemica. Nel 2025, un nuovo studio ha parlato apertamente di “grave crisi nutrizionale”: un bambino su tre è oggi stentato, il 65% dei bambini e il 69% delle donne in età fertile sono anemici, e solo un quarto delle famiglie ha una dieta minimamente diversificata.

Tagli agli aiuti: dal 2023 una spirale pericolosa

La crisi è aggravata dai tagli ai programmi alimentari. Nel novembre 2023, il WFP ha ridotto le razioni del 30% per mancanza di fondi. Nel 2026, la Direzione Generale ECHO (European Civil Protection and Humanitarian Aid Operations – Dipartimento della Commissione Europea per gli Aiuti Umanitari) della Commissione Europea ha annunciato l’intenzione di ridurre il proprio contributo da circa 9 milioni di euro a 6 milioni: un taglio del 30% su una delle poche linee di finanziamento stabili dedicate ai campi.

Questi tagli non sono “misure di efficienza”: in un contesto di totale dipendenza, significano meno calorie, diete più povere, aumento della malnutrizione e dell’anemia, maggiore mortalità infantile.

Problemi strutturali dei campi

  • Nutrizione: cronica fragilità trasformata in emergenza acuta.
  • Acqua e igiene (WASH): infrastrutture costruite con fondi UE (Unione Europea), ma mai conformi agli standard internazionali. La fornitura spesso scende sotto i 20 litri al giorno per persona. Tagli ai fondi significano guasti non riparati, ricorso a camion cisterna costosi e insicuri.
  • Sanità: servizi primari fragili, vaccinazioni e cure materno‑infantili a rischio.
  • Educazione: circa 36.000 bambini frequentano scuole sostenute da UNICEF ed ECHO, ma la fame e l’anemia riducono la capacità di apprendimento e aumentano l’abbandono.
  • Protezione e salute mentale: giovani disoccupati, mobilità limitata, senso di abbandono. Le donne affrontano rischi specifici di violenza di genere e matrimoni precoci.

In questo contesto, Oxfam Algeria, assieme ad altre ONG internazionali, svolge un ruolo cruciale: riabilita infrastrutture idriche, promuove orti comunitari e progetti agroecologici, sostiene cooperative giovanili e femminili, e porta la voce dei rifugiati nei forum internazionali per rompere l’etichetta di “crisi dimenticata”.

Il paradosso dei bilanci militari

Mentre nei campi saharawi si riducono le razioni alimentari e i fondi per l’acqua potabile, l’Unione Europea ha approvato un bilancio per la difesa che supera gli 800 miliardi di euro. Una cifra enorme, giustificata dalla guerra in Ucraina e dalle tensioni globali. Ma questo dato invita a riflettere: le risorse ci sono, e sono consistenti. La domanda è se vengano utilizzate nel modo più adeguato rispetto alle sfide umanitarie e sociali che il mondo affronta.

Il confronto con altre crisi – dallo Yemen al Sudan – mette in evidenza una sproporzione: mentre i conflitti armati assorbono sempre più fondi, le emergenze umanitarie restano sottofinanziate. Non si tratta solo di un fallimento morale, ma di una questione di scelte politiche e di priorità. È legittimo chiedersi se la sicurezza debba essere intesa esclusivamente come deterrenza militare o se non debba includere anche la sicurezza alimentare, sanitaria e sociale di milioni di persone.

In questo senso, il caso saharawi diventa emblematico: dimostra che i soldi esistono, ma che la loro allocazione riflette interessi e strategie geopolitiche più che bisogni vitali. La domanda rimane aperta: come riorientare le risorse globali per garantire non solo la difesa degli Stati, ma anche la sopravvivenza e la dignità delle popolazioni?

Gli aiuti non sono la soluzione

Gli aiuti umanitari sono indispensabili per la sopravvivenza quotidiana, ma non risolvono la radice del problema. La crisi dei campi saharawi non è solo umanitaria: è politica. Finché il conflitto del Sahara Occidentale rimane irrisolto, i rifugiati continueranno a dipendere da razioni e camion cisterna.

La soluzione non è aumentare gli aiuti, ma applicare il diritto internazionale: organizzare il referendum di autodeterminazione previsto dal mandato della MINURSO (Missione delle Nazioni Unite per l’Organizzazione di un Referendum nel Sahara Occidentale) e riconosciuto dalla Corte Internazionale di Giustizia.

Interessi politici ed economici che bloccano la soluzione

Il conflitto non si risolve perché potenti interessi politici ed economici lo mantengono congelato:

  • Francia e Spagna hanno storicamente protetto il Marocco, temendo instabilità regionale e privilegiando relazioni economiche e migratorie.
  • Imprese multinazionali operano nei territori occupati, sfruttando risorse naturali in violazione del diritto internazionale. Siemens Gamesa, TotalEnergies, e altre compagnie europee hanno investito in progetti energetici e infrastrutturali nel Sahara Occidentale, legittimando di fatto l’occupazione.
  • Accordi commerciali UE‑Marocco includono prodotti provenienti dal Sahara Occidentale, nonostante le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE abbiano stabilito l’illegalità di tali pratiche senza il consenso del popolo saharawi.

Questi interessi economici e geopolitici spiegano perché il conflitto rimane irrisolto: la legalità internazionale è sacrificata sull’altare del profitto e della stabilità apparente.

Una crisi dimenticata tra speranza e autodeterminazione

ECHO stessa ha definito la situazione saharawi una “crisi dimenticata”. Ma dimenticare non significa che la crisi non esista. Significa che non è considerata prioritaria. I rifugiati saharawi sono intrappolati in un limbo: troppo visibili per essere ignorati del tutto, troppo marginali per mobilitare risorse adeguate.

La riduzione degli aiuti umanitari dal 2023 ha trasformato una fragilità cronica in emergenza acuta. La comunità internazionale non può continuare a finanziare armi e guerre mentre lascia morire di fame popolazioni in esilio.

Gli aiuti sono necessari, ma non bastano. La vera soluzione è politica: applicare il diritto all’autodeterminazione, porre fine all’occupazione e permettere al popolo saharawi di decidere liberamente il proprio futuro.

Finché Siemens, TotalEnergies e altre imprese continueranno a trarre profitto dai territori occupati, e finché l’UE e gli Stati membri privilegeranno accordi economici e militari rispetto al diritto internazionale, il conflitto rimarrà irrisolto.

Il Sahara Occidentale è il simbolo di un mondo che investe miliardi in armi e taglia milioni in aiuti. È il simbolo di una comunità internazionale che dimentica i rifugiati, ma non dimentica i profitti.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è anche piattaforma di giornalismo partecipativo

Vuoi collaborare ?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.