Costume

Cosa ho imparato guardando I segreti delle mogli mormoni (tra scambismo, femminismo di facciata e vuoto cosmico)

Tra scambismo e femminismo di facciata, femminilità iperconvenzionale valori di cartapesta, spicca il vuoto di identità e di contenuti. Ma allora perché queste mormon wives sono così addictive?

14 Giugno 2025

Quando arrivano i primi caldi e la mia pressione sanguigna sprofonda, necessito di visioni che richiedano il grado zero della partecipazione cognitiva. Per questo ringrazio Disney+ per la tempestiva messa in streaming di Secret lives of mormon wives, seconda stagione. Scrivo il titolo in inglese perché ancora non riesco a farmi una ragione del fatto che il plurale femminile di “mormone”, in italiano, sia “mormoni”. Digressioni linguistiche a parte, posso dire che nel regno delle mie visioni estive a encefalogramma piatto questo reality tutto farcito di bellissime Tiktokers (anzi #momtokers, come vedremo poi) raccoglie il glorioso testimone del fu America’s Next Top Model. Anche in questo programma, infatti, si ha l’impressione di giocare con delle Barbie in carne e ossa, ma with a spin. E se nel talent show anni zero creato da Tyra Banks la variabile era scoprire quale delle “imperfette” giovani bellezze sapesse fare meglio lo smize (“smile with your eyes”), qui il piacere sta tutto nel vedere come la superficialità vanesia e capitalista delle protagoniste venga serenamente coniugata con un’apparente aderenza a rigidissime norme religiose. Perché, appunto, questa volta le dive in questione sono tutte mormone, cioè mormoni.

Perché l’America non smette mai di filmare i mormoni

Piccola, necessaria parentesi sulla recente esplosione del mormonismo nella cultura popolare made in Usa: da qualche anno a questa parte, le principali piattaforme di streaming sono tutto un fiorire di podcast, serie, docuserie e altri prodotti che parlano da varie angolature del mondo dei seguaci della Chiesa di Gesù Cristo e dei Santi degli Ultimi Giorni, più noti come mormoni. Si va dai casi più truculenti, come il processo mediatico alla “millenarista” figlicida Lori WallowDaybell (a cui è anche dedicata la miniserie Netflix Sins of our mother), al recente true crime Disney+ Devil in the Familyche racconta il fanatismo criminale che ha portato l’ex influencer Ruby Franke a sfruttare prima e abusare poi i propri figli, sempre in nome di una visione distorta della religione. Altrettanto spaventosa e per stomaci forti la storia della docuserie Netflix Keep Sweet, pray and obey, su come Warren Jeffs, leader di una frangia estremista della religione, abbia messo insieme per anni una rete di abusi sessuali su minori in nome della religione.  Dall’altro lato dello spettro ci sono i reality trashSister Wives, che racconta (in realtà già da 15 anni) le vite di Kody Brown e delle sue quattro mogli, e The Real Housewives of Salt Lake City, che porta nel cuore del mormonissimo stato dello Utah il celebre franchise a base di casalinghe ricche e litigiose. Sul versante fiction c’è la recente American Primeval, targata Netflix e ispirata al mormonismo dei pionieri, e poi le miniserie thriller Murder among the mormons e In nome del cielo. Per non parlare del film horror Heretic, in cui uno spaventoso Hugh Grant intrappola due giovani missionarie, di Ballerina farm e di tutto il fenomeno delle trad wives, della pletora di youtuber e podcaster che raccontano ora la loro vita da mormoni (incoraggiate dalle stesse autorità religiose), ora la loro rinascita una volta lasciata la religione. Insomma il panorama è vastissimo e c’è qualcosa che cattura morbosamente l’attenzione e la curiosità in questi ambienti dove tutti sembrano ricchi, biondi, fertili, sorridenti e non sempre in contatto con la realtà.

(Image credit: Disney/Fred Hayes)

Da #MomTok alle Secret wivees

E così arriviamo a Secret lives of mormon wives. Poco popolare da noi, ma balzato in cima alle classifiche negli Usa sin dal suo lancio a settembre 2024, questo reality nasce come una specie di spinoff di #MomTok. E che cos’è #MomTok? Proprio quello che sembra: un gruppo di mamme (giovanissime e avvenenti) dello Utah (stato ad altissimo tasso di influencer) che fanno i balletti su TikTok con questo hashtag. Balletti alquanto remunerativi: parliamo di creator professionali, con tanto di management, costanti contratti con brand e, ovviamente, un seguito di follower da far girare la testa. Curatissime nell’estetica, quasi sempre vestite tutte uguali e rigorosamente domestiche nello sfondo dei loro contenuti video, le #MomTok dello Utah diventano in un paio d’anni un fenomeno e con i loro video sono in grado di sostenere le proprie numerose famiglie. Il loro successo procede a gonfie vele fino allo scandalo che le travolge nel 2022 (su cui arriveremo, non temete), per poi disperdersi, ritrovarsi, gemmarsi, rigenerarsi, e in parte convogliare nelle “mogli mormone” le cui “vite segrete” Disney+ si pregia di mostrarci. 

L’importante è distinguersi

E quindi eccole le mormon wives del titolo, con le lore case candide e gigantesche, i lunghissimi capelli chiari dalle onde perfette e luminose, i corpi tonici e baciati dal sole. Con zigomi e mandibole sapientemente cesellati, bocche carnose e altre pennellate di microchirurgia (lo Utah ha una diffusione di interventi estetici tra le più alte degli Stati Uniti), sembrano un po’ tutte simili l’una all’altra, un unico blur di chiome fluenti e ombelichi abbronzati. Vederle ballare insieme è ipnotico, osservarle interagire fra loro stordisce: chi è chi? Le mormon wiwes non dicono parolacce, non bevono alcol né caffè (tranne una minoranza di loro, prontamente rinominata “le peccatrici”), ma sono fini conoscitrici di ogni variante cromo-aromatica di soft drink (lo Utah ha anche un’impressionante concentrazione di soda shops). Le mormon wives fanno ricorso alla ketamina per risolvere conflitti amorosi e al laughing gas (protossido di azoto) per svagarsi durante le iniezioni collettive di botox. Quando optano per il ringiovanimento vaginale, perché spesso hanno già avuto vari figli prima dei 25 anni, amano mostrare alle amiche il turgore delle nuove labbra, ma poi ostentano straordinaria ritrosia nel parlare di sesso. Parlano di sesso con il pudore morboso di preadolescenti, uno spettacolo di burlesque può turbarle, la lap dance di uno stripper maschile rischia di rovinare un matrimonio, però va bene misurare il pene eretto del proprio marito e mostrarlo in foto alle amiche. La confusione che regna sovrana ha qualcosa di irresistibile e l’ignoranza collettiva è abbagliante.

Whitney Leavitt, Miranda McWhorter e Mayci Neeley
(Image credit: Disney/Fred Hayes)

Alcune mormon wives hanno mariti che soffrono di dipendenza da porno, patologia che nello Utah viene diagnosticata e autodiagnosticata con disinvoltura, e ne parlano con grande afflizione. Altre praticano lo scambismo, ma solo in chiave soft: il celebre “soft swinging” in stile mormone è qualcosa a metà strada fra un’orgia o il gioco della bottiglia, con festini in cui ci si bacia e struscia tutti insieme, in cui varie coppie fanno docce comuni o sesso fianco a fianco, si assaggiano mariti e mogli altrui, però niente penetrazione al di fuori del vincolo matrimoniale. Perché quello è peccato, come il caffè e le parolacce. Ovviamente le cose non sempre vanno come devono andare (o forse sì) e la prima stagione delle mormon wives partiva proprio da qui, dal famoso “Scandalo degli scambisti mormoni”: Taylor Frankie Paul, vivace fondatrice di #MomTok e mina vagante del gruppo, un giorno decide di confidare in video le proprie scappatelle, dettagliando le feste scambiste a cui ha partecipato e che hanno fatto finire il suo matrimonio, e l’internet mormon pop impazzisce. Prima viene messa alla pubblica gogna, e con lei il gruppetto delle MomTokers, poi viene reclutata da Hulu (la nostra Disney+) per un reality che racconti la sua vita, e quella delle sue amiche, a partire dal giorno uno post scandalo scambista. E il resto è storia (della reality tv): successo immediato, imprevisto e strepitoso, bagno di popolarità per tutte le protagoniste, ulteriore impennata dei loro già numerosissimi follower e nuovi brand deal come se piovesse.

Il cast della prima stagione

Famiglie Barbiecore, maschi decorativi e slut shaming di famiglia

La seconda stagione riprende lo stesso mix vincente, aggiunge un personaggio al cast originario (la riservata e biondissima Miranda, altra partecipante ai festini di soft swinging) e shakera tutto con nuovi litigi, nuove gelosie, nuove feste a tema. Più un’alternanza alquanto destabilizzante tra infantili bisticci sul nulla e racconti di esperienze traumatizzanti che vanno dall’abuso sessuale alla salute mentale. Più l’inevitabile momento, obbligatorio in ogni reality che si rispetti, in cui qualcuno accusa qualcun altro di essere Una Persona Falsa. Ad essere additata come Persona Falsa della stagione, a sorpresa, è Jen, che tra una gravidanza indesiderata, un marito intriso di patriarcato e una depressione avrebbe già abbastanza problemi e magari bisogno del supporto delle sue amiche/colleghe di #MomTok, ma ormai è abbastanza chiaro che #MomTok è decisamente più business che amicizia. E il business dei reality prevede appunto massicce dosi di drama. Intanto la cattiva della prima stagione (Whitney, assurta all’onore delle cronache di TikTok per avere condiviso il video in cui faceva un balletto in ospedale, davanti alla culla in cui era ricoverato il figlio piccolo) ha ceduto lo scettro di villain a Demi, ex preferita dagli spettatori che si è montata la testa e ha cercato di usurpare il trono di Taylor, finendo invece rimandata a settembre e in fondo alla fila. Letteralmente: la locandina della nuova stagione colloca la bella e un tempo saggia Demetra detta Demi in un angolo remoto in fondo in fondo, a far capire che la fama dura il tempo di un mozzico.

Nonostante le protagoniste identifichino se stesse come madri su TikTok e come mogli nel titolo della serie, tra continue vacanze e feste a tema le vediamo di rado impegnate in attività materne. I bambini (per fortuna loro) non si vedono praticamente mai, i mariti fanno solo qualche timido e deludente capolino, giusto il tempo di sventolare un po’ di surreale machismo o di scimmiottare le consorti creando dei #DadTok. In compenso ammiriamo famiglie dalla tossicità strabiliante, a partire da quella di Taylor, i cui genitori non perdono occasione di farle slut shaming tra una preghiera e l’altra.

Quell’unico blur di ciocche dorate

Tra il vuoto e la pietà, resta il bisogno di guardarle ancora

Una volta finita l’abbagliante visione delle dieci puntate della nuova serie, e non ancora sazia, mi sono buttata nei reaction video delle youtuber ex mormoni (molte delle quali, del resto, già presenziano nel mio feed). E qui succede qualcosa di interessante. Lungi dall’accanirsi contro queste Kardashian del mormonismo prêt-à-porter, diversi videocommenti trovati in rete sembrano prendere le difese delle mormon wives o comunque, in un modo o nell’altro, avere sviluppato per loro un certo affetto e un atteggiamento tra l’empatico e il protettivo. E non solo per alcune esperienze inequivocabilmente pesanti del presente e passato di alcune tra loro, che gli autori del reality ci sbattono davanti agli occhi, senza troppa delicatezza, tra una festa in costume e una litigata in pigiama. Ma proprio per quella miscela di ingenuità, superficialità, vanità, rettitudine ostentata, voglia di apparire davanti alle telecamere ma anche e soprattutto di essere accettate dal loro gruppo dei pari. Perché questi pari sembrerebbero essere abbastanza spietati: se non sei bellissima, sorridente, fertile, sposata, devota, madre, ricca e di successo, sembrano dire, vali poco o niente. E comunque, anche se sei tutte queste cose, vali sempre meno di tuo marito. Anche se magari sei tu che lo mantieni, proprio grazie ai balletti su TikTok e a questo reality.

(Image credit: Disney/Fred Hayes)

In sostanza, quello che inizialmente farebbe sorridere mostra in realtà un disagio profondo, sedimentato, non necessariamente elaborato (o anche soltanto riconosciuto), un disagio che a colpo d’occhio non vediamo proprio perché è nascosto sotto i sorrisi perfetti, le extension dorate e gli hashtag non troppo convinti su sorellanza, boss babes e simili. Come fanno notare diverse youtuber ex mormoni, persone che pure dedicano il proprio tempo a smantellare i miti, patriarcali e non, della religione in cui sono cresciute, queste ragazze sono sostanzialmente delle vittime. Non solo di un sistema sociale estremamente controllante ed esigente, ma anche di genitori poco protettivi e di traumi generazionali. Spinte a fidanzarsi e sposarsi giovanissime, con un’ossessione per la famiglia che punta più alla sacralità del legame formale che al benessere di coppia, spesso madri prima ancora che il loro cervello raggiunga il pieno sviluppo, intrise di una visione della maternità più incline all’accumulo che all’accudimento, sono a loro volta figlie di madri giovanissime che hanno seguito esattamente lo stesso iter, e che infatti vediamo ora giocare alla migliore amica, ora intromettersi in maniera colpevolizzante nelle scelte sessuali della propria progenie, ora minimizzare situazioni di sofferenza e malessere in nome della tenuta del matrimonio: tutti comportamenti messi in atto dalla madre di Taylor. E infatti non ci stupiamo se poi quest’ultima mette ogni tanto da parte il ruolo di agent provocateur e scoppia a piangere definendosi “trash”.

Insomma, quello che ho imparato da questo reality è che se derido le mormon wives sono parte del problema, perché in nome di una presunta superiorità intellettuale sto ridendo di persone che forse non hanno molte idee su come sfuggire a una sorta di ineluttabile domesticità che non sia renderla performance. Al netto dei loro profili sapientemente costruiti e curati, del  denaro e della fama che stanno rotolando loro addosso e che certo non ispirano compassione, ridere delle mormon wives rimane un esercizio un po’ sterile, che lascia un gusto amaro. Perché alla fine guardare Secret Lives of Mormon Wives significa confrontarsi con un tipo molto specifico di prigione dorata: quella in cui il conformismo è incentivato e premiato, la bellezza standard è un dovere, la “perfezione” il minimo a cui aspirare. Un mondo in cui la ribellione ha una scadenza brevissima:  giusto il tempo di diventare virale e poi venire assorbita, monetizzata, sterilizzata. In un mondo così chiuso, l’individualità non è vietata, è semplicemente impensabile.

Alla fine, questo reality non ci insegna tanto a smettere di ridere quanto a cambiare bersaglio. Non sono le #MomTok il punto — sono i recinti attorno a loro. Queste ragazze così simili fra loro, così profondamente impaurite all’idea di essere diverse, ci mostrano qualcosa che sta a metà fra la soap e il distopico. Quindi sì, continuerò a guardarle. Non per compassione, né per derisione. Lo farò un po’ per vedere se, finalmente, qualcuna di loro trova la forza — o anche solo il dubbio — di uscire dal quadro, spettinarsi una ciocca e chiedersi, a voce alta, se le loro aspirazioni sballate non siano il risultato di uno spaventoso vuoto di contenuti. E un po’ perché quelle ciocche lucenti e asettiche, quel biondissimo chiacchiericcio sul nulla, quella beata inconsapevolezza, quel macinare indifferente traumi, gadget, pettegolezzi e relazioni, finché non è tutto un’unica patina di sorridente superficialità, ha su di me un effetto narcotizzante. Mi placa, mi intrattiene, mi riempie la testa di colori saturi e sapori dolci, mi azzera i pensieri. Forse dovrei preoccuparmi di questo.

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