Primo sciopero per Amazon UK. S. Richards (GMB): “Pronti ad andare avanti”

1 Febbraio 2023

Per Stuart Richards (GMB) col primo sciopero nel Regno Unito i dipendenti del magazzino Amazon di Coventry mercoledì scorso hanno fatto la storia. Ma non nel senso che piace a Bezos…

Agli scioperi che da tempo ormai attraversano la Gran Bretagna la settimana scorsa si sono aggiunti anche i dipendenti di uno dei principali magazzini Amazon del Regno Unito, quello di Coventry, 1.400 dipendenti, di cui 300 sindacalizzati. E non è uno sciopero qualunque. Dal 1998, quando il colosso di Seattle ha messo piede sul suolo britannico, è la prima volta che succede, tanto che Stuart Richards, senior organizer di GMB, oltre 600.000 iscritti distribuiti nel settore pubblico e privato, mercoledì, il giorno dello sciopero, parafrasando un noto slogan aziendale, ha dichiarato in un comunicato sindacale: “Oggi i lavoratori Amazon di Coventry hanno fatto la storia”. L’azienda ufficialmente non ha reagito all’iniziativa, ma venerdì GMB ha annunciato che i dipendenti in sciopero sono stati segnati come assenti dal lavoro, una vera e propria intimidazione, perché evoca potenziali provvedimenti disciplinari ai danni di chi ha semplicemente esercitato un diritto. Una mossa a cui il sindacato ha risposto invitando Amazon a fare un passo indietro, perché quello di mercoledì è stato uno sciopero a tutti gli effetti legale. Abbiamo raggiunto telefonicamente Richards per chiedergli un bilancio dell’iniziativa e quali saranno i prossimi passi della sua organizzazione.

Per cominciare puoi farmi una panoramica generale della presenza di Amazon nel Regno Unito?

Certo, in tutto il Regno Unito stimiamo che i dipendenti siano circa 75.000, distribuiti in oltre 30 magazzini. Per quanto riguarda il nostro territorio, le Midlands occidentali, come sindacato siamo presenti da una decina di anni a questa parte, abbiamo iscritti in 6 magazzini e cerchiamo di organizzare l’intera filiera aziendale, sia magazzinieri che driver, questi ultimi in gran parte inquadrati come lavoratori autonomi.

Quali erano le vostre richieste e come giudichi lo sciopero?

La motivazione principale dello sciopero sono i salari. La scorsa estate Amazon ha concesso unilateralmente un aumento di 50 pence, in un’azienda in cui la retribuzione oraria parte da 10 sterline e 50. Ma è un aumento del tutto insufficiente, vista la crescita dell’inflazione. Come sindacato chiediamo un aumento a 15 sterline l’ora, una rivendicazione analoga a quella dei sindacati americani, che chiedono 15 dollari. Per quanto riguarda lo sciopero ha avuto esito positivo. GMB a Coventry ha circa 300 iscritti su 1.400 dipendenti. Ma allo sciopero hanno partecipato anche una cinquantina di lavoratori non iscritti, per cui l’adesione complessiva è stata di 350 persone. I camion non hanno superato i cancelli, per cui l’azione ha avuto un impatto sulle operazioni del magazzino. Amazon da mesi rifiuta di aprire una trattativa e per ora non ha reagito alla nostra iniziativa. Noi siamo coscienti di avere una forza nel posto di lavoro, ma dobbiamo intensificare ed espandere la nostra azione.

In che modo? Avete programmato nuovi scioperi, magari anche in altri magazzini?

Diciamo che stiamo lavorando coi dipendenti degli altri sei magazzini della regione in cui  siamo presenti per allargare la lotta, ma naturalmente dobbiamo misurarci con un sistema di regolamentazione degli scioperi che in Gran Bretagna è tra i più restrittivi.

Amazon ha un atteggiamento molto flessibile verso i sindacati a seconda del paese in cui opera. Negli USA sappiamo che pratica apertamente lo union busting; in paesi come l’Italia e la Francia, dove c’è una tradizione sindacale più consolidata, è più aperta al dialogo. In Gran Bretagna come si comporta?

Si limita ad applicare la legge. Sa che qui i lavoratori godono di alcune tutele, le rispetta, ma nei propri stabilimenti rifiuta di riconoscere ufficialmente le organizzazioni sindacali.

Significa che non avete dei delegati e delle rappresentanze aziendali e che non ci sono tavoli di trattativa?

Esattamente. Abbiamo semplicemente degli attivisti che rappresentano il sindacato nei magazzini, ma non hanno un riconoscimento formale da parte di Amazon.

Tu prima hai detto che al centro dello sciopero di mercoledì c’erano i salari. E per quanto riguarda le condizioni di lavoro?

Il salario naturalmente è solo uno dei tanti problemi che si manifestano nei magazzini. Potrei fare molti esempi: dai lavoratori che hanno difficoltà ad avere delle pause durante i turni a quelli che devono fare la pipì in una bottiglia perché non possono andare in bagno. E poi c’è l’utilizzo degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale per controllare i dipendenti. Nel caso dei driver, poiché, come ti dicevo prima, molti sono inquadrati come lavoratori autonomi, i problemi si moltiplicano.

Quanto ha pesato l’ondata di scioperi in atto da mesi sul primo sciopero in Amazon? Vi ha aiutato?

Ha pesato, innanzitutto, perché la ragione comune agli scioperi, che vale tanto per i dipendenti Amazon quanto per i lavoratori e gli iscritti che abbiamo in altri settori, come le poste o la sanità, è lo stesso. I salari non riescono a stare al passo con l’inflazione e di conseguenza i lavoratori non riescono a far fronte alle spese alimentari e per la casa. Per questo anche nei confronti di questi lavoratori nei giorni scorsi c’è stata una grande simpatia. Quando i dipendenti Amazon sono venuti ai comizi sindacali sono stati salutati da grandi manifestazioni di solidarietà da parte degli altri lavoratori e lo stesso vale più in generale per la popolazione. La settimana dello sciopero un sondaggio ha appurato che il 60% dei cittadini britannici è solidale con la loro lotta. E noi siamo pronti ad andare avanti e a espandere la nostra azione.

L’intervista è tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 31 gennaio

TAG: amazon, Coventry, GMB, Gran Bretagna, Stuart Richards
CAT: Sindacati

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