Religione

Israele e la terra

Si può superare la narrazione esclusivista? Con quale fondamento biblico?

10 Giugno 2025

«Il messianismo è radioattivo e mescolare metafisica e politica può produrre solo follia» (A. Shavit)

Lo ha ripetuto più volte il cardinale Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme: per contribuire alla causa della pace nel conflitto israelo-palestinese dobbiamo favorire l’emergere di una nuova narrazione teologica non esclusivista.

L’oggetto del contendere è quello dei confini: «from the river to the sea, Palestine will be free» è lo slogan che abbiamo ascoltato scandire nelle numerose manifestazioni a sostegno della Palestina di tutti questi mesi. Il fiume in questione è il Giordano, il mare è il Mediterraneo. Eppure, le due fasce azzurre sulla bandiera dello Stato di Israele rappresentano quelle stesse acque, che delimitano i confini attuali di Israele. Due popoli rivendicano i medesimi confini che, nel corso della storia, sono stati continuamente modificati, in un confronto continuo tra le istanze politiche e simboliche di definizione, cioè tra i valori di riferimento, le grandi narrazioni e gli immaginari che accompagnano questi confini.

La simbolica religiosa in Medio Oriente è più che mai decisiva perché occupa lo spazio pubblico in maniera rilevante. Con una preponderanza che noi occidentali fatichiamo a comprendere dopo secoli di affermazione della laicità delle istituzioni civili.

Per stare ad un racconto biblico per immaginare un’alternativa alla narrazione esclusivista si può ritornare al decisivo libro del Deuteronomio, testo fondante l’Israele spirituale, ma anche libro che struttura l’identità culturale del popolo della promessa con il suo stabilirsi nella terra ricevuta in dono al termine del cammino nel deserto che chiude la stagione dell’umiliante schiavitù in Egitto.

Nel libro del Deuteronomio l’elemento fondante il nuovo Israele spirituale è la memoria di ciò che Dio ha compiuto per lui: Dt 8,2 Ricòrdati di tutto il cammino che il SIGNORE, il tuo Dio, ti ha fatto fare in questi quarant’anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti.

Questo processo di memoria collettiva rende superflua qualsiasi altra condizione di fondamento naturale (territorio, regno, tempio o altra istituzione normalmente alla base di ogni società).

Con questo libro nasce un Israele dello spirito ubicabile ovunque senza perdere la sua identità, senza bisogno di altro che di ravvivare il ricordo della sua origine.

Il processo della memoria provvede ad una netta distinzione tra identità e territorio.

Infatti per mantenere il possesso della terra occorre ricordare vincoli che sono stati stabiliti fuori da essa: tutti i luoghi della memoria fondanti Israele sono fuori dalla terra che adesso abita: Egitto, Sinai, Moab, il deserto.

L’Israele dello spirito vive ovunque con un unico pericolo: dimenticare.

Salmo 137,5 Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra.

Nel progetto del Deuteronomio l’unico fondamento dell’identità di Israele è la Torah, la legge scritta, fatta assurgere alla posizione di “patria portatile” (formula efficace di H. Heine).

In un articolo recente a proposito della disputa dei confini, il gesuita Iuri Sandrin concludeva: «Non esiste una lettura della storia, nemmeno della storia biblica, in grado di restituirci una demarcazione dei confini definitiva e stabile per sempre. Una lettura univoca del mito fondatore quindi non solo falsifica la pagina biblica, ma rischia di consegnare sempre di più il presente alla violenza» (Aggiornamenti sociali, febbraio 2025).

Si può andare oltre? Si può dire che la disputa di confini non è neppure all’ordine del giorno per l’Israele biblico? Se la terra è esclusiva proprietà di Dio (Levitico 25,3), per il credente è solo la memoria ciò che la rende vivibile non il possesso.

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