La disinformazione tronfia dei “fighetti”

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22 Giugno 2020

Abbiamo un problema di comunicazione, sia di forma che di contenuti. Ci troviamo di fronte a un dilemma di cui venire a capo se davvero, in veste di semplici cittadini, lettori e consumatori di notizie, ci interessa davvero partecipare al dibattito pubblico. Dobbiamo imparare a distinguere il parlar fatuo e la scrittura boriosa dei fighetti di ogni sorta della tv e di quei due o tre giornali ancora in piedi (mantenuti dallo stato, quindi dai contribuenti) da chi esercita un diritto di critica, seguendone i canoni e rispettandone l’etica. E, senza tanti fronzoli, ecco subito una domanda che di retorico ha ben poco, o niente: quale italiano, mediamente intelligente, durante il corso degli ultimi due decenni, non ha sperato almeno una volta che la strada per arrivare a ragionare risolutamente della sconcertante limitatezza della politica venisse, come per incanto, percorsa da una moltitudine di menti funzionanti e funzionali? Vana attesa.

L’argomento mi sta a cuore e decido di entrare direttamente nel nucleo del tema che mi danza in mente. Un giornalismo acritico e senza sangue ci disinforma da tempo sulla reale pochezza morale e culturale che interessa largamente gran parte della classe dirigente della nazione. Pur non essendo pochi i pensatori ufficiali che si spendono nel giudizio analitico dei fatti che si susseguono e dei personaggi intorno ai quali essi prendono origini, che si tratti di Renzi, o di Salvini, di Meloni, o di Di Maio, resta quanto mai ignorato lo stato d’animo che le dichiarazioni dei protagonisti di tale portata suscitano in una parte considerevole della popolazione. Non c’è editorialista, o fine osservatore, che si faccia sincero interprete di una percezione popolare di insofferenza, rivelatrice di una coscienza collettiva pesantemente irritata.

Tutti, o quasi, sono impegnati in un routinario esercizio strategico, che prevede di aprire un fuoco a salve, senza peraltro mirare, su un sistema grazie al quale loro stessi, “fucilieri scelti”, contano qualcosa. E giù minchiate d’autore, caratterizzate da puntuali e meccaniche invettive da cosiddetto “uomo di piazza”, infiocchettate pure da qualche nastrino frou-frou per far parata di gentilezza tra i tic e le manie di una narrazione stracolma di vezzi da prime donne. Il pensiero nevrastenico, dunque, prende il posto della lucida riflessione, la parolaccia sostituisce la locuzione appropriata, i modi di dire hanno la meglio sui modelli del racconto autentico. In tanti hanno in tasca una dritta da tirar fuori alla bisogna, da recitare rigorosamente in maniera accalorata e colorita, rispettando in buon ordine il proprio turno per accedere al proscenio. Di Paul Valery, qui, non si può far a meno: “La politica è l’arte di impedire alla gente di impicciarsi di ciò che la riguarda.” E dell’informazione quale aforisma ci dà un chiarimento? Non sarà mica l’arte del non dire per parare il “chiulo” alla politica? Nessuna scurrilità, per carità! Ho inserito, appunto, una “ì” per far assumere alla parola un fonetica da salottino trandy.

La deformazione critica, al pari di quella politica, costituisce l’aspetto peggiore che caratterizza il disastro sociale della nazione. L’incapacità di costruire e strutturare un modello di analisi, coerente e moralmente saldo, per poter dar conto agli italiani dell’operato e della personalità di chi è chiamato, nei diversi livelli di competenza territoriale, a governare il paese, non consente di disporre di uno strumento, puramente intellettuale, di controllo del potere. Tentare di costruire una morale comune, per cercare alternative a un perverso sistema d’informazione che perdura da anni, sembra l’imprescindibile condizione per iniziare il cammino verso la luce.

Diversamente, egregie nullità continueranno ad avere un ruolo determinante nelle istituzioni e nella sfera sociale, e, senza scrupoli e senza vergogna, continueranno a dare piena testimonianza del loro vuoto ideologico e della loro spregiudicata faccia di bronzo. Altro che un paese per vecchi! L’Italia rischia di consolidarsi come un paese per supponenti mediocrità. Quindi, sciocchini che non siamo altro, oltre a questi politici, ci meritiamo pure i Fazio, i Giletti e compagnia bella.

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TAG: critica, fabio fazio, giornali, massimo giletti, politica
CAT: società

Un commento

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  1. evoque 4 anni fa

    Non è bene informato sui contributi all’editoria. Dovrebbe informarsi meglio.

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