
Relazioni
La Macchine Celibi di Giaccardi e Magatti, in viaggio verso una modernità meno liquida
Pubblichiamo un estratto tratto da Macchine Celibi – Meccanizzare l’umano o umanizzare il mondo, di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, pubblicato da Il Mulino. Ringraziamo autori ed editore.
L’accelerazione del processo di digitalizzazione verificatosi nel post Covid ha già cambiato, ed è destinata a cambiare ancora di più nei prossimi anni, la nostra vita sociale. Come sempre è accaduto nella storia il nuovo ambiente tecnico si costituisce come vero e proprio “farmaco” per trattare la questione di fondo sollevata dalla crisi modernità liquida: come si può tenere insieme una società sempre più grande, che si sbarazza dell’ordine morale tradizionale incarnato nel principio di autorità in nome dell’innovazione tecnologica e della libertà personale? Senza nostalgie regressive, bensì cercando di sviluppare una “farmacologia positiva” a partire dalle nuove condizioni che si vanno sempre più chiaramente delineando?
È stata infatti questa la grande eredità della fine del XX secolo: lo sviluppo del sistema tecnico economico su scala planetaria ha permesso un ampliamento delle possibilità di vita per miliardi di individui a cui è stato attribuito il diritto/dovere di attribuire senso autonomo alla propria vita. Passaggio storico enorme, che ha aperto nuove frontiere alla libertà ma che, nel contempo, porta con sé questioni inedite.
Come tutti i farmaci, così anche il digitale mentre risolve alcuni problemi ne crea di nuovi. Mentre cura da una parte, intossica dall’altra.
Nonostante i rapidissimi passi in avanti compiuti in questi anni e i risultati inauditi che ci permetterà di raggiungere in futuro, la digitalizzazione da sola non risolve – anzi per alcuni aspetti inasprisce – le contraddizioni dell’organizzazione sociale contemporanea. Via via che si procede su questa strada, infatti, la polarizzazione tra funzionalizzazione sistemica e caos comunicativo si radicalizza.
Il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi: un mondo sempre più interconnesso ed efficiente che convive con l’esplosione della confusione simbolica, della frammentazione sociale, se non addirittura della violenza e della guerra. Tutto funziona, ma diventa impossibile intendersi. Tutto è connesso, ma siamo travolti dalle crisi. L’unificazione del codice convive con l’esplosione del caos.
Guardandoci intorno si rimane impressionati: mai nella storia condizioni materiali, giuridiche e culturali così favorevoli alla fioritura della libertà si erano rese disponibili. Eppure mai come oggi la libertà è a rischio di collassare dove c’è (in Occidente) e di essere repressa dove non c’è (in tante altri parti del mondo). Nonostante godiamo di condizioni di vita inimmaginabili anche solo due generazioni fa, siamo disallineati, disgiunti e isolati, oppure compattati in “noi” difensivi che minacciano di trascendere nel vicolo cieco della violenza.
Mentre si annunciano nuove fantastiche possibilità tecnologiche, il tradimento delle promesse di benessere economico è evidente per tanti. E la deprivazione – non solo economica, ma anche culturale e istituzionale – avvertita soprattutto dai ceti popolari, esposti a un cambiamento incessante nell’assenza di mediazioni sociali e culturali, trasforma il narcisismo in aggressività. Improvvisamente l’euforia della globalizzazione sembra destinata a rovesciarsi in odio sociale, cavalcato e alimentato da “imprenditori politici” spregiudicati, capaci di sfruttare questo malessere a proprio vantaggio.
I populismi, i movimenti di estrema destra, il razzismo e i fondamentalismi religiosi sono sintomi di una reazione che ora rischia di assumere i tratti di uno scisma, una frattura fondamentale tra posizioni dottrinali e ideologiche inconciliabili. Per esempio, nella spaccatura tra gli ‘zeloti’ del progresso – che attraversano con leggerezza ogni confine in nome dell’innovazione tecnologica e della trasgressione culturale – e i ‘talebani’ della tradizione – organizzati attorno a qualche totem intoccabile (di tipo religioso, razziale o etnico).
Lontanissimi dall’idea di pluralismo che caratterizza la democrazia, assistiamo a una polarizzazione tra posizioni estreme, incapaci di dialogare, che cercano di annientarsi a vicenda mettendo in discussione i presupposti stessi del vivere insieme. Con richiami sempre più espliciti alla violenza. Questa dinamica scismatica si riproduce anche a livello internazionale: lo schema che contrappone democrazie e autocrazie nasconde, in realtà, la sfida su chi guiderà il mondo nell’era dell’intelligenza artificiale, della neuropolitica e del transumanesimo. E la ragione è chiara: a valle della fase della globalizzazione, quando per la prima volta alcuni degli elementi della modernità occidentale si sono radicati in contesti culturali del tutto differenti, i progressi recenti nella scienza e nella tecnologia (intelligenza artificiale, neuroscienze, biotech, ecc.) delineano uno scenario in cui il confronto tra le grandi potenze rischia di farsi catturare dalla fantasia distopica del “dominio planetario”.
Da diversi anni si sta scivolando per questa china pericolosa. E il termine “policrisi”, entrato ormai nel vocabolario della letteratura internazionale, ci mette in guardia sulla tendenziale convergenza e reciproca amplificazione dei fattori più critici (situazioni di forte stress, effetto domino, feedback intersistemici) che, rinforzandosi a vicenda, tendono a innescare crisi sincronizzate. Col rischio che la situazione sfugga di mano, determinando, alla fine, una conflagrazione globale.
Siamo in un interregno. Il salto che si è prodotto a fine secolo dentro l’Occidente (con l’aumento delle possibilità di vita individuali e l’ampliamento delle libertà) e fuori dai suoi confini (con l’esportazione della tecnologia e del benessere) ci sospinge verso un livello superiore di complessità. Che non sappiamo, però, come affrontare.
È possibile, nel mezzo della crescente entropia che caratterizza il nostro tempo, intravvedere le condizioni di un diverso riallineamento, di una ricomposizione su basi diverse, che apra una nuova fase della modernità oltre quella liquida?
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