
Relazioni
Violenza a doppio taglio
Era il 2023, quando Chiara Ferragni, alla 73esima edizione di Sanremo, indossando il “vestito senza vergogna” in cui pareva nuda – in realtà con il suo corpo disegnato sul vestito – trasmetteva nel suo monologo un messaggio forte contro ogni tipo di violenza ai danni delle donne, dove l’illusione della nudità voleva ricordare a tutte il diritto nel mostrare e disporre di se stesse “ragionevolmente” senza doversi sentire giudicate o colpevoli apparendo sexy.
Nell’epoca 2.0 in cui viviamo, quella del permissivismo sessuale e della spudoratezza sfacciata, sotto abiti scarsamente indossati, si è andato perdendo il “senso comune del pudore”. Cortocircuiti mediatici fanno guadagnare sempre più spazio al linguaggio spinto e all’esibizione del corpo femminile. Il proprio corpo, liberamente mostrato, viene sbandierato senza limiti e confini tra sfera pubblica e sfera privata, ma diviene oggetto di desiderio crudele che innesca stupri e violenze fino al femminicidio perché per qualcuno lo stupro risponde a un bisogno fisiologico facilmente appagabile. Un senso del pudore che è tutto da ridefinire, è ignorato, ignorando la scelleratezza cui si va incontro. Le aspirazioni delle “giovani donne”, a partire dalle teenager sono cambiate, se hai regole morali crescendo, non avrai successo facile, una donna nuda e griffata ha maggiori probabilità di affermazione rispetto a una donna vestita, istruita e responsabile e il selfie nudo divulgato detta legge: sotto il vestito, niente!
È angosciante però apprendere di episodi gravi e ferite che toccano i sentimenti di ognuno, coinvolgendo adulte e giovani vittime, i cui esili corpi hanno dato vita a violenze perpetrate tra le mura di casa. Gli anni della pandemia hanno provocato cambiamenti nello stile di vita di ognuno durante i periodi di lockdown, facendo insorgere un aumento di casi di pubertà precoce, in particolare nelle bambine, anticipo puberale dovuto principalmente allo stress psicologico e alle tensioni familiari vissute tra i muri di casa. Molti studi hanno dimostrato che l’eccesso smodato al sovra-uso di social e giochi virtuali e l’utilizzo costante dello smartphone ha favorito le modifiche del corpo e dell’immagine di sé in senso adulto: pur con livelli di maturità di bambina, apparire ragazzine già formate incentiva a volte attenzioni sessuali inappropriate per l’età e sfocianti in atti osceni come spesso ascoltati dai media. Purtroppo siamo schiavi del cellulare e manovrati dai social, prontamente obbligati a pubblicare foto della vacanza, dell’apertivo del weekend cercando di trovare l’angolazione perfetta per creare lo scatto migliore da postare, persino quelli più intimi e personali.
Perchè la violenza assume diverse sembianze ed è sempre più mediatica, grazie all’utilizzo scellerato di questi dispositivi diabolici e avveniristici che, sebbene minano l’autostima, il benessere mentale e il rendimento scolastico, sono sempre più inseparabili nella nostra quotidianità istigando menti “apparentemente sane” a condividere foto delle proprie compagne, senza il loro consenso, cercando approvazione e complicità in questa violenza che cela tuttavia menti insane. Una forma di abuso, pornografia non consensuale o una misoginia latente condivisa su un gruppo Facebook “Mia moglie” da oltre 32.000 uomini che hanno sbandierato a mò di trofeo o messo alla berlina il corpo di altrettante donne, persino figlie o nipoti, riprese segretamente, che hanno casualmente scoperto il proprio corpo subendo una violenza mediatica: spesso ad eccitare la sessualità maschile è proprio la mancanza di consenso e l’idea che si possa possedere una donna contro la sua volontà.
Bisogna altresì ammettere che grazie alla prontezza mediatica di filmare e condividere voci e contenuti integrali, è facile risalire ai componenti del branco o al protagonista di un insano gesto, menti assetate di carne umana, bramosi di prodezze e abusi degni del migliore film porno. Ma come definire queste violenze social domestiche o stupri di massa a colpi di pugni e schiaffi – accompagnati da cocktail e alcolici per apparire disinibiti – a causa di un abito succinto per risultare provocanti!? Il desiderio sessuale e l’aggressività richiedono il soddisfacimento di un benessere che “in qualcuno” risulta deviante e purtroppo indotto dall’accesso facile ai giovani corpi svestiti delle adolescenti. Lo stereotipo di “donna poco vestita” identificava in passato una donna di facili costumi, concezione tramontata, tuttavia tante sono le accuse rivolte a coloro che hanno subito violenza proprio a causa della facilità di comportamenti e costumi risultati inadeguati anche al luogo. La spiaggia è il luogo dove risulta normale esibire il seno nudo, ma, al tempo stesso, è una nudità controllata, limitata e gestibile.
L’abito non fa il monaco ma l’ostentazione del proprio corpo in abiti succinti o del tutto assenti scatena pulsioni e innesca atti di violenza da parte di chi è incapace di intendere la gravità di comportamenti squallidi e marchianti. I bambini e i ragazzi di oggi sono bombardati da messaggi che fanno riferimento alla nudità: in televisione, nelle pubblicità, sui cartelloni in città, le allusioni non mancano anche alla sessualità vissuta in talune circostanze in modo segnante, laddove tracce invisibili e indelebili condizioneranno il corso dell’esistenza. La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci ma quando si violentano le donne anche attraverso la condivisione digitale di foto intime condivise, quando si insinua questo sfruttamento sessuale da tastiera, si distrugge l’energia essenziale della vita e i ricordi associati ad un legame. É impensabile definire queste menti con l’appellativo di “animali”, risulterebbe offensivo per le specie di organismi presenti sulla Terra, dai nostri amici a 4 zampe fino alle razze più bizzarre. Raccomandare con senno le giovani generazioni è fondamentale, slegare i rapporti eccessivi con lo smartphone, perché è già in tenera età che si emulano comportamenti da disincentivare, videoclip musicali, social e idoli delle teenager invitano a trasformarsi nello specifico in bombe sexy. Certo non è la quantità di vestiti indossati a determinare quantità e qualità del rispetto meritato. Se l’abbigliamento femminile equivale a una moda modesta e rappresentata da pochi centimetri di tessuto, non autorizza nessuno a giustificare le violenze e la diffusione in rete di momenti condivisi della propria intimità.
La violenza è un sintomo di impotenza, e, sotto qualunque forma, si manifesti, è un fallimento che non può richiamare il paragone con gli animali la cui bestialità deriva unicamente da un istinto di sopravvivenza e non dal motto :“Vivi e lascia lividi”. Se esiste una mascolinità tossica in germe che si scaglia e si perpetra silenziosamente contro donne e bambini, bisogna debellarla. Le donne non dovrebbero essere toccate con violenza di pensiero ed azione, persino le parole sono le prime armi a disposizione per ferire e negare la vita di un altro. Pensare che la famiglia, questa isola di sicurezza, possa essere al tempo stesso il luogo della violenza, condividendo il corpo nudo di chi ci sta accanto o quello indifeso di una bambina, significa cancellare brutalmente un legame e una fiaba di vita e non si può fare pace con una carezza se dinanzi si ha una bambola “rotta con un bell’abitino”. Come sosteneva William Shakespeare, riferendosi al protagonista di brutale violenza:” Per tutte le violenze consumate su di lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per le sue ali che avete tarpato, per la bocca che le avete tappato”, per tutto questo non ci sono giustifiche, rimarrai a vita un assassino.
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