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Società

La violenza fluida che sfocia in un fascismo 2.0

di Titti Ferrante
16 Ottobre 2021

“Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
Godi quando gli anormali son trattati da criminali
E chiuderesti in un manicomio tutti gli zingari e gli intellettuali
Ami ordine e disciplina, adori la tua Polizia
Tranne quando deve indagare su un bilancio fallimentare”.

Nominare è un atto che definisce, identifica, la lingua è un atto fortemente identitario, in quanto ognuno di noi è le parole che usa, e dà forma al mondo.
La filosofa Claudia Bianchi in “Hate speech il lato oscuro del linguaggio”, afferma che il linguaggio è un potente strumento di creazione e cambiamento di oggetti sociali, di costruzione, rinforzo o revoca di classificazioni e distinzioni”. Le parole hanno dunque lo straordinario potere di dare vita e legittimità a gruppi e categorie sociali che reclamano di essere rappresentati nella loro diversità.
La leader di fratelli d’Italia non è riuscita a condannare i gruppi estremisti e violenti che hanno razziato e devastato Roma durante la manifestazione dei “no Green Pass” definendoli fascisti.
Oggi migliaia di persone muniti di bandiere e slogan dei sindacati si sono radunati a Piazza San Giovanni, dove si teneva la manifestazione ‘Mai più fascismi’ indetta da Cgil, Cisl e Uil.
Facciamo un passo indietro, alla campagna elettorale del 2018 che fu segnata da atti di teppismo sparsi. In quell’anno crescevano tensione e polemiche a Palermo, dopo che il leader di Forza Nuova, Roberto Fiore, candidato alle elezioni nazionali come capo politico della lista “Italia agli Italiani”, parla di odio comunista contro Forza Nuova. Si riferiva all’episodio in cui Il responsabile provinciale di Forza Nuova, Massimo Ursino, era stato bloccato, legato mani e piedi e pestato da alcune persone con il volto coperto da sciarpe nella centrale via Dante, a Palermo, nei pressi di Piazza Lolli.
Poi la stessa Forza Nuova tenta l’assalto all’informazione, attaccando gli studi romani del talk Dimartedì.
In seguito il militante di potere al popolo è accoltellato a Perugia mentre incolla i manifesti elettorali al muro, e infine la profanazione della lapide di via Fani – a pochi giorni dal quarantesimo anniversario dei cinque uomini di scorta e dell’uccisione di Moro – con la scritta “Morte alle guardie”, e la svastica che ritorna come oltraggio supremo alla democrazia.
Abbiamo conosciuto ben altra stagione di sangue negli anni settanta. Ma tutti i segni dicono che la violenza torna in politica sotto forme isolate e disomogenee.
Landini ha parlato di squadrismo fascista, non occorre pensare a un fascismo organizzato sulla scena politica italiana, basta chiedersi quanto fascismo disorganico, sciolto, quasi naturale è già tornato a circolare nella nostra società. Proprio il fatto che sia veicolato dalle notizie di cronaca spicciola dimostra che è tornata a vivere spontaneamente fuori dal Palazzo, senza una linea di pensiero teorico che lo indirizzi, ma senza un’altra che lo contenga, definendolo. Anzi, non ha bisogno del Palazzo, perché si muove sotto la linea d’ombra della politica ufficiale, da un mondo che consideravamo sepolto dalla storia, e invece trova mercato più sociale che elettorale.
Proprio questa alterità definisce la metamorfosi del fenomeno, diverso dal nostalgismo del dopoguerra. La novità del fascismo 2.0 sta nel suo essere presenza, azione, antagonismo. Una formula postpolitica perfetta per raggiungere le fasce più ribelli della popolazione, convincendole che l’azione è la forma estrema della semplificazione populista dei problemi complessi che il Paese ha davanti. La teoria non serve, nascerà a posteriori dal gesto esemplare, che spiega se stesso mentre si compie.
Quello che torna è un fascismo pop, surreale, più che un progetto politico, una strumentazione pronta per un conflitto latente, evocato, sceneggiato, predisposto.
Credo che ci sia del fascismo latente anche in quella giustizia impietosa, bacchettona, che non fa sconti, che ha rincarato la dose, comminando una pena abnorme a Mimmo Lucano che si ritrova ora con condanne che in Italia non si vedono neanche per crimini come la tentata strage, l’omicidio volontario e lo stupro.
Simbolico di questo fascismo novello è sicuramente il migrante. Agendo contro di lui si raccolgono gli istinti, le inquietudini, le pulsioni profonde di una parte della popolazione infragilita dalla crisi e di un’altra parte indurita da un’inedita gelosia del welfare.
Un risentimento identitario che questo fascismo sparso trasforma in un sentimento indigeno, risalendo fino al mito dell’identità, con un concetto di popolo che torna a essere comunità biologica più che Stato o nazione: infine razza. Una predicazione istintiva che torna a unire razza e Patria, contro i non popoli e che trova spazio nell’egoismo del benessere, del lavoro, della salute pubblica, quando lo smarrimento della crisi porta a distinguere tra “noi” e “loro”.
Poiché l’odio ha bisogno di nemici, ecco che l’immigrato viene trasformato nel nuovo nemico di classe, arrivato per invaderci, per occupare le nostre città, per contenderci il salario e per impoverirci il welfare.
Avere delle radici salde significa aprirsi con più fiducia agli altri. Uno dei problemi di alcuni popoli che si mostrano intrinsecamente xenofobi sta proprio nella mancanza di radici. Quando ci si sente incerti rispetto alla propria provenienza e alla propria struttura identitaria, si ha paura di mescolarsi con gli altri, vedendo lo scambio non come un arricchimento culturale, ma come una forma di corruzione.

fascismo immigrazione
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